I Fratelli bombardano
Sospeso a mezz’aria tra la visione dell’islam e il pragmatismo politico, il presidente egiziano espressione dei Fratelli musulmani, Mohammed Morsi, ora è costretto a gettarsi in fretta verso il pragmatismo, persino di stampo militare. Ieri ha licenziato il capo dell’intelligence, il generale Murad Muwafi, per non avere impedito la strage di 16 militari egiziani in una base del nord del Sinai, vicino al confine con Israele, domenica sera.
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Sospeso a mezz’aria tra la visione dell’islam e il pragmatismo politico, il presidente egiziano espressione dei Fratelli musulmani, Mohammed Morsi, ora è costretto a gettarsi in fretta verso il pragmatismo, persino di stampo militare. Ieri ha licenziato il capo dell’intelligence, il generale Murad Muwafi, per non avere impedito la strage di 16 militari egiziani in una base del nord del Sinai, vicino al confine con Israele, domenica sera. In realtà Muwafi era uno dei pezzi certamente funzionanti dell’establishment – è in collegamento diretto con il governo israeliano, che lo considera una controparte affidabile nella lotta al terrorismo. Il generale si è difeso dicendo che lui aveva chiesto che fosse chiuso il valico con Gaza, ma il presidente Morsi si era opposto perché la nuova libertà di circolazione con la Striscia è uno dei pochi, se non il solo, segno tangibile dell’arrivo dei Fratelli musulmani al potere. Muwafi sostiene anche che i servizi egiziani erano stati avvertiti in anticipo dagli israeliani, ma che hanno commesso un errore di valutazione: pensavano che i terroristi non avrebbero attaccato durante l’iftar, l’ora della rottura del digiuno durante il mese sacro del Ramadan.
Lunedì il governo presieduto da Morsi ha ordinato un’operazione antiterrorismo dell’esercito nel Sinai. All’alba di ieri quattro elicotteri Apache di fabbricazione americana hanno sparato razzi – un bombardamento egiziano nel Sinai, non succedeva dal 1973, dalla guerra dello Yom Kippur, ma allora i bersagli erano i soldati israeliani – contro un gruppo di case a Sheikh Zuwaid e contro tre fuoristrada in fuga e hanno ucciso 26 persone – così dice la tv di stato, ma non ci sono verifiche indipendenti (alcuni beduini smentiscono). Martedì notte gli uomini del gruppo terrorista erano entrati di nuovo in azione e avevano sparato contro sette checkpoint e contro una fabbrica di cemento di proprietà dell’esercito. Ieri avrebbero risposto al fuoco degli elicotteri sparando alcuni missili terra aria – da mesi si parla del traffico di questo tipo di arma dalla Libia post rivoluzionaria verso Gaza.
L’operazione egiziana è avvenuta in piena zona demilitarizzata grazie al consenso totale di Israele, secondo il meccanismo previsto negli accordi di pace di Camp David: il Cairo deve chiedere ogni mese il rinnovo di un’autorizzazione a Gerusalemme per muovere mezzi e soldati nell’area. Lunedì, il ministro della Difesa israeliano, Ehud Barak, ha detto che l’accordo di pace non è di certo un ostacolo per eventuali operazioni antiterrorismo egiziane nel Sinai. Finora gli egiziani non avevano mai sfruttato così a fondo le chance concesse dal trattato, ma ieri il vice primo ministro e ministro dell’Intelligence di Gerusalemme, Dan Meridor, ha ribadito che il governo israeliano non obbietterà se gli egiziani decidessero di impiegare forze pesanti per lanciare operazioni antiterrorismo della zona. Ora però gli egiziani tentano di sfruttare l’occasione per spremere qualche vantaggio dall’aggressione terrorista e hanno chiesto di rivedere e allargare i termini dell’accordo di pace.
Martedì al Cairo c’è stato il funerale dei sedici soldati. Il presidente Morsi ha commesso forse l’errore più grave del suo mandato finora e non si è fatto vedere, anche se il cronista della tv di stato, leggendo un foglio in diretta davanti alle telecamere, ha detto che era presente. Morsi era spaventato da quanto è accaduto al suo vice, Hisham Qandil, che poche ore prima era dovuto fuggire di corsa dalla moschea di al Rashdan, dove rendeva omaggio ai caduti, senza nemmeno il tempo di rimettersi le scarpe, circondato da una folla inferocita. Qandil non è un Fratello musulmano ma è considerato ideologicamente vicino. Morsi è andato all’ospedale a visitare i militari feriti e ha fatto dire al suo portavoce che “le misure di sicurezza necessarie per la sua presenza avrebbero aggiunto tensione e impedito alla gente di partecipare”.
Al funerale il rappresentante del partito salafita, Nader Bakr, è stato assalito e lo stesso è successo all’ex candidato presidenziale Abdel Fotouh, un tempo appartenente ai Fratelli musulmani. I partiti islamici sono considerati responsabili per la vicinanza a Hamas, che controlla Gaza e gli estremisti nell’area. “Il sangue dei nostri martiri cade sui Fratelli musulmani e su Hamas”, diceva un cartello tenuto alto tra la folla che assisteva al corteo funebre. Ieri il pragmatismo e l’opportunismo tattico dei Fratelli ha prevalso in un lampo sull’ideologia. Intanto, dietro il corteo funebre, avvolto nella bandiera nazionale, l’unico membro del governo presente era il ministro Mohamed Tantawi, capo dei generali.
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