Lo spirito delle suore di St. Louis
Cinque giorni di conclave. Per dire che non vogliono rompere definitivamente con Roma ma che, nello stesso tempo, vogliono di qui in avanti essere ascoltate e capite. E non accusate dalle gerarchie, come invece è stato, di femminismo ed eresie liberal. Un segnale di resistenza, insomma, ma non di rottura. Non a caso, non c’è un responso definitivo, piuttosto uno statement per dire che i rapporti con Roma non sono chiusi, ma d’ora in poi dovranno essere più orizzontali.
Cinque giorni di conclave. Per dire che non vogliono rompere definitivamente con Roma ma che, nello stesso tempo, vogliono di qui in avanti essere ascoltate e capite. E non accusate dalle gerarchie, come invece è stato, di femminismo ed eresie liberal. Un segnale di resistenza, insomma, ma non di rottura. Non a caso, non c’è un responso definitivo, piuttosto uno statement per dire che i rapporti con Roma non sono chiusi, ma d’ora in poi dovranno essere più orizzontali.
E’ finito ieri, a St. Louis, la diocesi americana che per uno strano scherzo del destino è stata negli ultimi anni sempre in mano a vescovi molto conservatori (oggi Robert James Carlson, fino al 2008 Raymond Leo Burke, cardinale e prefetto del Supremo tribunale della segnatura apostolica), lo storico raduno col quale le 900 delegate della Leadership Conference of Women Religious (Lcwr), l’organizzazione che rappresenta la stragrande maggioranza delle suore americane (almeno l’ottanta per cento del totale), hanno dovuto decidere se cooperare coi tre vescovi che il Vaticano ha inviato loro per commissariarle, oppure se procedere di qui in avanti da sole e uscire, di fatto, dalla comunione con Roma. Altro che i lefebvriani. Qui una fuoriuscita definitiva avrebbe provocato un’emorragia di proporzioni numericamente notevoli, si stima di almeno 45 mila religiose: suore conosciute e stimate, impegnate in parrocchie, ospedali, opere di carità. C’era odore di scisma, insomma, una clamorosa frattura per un pontificato come quello di Benedetto XVI, fino a oggi particolarmente attento a includere le fazioni più estreme, quei “gruppi di destra e sinistra” che, come ha detto il neo prefetto della Dottrina della fede Gerhard Ludwig Müller in una delle sue prime uscite, “occupano molto del nostro tempo”.
L’ascia di guerra era stata dissotterrata quindici giorni fa dalla presidente della Lcwr, Pat Farrell (numero due della Congregazione delle suore francescane di Dubuque in Iowa) in un’intervista rilasciata alla National Public Radio all’interno di uno dei programmi più seguiti. Mentre il Vaticano ufficializzava l’arrivo del tedesco Müller all’ex Sant’Uffizio al posto dell’americano William Jospeh Levada, la Farrell gli offriva il benvenuto dicendo al mondo che le accuse del Vaticano nei loro confronti sono “prive di fondamento” e “potenzialmente distruttive per il proseguo della nostra missione”. Le accuse sono un documento di otto pagine in inglese (un “doctrinal assessment”), pubblicato in aprile dalla Dottrina della fede, nel quale, sviscerando i motivi di tale decisione, si incaricava l’arcivescovo di Seattle, James Peter Sartain (assistito dai vescovi Leonard P. Blair di Toledo, Ohio, e Thomas J. Paprocki di Springfield, Illinois) di riportare sulla retta via la Lcwr. In sostanza, per i watchdog della fede, le suore portano avanti indirizzi incompatibili – l’ex Sant’Uffizio parla di “dissenso collettivo” – con la dottrina, hanno la tendenza ad andare “oltre la chiesa” e persino “oltre Gesù”, come teorizzato in un discorso del 2007 della suora domenicana Laurie Brink. Non solo, le suore si rifiutano tutt’oggi di accettare la dichiarazione “Inter insigniores” nella quale nel 1976 Paolo VI ribadiva che al centro di ogni vita religiosa femminile deve tassativamente esserci la messa celebrata da un sacerdote maschio. Infine, le posizioni controverse su aborto ed eutanasia, fino alla goccia, che ha fatto irritare non poco il Vaticano, dell’appoggio dichiarato alla riforma sanitaria di Barack Obama, norme su aborto e contraccezione incluse. Dice la Farrell: “La nostra speranza è quella di contribuire alla creazione di un clima di sincerità e rispetto dove la gerarchia e il resto del popolo di Dio possano sollevare questioni, discuterle. Ma il mandato che alcuni vescovi americani hanno ricevuto dalla congregazione vaticana va in tutt’altra direzione e lascia piuttosto presumere una chiusura del dialogo”.
