La catastrofe che c'è e non c'è

L'estate della pace politica italiana letta alla luce dello scontro che si prepara

Salvatore Merlo

L’Economist è arrivato a ipotizzare la fine dell’Europa per come la conosciamo. Nella copertina che vedete riprodotta qui a fianco è raffigurata Angela Merkel mentre manda a memoria un terribile manuale delle istruzioni: “How to break up the euro”, come rompere l’euro. Anche in Italia, sotto la tovaglia di buon senso europeista che i partiti hanno disteso sul tavolo della politica, qualcosa si agita nell’ombra; ma all’italiana,  nessuno a Roma sta leggendo infatti manuali su come si sfascia ordinatamente l’Europa e su come si fa saltare l’agenda Monti per il 2013.

    L’Economist è arrivato a ipotizzare la fine dell’Europa per come la conosciamo. Nella copertina che vedete riprodotta qui a fianco è raffigurata Angela Merkel mentre manda a memoria un terribile manuale delle istruzioni: “How to break up the euro”, come rompere l’euro. Anche in Italia, sotto la tovaglia di buon senso europeista che i partiti hanno disteso sul tavolo della politica, qualcosa si agita nell’ombra; ma all’italiana,  nessuno a Roma sta leggendo infatti manuali su come si sfascia ordinatamente l’Europa e su come si fa saltare l’agenda Monti per il 2013. Anche per organizzare una catastrofe ci vuole rigore, al contrario nei Palazzi romani tutto è regolato da quel precario trabiccolo di veniali compromessi, aggiustamenti, omissioni e disordine che forse hanno reso nei secoli il nostro paese poco apprezzato per la sua affidabilità ma pure più vivibile di tanti altri. Il paese di Machiavelli, non quello di Lutero.

    In superficie tutto sembra andare per il meglio. Mario Monti flirta con Angelino Alfano e si complimenta con lui per il piano antidebito da 400 miliardi, mentre il Cavaliere tira le redini dei suoi troppi cavalli impetuosi, immagina una campagna elettorale quasi montiana e a Palazzo Grazioli fa risuonare una nuova musica, un nuovo nome e pure un nuovo simbolo per il vecchio Pdl: “Avanti Italia”, che significa una cosa sola cioè che la riscossa nazionale si conquista prima di tutto salvando i risparmi degli italiani. Anche Pier Luigi Bersani asseconda la stessa calma agostana, si fa intervistare dal Sole 24 Ore, rassicura Monti e il lord protettore Giorgio Napolitano: il Pd è per la continuità con l’agenda europea del governo tecnico, e la riforma della legge elettorale il Partito democratico la vuole fare per davvero. D’altra parte anche Bersani, almeno in pubblico, come Berlusconi, frena l’impeto dei suoi più giovani collaboratori e consiglieri come Stefano Fassina e Matteo Orfini che di “agenda Monti”, invece, non vorrebbero proprio più sentirne parlare. Dunque niente elezioni anticipate (a meno che non le voglia il Quirinale), niente porcellum, nessuna tentazione populista, addio Masaniello, nemmeno una scossetta, nessun tramestio. Tutti per Monti, tutti contro il debito, tutti per l’Italia. Forse.

    “C’è un gioco di specchi che nasconde l’abisso”, dice spesso Pier Ferdinando Casini, che sulla continuità con Monti ha investito tutto fino a stracciare il Terzo polo. E si capisce bene che del Pd e del Pdl, dei suoi alleati nella strana maggioranza, questo scaltro leader democristiano e montista non si fida fino in fondo; così come nemmeno Bersani e Berlusconi in verità si fidano della sua furbizia. Casini è un esperto della materia, e dunque sa bene che quanto più il momento sembra politico, tanto più si avvicina invece al puro gioco di scommessa: i giocatori si osservano attraverso il tavolo italiano, gli occhi iniettati di potere. Così, sotto una distesa di calma apparente e balneare, tutto invece un po’ si muove, niente è definito, nulla è sedimentato né certo. Anzi si alimentano voci, si rincorrono pettegolezzi, si intrecciano i troppi fili di trame vere e verosimili, di rovesciamenti di fronte, di colpi di mano minacciati o solo temuti, persino immaginati, scatti improvvisi e febbrili, fantasia e verità.

    Negli angoli bui del Nazareno, il loro quartier generale, i solidi socialdemocratici della segreteria di Bersani si danno di gomito e si fanno l’occhiolino quando il loro capo parla in pubblico della riforma elettorale, quando promette di cancellare l’odioso porcellum e forse dice esattamente il contrario di quello che pensa. Si danno di gomito, come dire: la gestiamo noi la riforma elettorale e potremmo anche non farla, se ci conviene. E lo stesso Casini, quando parlotta con Beppe Pisanu nello studio di Gianfranco Fini, quando telefona in segreto ai gerarchi in disarmo del berlusconismo, e quando dice che “sono io il partito di Monti” o quando spiega che “il vero partito dei moderati è il mio”, anche lui agita e spaventa il centrodestra non meno di quanto non faccia Bersani: e non c’è niente di più pericoloso per la stabilità come l’aggressione ai confini di un altro partito, la minaccia di “svuotare” il Pdl di Silvio Berlusconi. Tutto alimenta quelle secrezioni irrazionali che in queste ore trasudano dalla calma apparente del Palazzo e ne inquinano l’aria. Così la fiction politica, la fantascienza, si confonde con la realtà persino nella testa dei protagonisti, e quasi non si distingue più la vita dal sogno. Il solo sospetto che il mormorio possa celare anche una mezza verità o che si prepari una trappola nell’ombra, alimenta l’agitazione del Pdl già squinternato, che immagina contromisure, che teme di poter essere escluso dal prossimo governo, e che dunque si arrovella su quali leve possano essere azionate per respingere le oscure macchinazioni degli avversari.

