Olimpiadi magre
Che gli inglesi abbiano una spiccata tendenza a lamentarsi di se stessi si è visto in queste settimane che hanno preceduto la terza edizione londinese dei Giochi olimpici (domani l’inaugurazione, nel 1908 e nel 1948 le altre due edizioni sul Tamigi): tra crisi economica, spese organizzative lievitate rispetto ai preventivi e dubbi sulla sicurezza, è apparso sui giornali anglosassoni molto del campionario di autocommiserazione british.
Che gli inglesi abbiano una spiccata tendenza a lamentarsi di se stessi si è visto in queste settimane che hanno preceduto la terza edizione londinese dei Giochi olimpici (domani l’inaugurazione, nel 1908 e nel 1948 le altre due edizioni sul Tamigi): tra crisi economica, spese organizzative lievitate rispetto ai preventivi e dubbi sulla sicurezza, è apparso sui giornali anglosassoni molto del campionario di autocommiserazione british. “Adesso basta”, ha sbottato qualche giorno fa il sindaco Boris Johnson – che conta non poco sulle Olimpiadi per il rilancio di Londra, della City e della sua carriera internazionale – “smettiamola di lamentarci e cominciamo ad amare i Giochi”. Succederà a prescindere dall’invito del sindaco: come in ogni Olimpiade al fischio d’inizio resterà soprattutto l’entusiasmo nei londinesi.
Nel frattempo ci si affretta a spiegare – lo facevano ieri Forbes e due giorni fa l’Atlantic – che a conti fatti organizzare un’Olimpiade non conviene: troppe spese, che infatti sono quintuplicate ripetto alle previsioni, troppe strutture ad hoc che non verranno mai riutilizzate, molti luoghi comuni da sfatare, tra cui quello dell’aumento dei turisti per le città a cinque cerchi (come se Londra ne avesse bisogno). Anzi, spesso essere al centro del mondo sportivo e mediatico per due settimane porta più pubblicità negativa che positiva: di Pechino si ricorda l’inquinamento, di Città del Messico e Atlanta la violenza delle città, di Salt Lake City e Nagano della corruzione nelle classi dirigenti locali, sottolinea l’Atlantic. E se tante infrastrutture serviranno a migliorare i quartieri di Londra (in particolare Stratford, nella zona est della città), c’è chi fa notare che con gli stessi soldi si potevano costruire infrastrutture più utili e mirate (ma qui si entra in un circuito vizioso, dato che senza Olimpiadi quei soldi non sarebbero arrivati, tra sponsor e investitori).
Non è tutto una lamentela, però: il Time celebra i Giochi con un numero speciale in cui spiega che la depressione economica globale non farà ombra alla corsa per la medaglia d’oro e per l’occasione ripubblica il numero del 1948. Ieri poi il Wall Street Journal ha cercato di mettere d’accordo gli ottimisti e quelli che gridano contro le “spese folli” in tempo di crisi: di sicuro non sarà un’Olimpiade austera, soprattutto se comparata con quella del 1948 (oltre 9 miliardi di sterline, oggi, contro i 28 milioni di allora, ma si veniva dalla Seconda guerra mondiale): va bene la crisi, hanno pensato oltre Manica, ma qui c’è in gioco l’orgoglio nazionale. Molto meno sfarzo fine a se stesso rispetto a Pechino, però: lo stadio cinese “Nido d’uccello” era più bello che utile; l’Olympic Stadium inglese è all’opposto una delle cose più minimal mai fatte per un’Olimpiade. Addirittura, assicura il Wsj, molti edifici saranno smontati e riutilizzati altrove (lo stadio del basket forse a Rio 2016), o comunque riciclati per altre strutture in futuro. Domani si comincia, per due settimane i piagnistei lasceranno il posto al sudore degli atleti. I borbottii saranno un ricordo: gli inglesi vogliono andare fieri delle loro Olimpiadi. Anche se ristrette.
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