Sfida al modello euroitaliano

Cosa c'è dietro l'attacco concentrico (e tedesco) a Draghi e Marchionne

Stefano Cingolani

La Volkswagen contro Sergio Marchionne. La Bundesbank contro Mario Draghi. Storie diverse, personaggi diversi, differente anche il casus belli. Eppure colpisce che nello stesso giorno autorevoli esponenti del Modell Deutschland attacchino in modo pesante (e sgangherato nel caso del gruppo automobilistico) le due figure oggi più rilevanti del modello italiano. Certo, Marchionne è un cittadino del mondo. E Draghi è stato raffigurato dalla stessa Bild Zeitung, la voce di dentro della Germania profonda, con in testa l’elmo chiodato dell’antica Prussia.

    La Volkswagen contro Sergio Marchionne. La Bundesbank contro Mario Draghi. Storie diverse, personaggi diversi, differente anche il casus belli. Eppure colpisce che nello stesso giorno autorevoli esponenti del Modell Deutschland attacchino in modo pesante (e sgangherato nel caso del gruppo automobilistico) le due figure oggi più rilevanti del modello italiano. Certo, Marchionne è un cittadino del mondo. E Draghi è stato raffigurato dalla stessa Bild Zeitung, la voce di dentro della Germania profonda, con in testa l’elmo chiodato dell’antica Prussia. E tuttavia, il tiro incrociato di ieri suscita una notevole impressione. Fatti, antefatti e retroscena sembrano confermarlo.

    Di che cosa può essere accusato, a Berlino, Mario Draghi? Di aver proclamato senza giri di frasi che il dovere della Banca centrale è difendere fino in fondo l’euro, cioè la moneta che essa stessa batte e per la quale è stata creata? Eppure, sembra proprio così. La Bundesbank ha fatto sapere di “non aver cambiato parere” sugli acquisti di titoli pubblici con il programma Smp: sono “problematici”, ha aggiunto, e creano “falsi incentivi”. In definitiva “non è il modo migliore di affrontare la crisi” dei debiti sovrani. Parole troppo dure anche per il governo tedesco. Il ministro delle Finanze, Wolfgang Schäuble, “ha accolto con favore” le dichiarazioni di Draghi. In una dichiarazione sullo stato generale dell’Eurozona, Schäuble ha detto, inoltre, di “guardare con favore alla disponibilità della Banca centrale a intervenire nel quadro del suo mandato”. Alle 13 François Hollande ha telefonato ad Angela Merkel: al termine entrambi hanno dichiarato di essere pronti “a fare di tutto per proteggere la zona euro”. La stessa formula usata il giorno prima da Draghi. “Per questo, gli stati membri così come le istituzioni europee dovranno assumere le loro responsabilità nei loro rispettivi campi”, prosegue un comunicato congiunto.

    Il contrasto tra Buba e governo è un gioco delle parti? Secondo quel che il Foglio è in grado di ricostruire, le posizioni sono davvero diverse. Il piano Monti approvato a Bruxelles nel vertice di fine giugno, si è impantanato a Francoforte. Mentre la Merkel aveva dato il via libera, il Fondo salva stati non è stato utilizzato per abbassare gli spread. Tanto che molti si sono chiesti se Draghi stesse mettendo i bastoni tra le ruote. In realtà, è stata la Bundesbank a bloccare tutto, come ha ammesso ieri nel modo più esplicito possibile. Per uscire dall’impasse, Draghi ha deciso di prendere posizione urbi et orbi. E i mercati gli hanno creduto anche ieri: spread a 458, Borse positive, bene l’asta dei Bot a sei mesi, euro in rialzo. Parole forti, ma ancora parole. Non mancano di sottolinearlo anche dentro il governo italiano dove sono in molti a chiedere fatti concreti, soluzioni a lungo termine. Intanto, Giorgio Napolitano ha incontrato Draghi a Londra. E apprezzamenti sono arrivati anche da Tokyo e Washington.
    Giovedì prossimo si riunisce il Consiglio della Bce. Se si esclude l’acquisto di titoli pubblici, che cosa può fare? Può ridurre il tasso di riferimento allo 0,5 per cento, può allentare le condizioni per i bond che accetta come collaterali, può intervenire sul mercato privato, tutti modi per mettere in circolo altra liquidità.

