Quella sporca ultima Troika. Ritratto dei super burocrati odiati dai greci
Arroganti, scortesi, inflessibili. Trattano politici e funzionari con aria di sufficienza. In questi due anni e mezzo di applicazione della loro severa ricetta per l’economia greca, non c’è stato neanche un interlocutore che sia uscito soddisfatto – nemmeno sul piano umano – dall’incontro con i tre esponenti della Troika greca. E poi fioriscono nei salotti ateniesi gli aneddoti sull’intransigenza calvinista dei tre “salvatori”, chiamati dal Signore “a punire i peccaminosi greci ortodossi”, portatori di una concezione antropocentrica del loro rapporto con Dio, un Padre troppo incline all’eterno perdono.
Atene. Arroganti, scortesi, inflessibili. Trattano politici e funzionari con aria di sufficienza. In questi due anni e mezzo di applicazione della loro severa ricetta per l’economia greca, non c’è stato neanche un interlocutore che sia uscito soddisfatto – nemmeno sul piano umano – dall’incontro con i tre esponenti della Troika greca. E poi fioriscono nei salotti ateniesi gli aneddoti sull’intransigenza calvinista dei tre “salvatori”, chiamati dal Signore “a punire i peccaminosi greci ortodossi”, portatori di una concezione antropocentrica del loro rapporto con Dio, un Padre troppo incline all’eterno perdono.
L’ex ministro del Lavoro, la socialista Louka Katseli, ha avuto una crisi isterica con tanto di bicchieri rovesciati e di testi strappati. Aveva presentato, in perfetto inglese, una dettagliata descrizione della struttura del salario greco. L’obiettivo era ridurre il peso dei contributi ai lavoratori dipendenti e accrescerlo ai datori di lavoro. Roba da 1,5 per cento. I tre Unti del Signore non si degnarono nemmeno di risponderle. Il suo successore nel governo Papademos, Giorgos Koutroumanis, ci ha riprovato: “Ma i lavoratori dipendenti non possono sopportare ulteriori tagli, signori della Troika! Ci portate verso la catastrofe! Il vostro piano non funziona!”, sbottò. “Neanche i vostri creditori sopportano ulteriori crediti. Fatelo. Tagliate ancora le retribuzioni”, fu la gelida risposta.
A capo della Troika c’è Poul Thomsen, 57 anni, esponente di punta del Fmi fin dal 1982. Il danese Thomsen è un liberista convinto: la sua famiglia ha sempre votato per il partito di centrodestra Venstre e viene considerato l’inventore della formula austerità-privatizzazioni-capitalizzazione delle banche applicata, con risultati alterni, in una ventina di paesi, dalla Yugoslavia prima delle guerre di secessione fino al Messico, più l’Ungheria, la Russia, l’Islanda. Si dice che faccia riferimento direttamente a Christine Lagarde e prima ancora a Dominique Strauss-Kahn, scavalcando il rappresentante permanente del Fmi ad Atene, l’olandese Bob Traa, famoso per essere stato cacciato il malo modo dal governo dell’Ecuador perché considerato “persona non grata”. Traa si preoccupa di raccogliere informazioni, poi viene il gran capo Thomsen che detta la linea. Non solo agli allibiti ministri greci, ma anche agli altri due componenti, l’austriaco Klaus Masuch della Bce e il silenzioso Matthias Mors, tedesco, rappresentante della Commissione europea dalla metà dell’anno scorso, quando ha sostituito il belga Servaas Deroose. All’epoca si disse che le sue dimissioni fossero state provocate da un violento alterco, durante il quale il viceministro dell’Economia Pantelis Economou aveva chiamato il tecnocrate belga “hooligan”. Altri invece hanno sostenuto che Deroose fosse fortemente contrario all’imminente “haircut” del debito greco. Il suo sostituto ha provato per le prime volte a esprimere qualche opinione, perfino in dissenso con i due esponenti del Fmi presenti ad Atene. Ma la reazione è stata tale da consigliargli il silenzio. E’ rimasto il solo Thomsen a parlare. E il suo ritornello è uno solo: “Do it!”, “fatelo!”, possibilmente senza discutere.
Thomsen, spesso da solo, qualche volta con gli altri due, ama passare le serate all’elegante caffè del Grande Bretagne, il sontuoso hotel di piazza Syntagma, nel cuore politico di Atene. In questi due anni e mezzo è stato anche visto in locali notturni accompagnato da una splendida bionda ateniese, nota alle cronache mondane. Più spesso però sta nel suo angolo al Grande Bretagne a ricevere imprenditori e banchieri greci che sottopongono al potente “viceré” le loro suppliche. Questi incontri hanno fornito il pretesto al leader socialista Evangelos Venizelos per scagliarsi con furia contro la dirigenza della Confindustria greca, accusata di aver sollecitato i radicali cambiamenti ai contratti nazionali di lavoro, abrogati per legge a febbraio. Era un escamotage dell’astuto Venizelos per assolversi in periodo pre elettorale. Ma c’è una base di verità: nei primi incontri dopo le elezioni di giugno, il ministro delle Finanze Giannis Stournaras e i suoi collaboratori hanno riscontrato che i “troikani” (come li ha battezzati la stampa ellenica) avevano imparato un’unica parola in greco. La pronunciavano male, e per farsi capire l’hanno messa per iscritto: “Metenèrgia”. E’ un termine in sindacalese puro e si riferisce alla durata residuale dei contratti collettivi dopo la loro abrogazione. Una questione complessa, sulla quale il leader conservatore Antonis Samaras si era impegnato in campagna elettorale a dare una soluzione favorevole all’interpretazione della centrale sindacale Gsee. Per il premier era semplicemente una “technicality” da definire con le parti sociali, ma qualcuno ha fatto la spia. Sapendo bene che l’interpretazione della Troika andava nel senso opposto a quella del governo.
Un anno e mezzo fa la Troika ha iniziato a parlare con la stampa greca. Nelle intenzioni dei super burocrati, era un modo per sdrammatizzare la situazione di fronte al massiccio movimento di piazza che protestava contro i “nuovi occupanti”. Ma è stato un boomerang. Mentre i governanti tentavano disperatamente di dare un’impressione di dura contrattazione, il buon Thomsen parlava fuori dai denti: “Negoziazione? Non c’è alcuna negoziazione con il governo greco. Abbiamo definito il piano, ora si tratta di applicarlo”, dichiarò in conferenza stampa a settembre. Poi, nel successivo incontro con il governo di Atene, volarono parole grosse. I “troikani” alla fine hanno mostrato i denti: hanno fatto le valigie e se ne sono andati. E’ dovuto intervenire Barroso presso Angela Merkel per farli tornare. A condizione che non aprissero bocca con i giornalisti. Ieri, poi, hanno annunciato che passata l’estate si ripresenteranno a settembre, e resteranno “per l’intero mese” per preparare il loro rapporto da sottoporre all’Eurogruppo di ottobre. E prima di allora, niente tranche del prestito da 30 milardi di euro. Facile prevedere che il tasso di popolarità dei “troikani” presso i greci non sia destinato a crescere.
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