Le informazioni, la strategia
Neppure la Cia capisce che cosa sta accadendo al regime di Damasco
E’ anche colpa della Cia se non si è riusciti a trovare una strategia contro il regime di Damasco. L’intelligence americana non riesce a lavorare in territorio siriano, non riesce a raccogliere informazioni univoche e per questo diventa difficile, per l’America ma anche per i suoi alleati, definire un piano d’attacco – o di contenimento. Con chi stare? Di chi fidarsi? Come gestire un regime change?
Milano. E’ anche colpa della Cia se non si è riusciti a trovare una strategia contro il regime di Damasco. L’intelligence americana non riesce a lavorare in territorio siriano, non riesce a raccogliere informazioni univoche e per questo diventa difficile, per l’America ma anche per i suoi alleati, definire un piano d’attacco – o di contenimento. Con chi stare? Di chi fidarsi? Come gestire un regime change? Se il principe degli scoop Eli Lake si fa dire da alcuni ribelli siriani di quante armi avrebbero bisogno per rovesciare Bashar el Assad in una settimana, il più serioso Washington Post spiega che in queste condizioni – con la Cia così in difficoltà – non si sa come muoversi. Per questo, in Siria, si procede per convinzioni. L’ultima è: il regime siriano di Bashar el Assad “ha i giorni contati”, come hanno detto i ministri degli Esteri della Lega araba all’unisono. Il Figaro raccontava ieri in un’esclusiva come ci si sta organizzando – nuove istituzioni per la transizione, sul modello egiziano – mentre i ribelli dicevano di essere disposti ad accettare un governo di ex del regime in cambio della dipartita di Assad – salvo poi smentire. La stessa confusione, ben più pericolosa, regna sulla questione delle armi chimiche: non le useremo contro i ribelli, hanno detto fonti di Damasco, anzi sì, le useremo, se qualche occidentale decide di intervenire, ha poi rilanciato il ministro degli Esteri siriano. Pare che intanto le armi siano state spostate, Israele ha pronti i piani per un intervento, se è vero come dicono alcune fonti che in due ore Assad può portare le armi letali dagli amici in Libano (Hezbollah).
Ma il regime “ha i giorni contati”. Anzi, David Gardner scrive sul Financial Times che il regime è già finito: se in 18 mesi non è riuscito a riprendersi il paese, e si è ritrovato colpito al cuore con una decapitazione per via terroristica della sua leadership, vuol dire che il regime è morto. Bisognerebbe chiedere ai ragazzi di Aleppo in t-shirt, ammazzati dalle bombe nell’ultima feroce offensiva del regime, chi è morto davvero. Ma la convinzione è questa.
La Cia osserva da lontano. Secondo funzionari dell’Amministrazione, scrive il Washington Post, ci sono parecchi “intelligence gap”, cioè non si capisce niente, neppure i servizi dei paesi arabi sanno bene di chi fidarsi. La Cia s’appoggia agli uomini sul campo, ai giordani e ai turchi soprattutto, complicando la già poco chiara visione obamiana della crisi siriana: l’ambasciata americana in Siria è stata chiusa a febbraio, i ribelli non riescono a conquistare pezzi di territorio in modo stabile e così gli agenti non possono infiltrarsi con la stessa rapidità con cui lo fecero in Libia. Resta un gruppo di sei persone sul confine con la Turchia: il presidente, Barack Obama, ha dato alla Cia il potere di fornire aiuti alle forze anti Assad soltanto in seguito a una serie di operazioni di raccolta di informazioni che hanno bisogno della firma presidenziale (ci sono state alcune intercettazioni che pare abbiano fatto luce su molti rapporti all’interno delle forze dei ribelli, una mini svolta per l’intelligence). L’Agenzia non ha fornito armi né fondi ai miliziani anti Assad, ma molti degli alleati lo hanno fatto: ancora regnano l’incertezza e la paura di ripetere gli errori del passato. La preoccupazione più grande è data dalle armi chimiche, si dice che le riserve siano ben più ampie di quelle trovate in Libia – secondo gli americani, si tratta dell’arsenale chimico più grande del medio oriente.
Quando ci sono più convinzioni che informazioni è difficile definire una strategia, ed è questa una delle motivazioni dell’impasse occidentale (una motivazione, non una giustificazione). Ma se è vero che l’attentato al palazzo di Damasco in cui sono morti gli alleati più stretti di Assad è stato compiuto da un “elemento esterno”, è probabile che ci siano servizi più attivi rispetto alla Cia e ai suoi alleati. Quelli russi, quelli iraniani. Poi ci sono i giornalisti che ancora riescono a entrare in Siria: parlano sempre di due mondi, quello dei ribelli torturati e quello dei soldati dell’esercito regolare che muoiono a decine ogni giorno: versioni inconciliabili dello stesso orrore. Capisci che sei in guerra – ha scritto Janine de Giovanni, una delle più brave inviate di guerra – perché la verità è la prima a morire, e poi tutti la cercano.
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