    “Se Monti dovesse dimettersi per andare alle elezioni anticipate, io andrei da Napolitano chiedendogli di essere reincaricato presidente del Consiglio. Gli direi che ho ancora la maggioranza”, ripete spesso Berlusconi ai suoi uomini più fidati, lasciandoli – talvolta – persino un po’ interdetti. E anche lui pratica lo stesso genere letterario, contorto e fantasioso, dei suoi avversari. Ma è l’effetto del pissi pissi di Palazzo, delle trame, degli imbrogli e dei bidoni che i leader temono, ma che pure vorrebbero scambiarsi reciprocamente: dietro ogni riforma offerta e dietro ogni trattativa si nasconde il sospetto di una patacca. E il sospetto è l’anticamera del disastro. Patacca chiama patacca. “Per il Pd il negoziato sulla legge elettorale si pone in questi termini: o noi del Pdl accettiamo la riforma che vogliono loro o ci teniamo il porcellum che per noi significa una débâcle elettorale”, dice il senatore Andrea Augello. Ed è un po’ vero, come sanno benissimo Denis Verdini e Maurizio Migliavacca e come sanno pure Luciano Violante e Gaetano Quagliariello, i legati, gli ambasciatori di queste fragili trattative che per Casini si sono trasformate in “una sceneggiata napoletana”. Casini sa che tutto è possibile, l’irrazionalità non è cifra esclusiva dei soli mercati che si avvitano sulla crisi del debito, la teoria dei giochi non appartiene alla sola scienza economica: anche in politica le decisioni (o le intenzioni remote) di un soggetto possono influire sui risultati conseguibili da parte del rivale. E dunque mentre Bersani si lascia volentieri sospettare dai suoi alleati-avversari, mentre il segretario del Pd lascia che intorno a lui gravitino ogni genere di retropensieri, Berlusconi invece si attrezza per correre ai ripari; così Alfano corteggia la Lega, dice che un’alleanza è possibile, ma finisce pure incastrato da Roberto Maroni in una contraddizione matematica irrisolvibile: “Chi sta con noi non sta con Monti”, ha detto il leader della Lega. E il Pdl allora dove vuole stare? “Monti è sereno. Io non so se ci saranno le elezioni anticipate, ma di sicuro questo è l’ultimo governo della legislatura”, dice Casini, che pure così allude con evidenza a prospettive vertiginose. Perché intanto a Palazzo Grazioli, a casa del Cavaliere, è cominciata un’operazione sotto copertura: recuperare la vecchia maggioranza. Pdl e Lega hanno ancora più senatori di tutti gli altri a Palazzo Madama, mentre alla Camera il vecchio asse del governo Berlusconi ha perso molti deputati. Ma ne basterebbero altri sette, gli uomini di Gianfranco Micciché (cui è stata promessa la Sicilia) e gli scontenti di Fli (in cerca di ricandidature), per garantirsi i numeri anche a Montecitorio. E la strategia di recupero, che si intreccia confusa con le patacche che il Pd vorrebbe rifilare al Pdl, ha un senso pur in questo illogico e pericoloso labirinto di specchi, in questo mercatino crepuscolare: riprendere la maggioranza alla Camera è un’arma deterrente, significa recuperare anche capacità negoziale, significa – pensano – “poter costringere il Pd ha trattare sul serio sulla riforma elettorale”. A brigante, brigante e mezzo.

    Nulla in realtà ancora si muove davvero, ma nel Palazzo tutti sospettano di tutti, e tutti si esercitano nel disegnare scenari e nell’attribuire le più machiavelliche intenzioni all’avversario (che però – paradosso – è anche l’alleato). Persino le elezioni siciliane di ottobre sono un elemento di destabilizzazione possibile. Il centrodestra teme una sconfitta sonora, e dalle parti di Angelino Alfano sanno bene che qualora arrivasse una mazzata suonerebbe come un pericoloso liberi tutti. Ma c’è il Quirinale a fare da arbitro e c’è pur sempre una logica internazionale che precipita inesorabile: il prossimo governo ha già un suo programma obbligato e una sua composizione, la più larga possibile. Nessuno a Roma studia con rigore luterano il manuale dello sfascio totale, “how to break up the euro”. Forse si sentirà ancora sottotraccia il frastuono caotico degli orchestrali che provano gli strumenti ciascuno per conto suo, in assoluta e virulenta disarmonia. Ma alla fine – e lo si dice così, per istinto musicale più che per fondato ragionamento – tutto si ricomporrà in una coerente ouverture o sinfonia. Un dies irae è sempre possibile, ma sotto sotto nessuno in Italia lo cerca davvero.

    • Salvatore Merlo
    • Milano 1982, vicedirettore del Foglio. Cresciuto a Catania, liceo classico “Galileo” a Firenze, tre lauree a Siena e una parentesi universitaria in Inghilterra. Ho vinto alcuni dei principali premi giornalistici italiani, tra cui il Premiolino (2023) e il premio Biagio Agnes (2024) per la carta stampata. Giornalista parlamentare, responsabile del servizio politico e del sito web, lavoro al Foglio dal 2007. Ho scritto per Mondadori "Fummo giovani soltanto allora", la vita spericolata del giovane Indro Montanelli.