Al fondo c’è il grande problema messo a tema da Ratzinger già nel dicembre del 2005. Posto che la dottrina della chiesa non è un qualcosa di statico, come reinterpretarla, ringiovanirla si potrebbe dire, senza tradirla? “L’insegnamento e l’interpretazione della dottrina non può rimanere statico” dice la Farrell, “mentre il mondo cammina. La gerarchia non ha il compito di passare le sue giornate fra i senzatetto, ma le religiose sì”. E poi, sull’appoggio criticatissimo offerto a Obama: “Sostenere la vita, tutta la vita, significa occuparsi anche di coloro che stanno ai margini della società: i disprezzati, i malati mentali cronici, gli anziani, i carcerati, quanti sono nel braccio della morte. Noi abbiamo alzato la voce nei confronti della pena di morte, della guerra, di chi soffre la fame anche qui. La chiesa parla a favore del feto, certo, ma tace su altrettante questioni vitali, ed è una distorsione”.
Le gerarchie, anche dopo l’uscita di scena di Levada, non sono state a guardare. Senz’altro né Ratzinger né Müller volevano rotture definitive. Ma nemmeno potevano tacere. Per loro aveva parlato, prima del raduno di St. Louis, uno dei tre vescovi-commissari, Leonard Blair: le suore promuovono “unilateralmente un nuovo tipo di teologia che non è conforme a quella ufficiale”.
Per questo si era detto disponibile a “educare – proprio così, educare – le sorelle in merito, cercando di rispondere alle loro domande e preoccupazioni su alcune tematiche”. Che riguardano la pianificazione delle nascite, l’omosessualità e il ruolo della donna. Su quest’ultimo punto Blair era stato categorico: “Non esiste una via di mezzo”. E ancora: “Se qualcuno pensa che lo scandalo degli abusi che ha infangato la nostra chiesa possa impedirci di parlare o di esercitare la nostra responsabilità di vescovi maestri della fede, si sbaglia. La leadership della Lcwr deve riconoscere che su queste problematiche i vescovi hanno voce in capitolo e deve essere disposta a far sì che le religiose affiliate apprezzino e accettino gli insegnamenti della chiesa”.
Anche se “in pensione”, Levada ha seguito il dossier Lcwr da vicino. Il “doctrinal assessment” che ha voluto pubblicare lo scorso aprile era stato un colpo importante inferto anche internamente. Dal 2010, infatti, la Congregazione dei religiosi, diretta prima dal cardinale Franc Rodé e oggi dal focolarino cardinale brasiliano João Braz de Aviz, aveva iniziato una visita apostolica presso la Lcwr che molti oltre il Tevere avevano giudicato troppo conciliante. Levada aveva voluto prendere direttamente l’iniziativa e cercare, col consenso di alcuni confratelli “romani” di nascita statunitense (John P. Foley, Raymond L. Burke, Bernard F. Law e James F. Stafford) di lasciare un segno. Suor Mary Clare Millea, la sorella del cerimoniere pontificio William Millea, che aveva condotto per conto dei religiosi la visita apostolica, aveva dovuto incassare il colpo. E così avevano dovuto fare il segretario e il sottosegretario dei religiosi, rispettivamente il redentorista americano Joseph W. Tobin e la suora italiana Nicla Spezzati che, come fa notare Sandro Magister “non usa vestire l’abito da suora, come abitualmente non lo vestono le suore del gruppo dirigente della Lcwr”.
Prima di ieri i vescovi americani avevano molte domande e poche risposte. Per quanto ancora suor Pat Farrell intende spingere le religiose statunitensi sulla strada del dissenso? Arriverà allo “scisma” o si fermerà un passo prima? Levada, dialogando sul National Catholic Reporter con John Allen, aveva fatto capire che qualora la Lcwr non avesse accettato il commissariamento del Vaticano “potrebbe essere sciolta d’autorità a favore di una nuova organizzazione più fedele al magistero”. Il suo successore Müller, però, ha assunto una posizione meno chiusa. Pochi giorni fa ha chiesto di “superare gli scontri ideologici da qualunque parte essi provengano” e di non “lavorare gli uni contro gli altri”. Una posizione conciliante confermata anche dal capo dei vescovi americani, l’arcivescovo di New York Timothy Dolan che, ripreso dall’Osservatore Romano, ha scritto che “il Vaticano ama le suore ribelli”.
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