    Secondo il Monde, l’Eurotower starebbe lavorando a un piano “concertato con gli stati dell’Unione per limitare l’aumento dei tassi d’interesse di Spagna e Italia”. Si tratta di usare l’Efsf per comprare titoli sul mercato secondario nelle prossime settimane, seguiti da acquisti sul primario da parte dell’Esm quando entrerà in funzione. Per evitare ostacoli istituzionali, la Bce farebbe domanda formale al Fondo che dovrebbe poi ottenere il semaforo verde dell’Eurogruppo. Essenziale è il consenso tedesco. Ne hanno parlato Hollande e Merkel ieri. Grandi manovre, dunque, accompagnate da grandi fibrillazioni in Germania, perché Berlino si avvicina al punto di non ritorno: se accetta di partecipare da protagonista al salvataggio dell’Eurozona, ci saranno molti mal di stomaco da chi pensa che l’aquila nera possa volare da sola; se si ritira salta tutto. Dicono che la delegazione tedesca fosse arrivata al G20 di Cannes, nel novembre scorso, con i trattati bilaterali che avrebbero dovuto sostituire quello europeo. Per fortuna, li hanno rimessi nel cassetto.

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    “Marchionne è insopportabile come presidente dell’Acea, l’associazione delle case automobilistiche europee, gli chiediamo di dimettersi”, ha dichiarato il responsabile della comunicazione di Volkswagen, Stephan Grühsem, rispondendo alle accuse lanciate dall’ad di Fiat. Se non se ne andrà Marchionne, in seguito ai suoi commenti “ancora una volta inqualificabili”, se ne andranno gli uomini di Wolfsburg. Il giorno prima il numero uno del Lingotto, in un’intervista all’International Herald Tribune, aveva detto che la politica di Volkswagen sta provocando “un bagno di sangue sui prezzi e sui margini”. Ieri il responsabile vendite della casa tedesca, Christian Klingler, ha sottolineato che la società non persegue una politica di prezzi eccessivamente aggressiva in Europa, pur ammettendo che la concorrenza si sta intensificando. I conti, comunicati ieri, sono buoni nel secondo trimestre, risultati in contrasto con quelli di Peugeot, Ford e Opel. Cosa c’è dietro?

    C’è la crisi profonda dell’automobile nel Vecchio continente. Peugeot, secondo produttore europeo, perde a rotta di collo, licenzia, chiude uno stabilimento e ingaggia un braccio di ferro con il governo socialista. Renault se la cava grazie ai risultati di Nissan in Asia. General Motors non sa che fare di una Opel ormai in caduta libera. Colpa della recessione, ma in realtà siamo alla resa dei conti di un settore ancora poco concentrato, con un netto eccesso di capacità produttiva. E’ successo anche negli Stati Uniti e l’industria americana si è ristrutturata, anche con il sostegno del governo, ma adesso produce, assume, vende e fa profitti. Marchionne ha chiesto che l’Ue metta in campo politiche di sostegno. Il gruppo Volkswagen si è opposto, perché è l’unico che ha successo con la sua forte presenza in Cina e una ristrutturazione affrontata per tempo, cioè prima che scoppiasse la grande crisi, e favorita dal governo socialdemocratico di Gerhard Schröder. Chapeau. Ma adesso segue una politica da mors tua vita mea. Marchionne non è diplomatico. Magari ha il dente avvelenato con i tedeschi che nel 2009 gli hanno negato la Opel, oppure intenderà sottolineare che VW si avvantaggia pure di possibilità di finanziamento a buon mercato irraggiungibili per i concorrenti a causa delle distorsioni presenti sul mercato, però non può essere accusato di aver leso la maestà della macchina del popolo.