Al popolo serve un avventuriero risoluto, non un medico pietoso
"Doveva lasciare che ci andassi io da quei selvaggi, in qualche modo me la sarei cavata”. Queste parole le udii più di cinquant’anni fa pronunciare da un attore di cui non ricordo il nome né il volto in un film di cui non rammento il titolo. Ben vivo nel ricordo è però il contesto, indimenticabile. Non tanto la geografia – Africa nera o gialla Birmania? – quanto l’angoscia che lega un gruppo di bianchi assediato in una chiesetta da una tribù di tagliatori di teste. Tutto fa pensare a un imminente disastro fino a quando, impensabile, si apre uno spiraglio di salvezza.
"Doveva lasciare che ci andassi io da quei selvaggi, in qualche modo me la sarei cavata”. Queste parole le udii più di cinquant’anni fa pronunciare da un attore di cui non ricordo il nome né il volto in un film di cui non rammento il titolo. Ben vivo nel ricordo è però il contesto, indimenticabile. Non tanto la geografia – Africa nera o gialla Birmania? – quanto l’angoscia che lega un gruppo di bianchi assediato in una chiesetta da una tribù di tagliatori di teste. Tutto fa pensare a un imminente disastro fino a quando, impensabile, si apre uno spiraglio di salvezza: il figlio del capo tribù si è gravemente ammalato e il padre fa pervenire agli assediati un messaggio: ‘C’è un medico tra di voi? Se sì e salva mio figlio, sarete salvi’. Il medico c’è, un giovanotto onesto e coraggioso che ha fiducia nel proprio mestiere e nelle proprie capacità. Esce dalla chiesa e va incontro ai guerrieri; non lo vediamo ma possiamo immaginare che si metta subito al lavoro nel più zelante e accurato dei modi. Gli assediati trepidano, gli spettatori con loro.
Dopo un paio di notti di speranza, da una finestrella della chiesa viene lanciato al suo interno un pezzo del medico, non ricordo se una mano o la testa. Il figlio del capo tribù è morto. Disperazione generale, ed è allora che il duro del gruppo, un avventuriero pronto a tutto, pronuncia la frase che ho citato. Sì, lui ce l’avrebbe fatta, qualcosa avrebbe escogitato, avrebbe inventato qualche diavoleria salvando la propria pellaccia e gli amici. Come in effetti nel film farà. Non sa niente di milze e fegati ma la sa lunga sugli uomini, sulla loro natura profonda, sa che chinano la testa davanti a un duro che sa il fatto suo, uno che nemmeno all’inferno si perde d’animo, uno che coi diavoli fa affari e con le streghe ci balla. Se per tanti anni la scena del film mi è rimasta impressa è perché potessi evocarla questi nostri tempi. Non basta la sapienza, la saggezza, l’onestà, la morale, la generosità, l’intelligenza, niente basta quando la tempesta che sta scuotendo un paese sembra perfetta e non molla la presa.
Occorre un tipo che la sa lunga, che ci sa fare e mille volte l’ha dimostrato nella sua vita, uno stregone più abile dei feroci tagliatori, uno che se ne freghi dello spread, del pil, del pool, e di tutti gli spettri agitati dai lupi ed enfatizzati dai media giusto per spaventare la gente e far perdere loro la speranza e la voglia di lavorare e intraprendere. Quel che conta, ora e sempre, è buttare i soldi là dove possono produrre altri soldi. A quest’avventuriero vanno naturalmente concessi vastissimi poteri e una silente tregua sociale, nessun nemico avrebbe paura di uno che mentre sta trattando a muso duro può sentirsi alle spalle il frigno della mogliettina che lo rimbrotta perché non la coccola abbastanza.
Il Foglio sportivo - in corpore sano