Il Cairo recide i contatti con Israele
Una settimana fa, dopo la strage di militari egiziani nel Sinai, fonti israeliane hanno detto al Foglio: “Ci fidiamo dell’Egitto perché abbiamo buoni rapporti con i militari e con i servizi segreti e siamo in collegamento diretto con il capo delle Forze armate, il generale Mohamed Tantawi, e con il capo dell’intelligence, il generale Murad Muwafi”. Una settimana più tardi, di quei collegamenti diretti non resta più nulla. Il generale Muwafi è stato cacciato dal suo incarico martedì scorso.
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Una settimana fa, dopo la strage di militari egiziani nel Sinai, fonti israeliane hanno detto al Foglio: “Ci fidiamo dell’Egitto perché abbiamo buoni rapporti con i militari e con i servizi segreti e siamo in collegamento diretto con il capo delle Forze armate, il generale Mohamed Tantawi, e con il capo dell’intelligence, il generale Murad Muwafi”. Una settimana più tardi, di quei collegamenti diretti non resta più nulla. Il generale Muwafi è stato cacciato dal suo incarico martedì scorso. Il generale Tantawi è stato deposto a sorpresa domenica, assieme ai comandanti di esercito, aviazione e marina. I riferimenti più noti che ancoravano Israele alla politica estera dell’Egitto ora governato dai Fratelli musulmani sono stati recisi.
Dal suo punto di vista, il presidente egiziano e leader interno della Fratellanza, Mohammed Morsi, è riuscito in un capolavoro di accelerazione politica (Marc Lynch su Foreign Policy lo definisce “Lamborghini Morsi”). L’ironia in questo cataclisma nell’establishment del Cairo è che le teste dei generali sono rotolate per colpa della strage nel Sinai compiuta contro il loro esercito da militanti islamisti che, sebbene lontani dalla Fratellanza, hanno però agito grazie all’assenza di controllo alla frontiera con l’enclave palestinese di Gaza, governata da Hamas, costola della Fratellanza egiziana. Son stati Morsi e Hamas a volere la libera circolazione tra i due lati del confine come segno del cambiamento post Mubarak.
Già due mesi fa il direttore dell’intelligence, Muwafi, aveva raccomandato un assalto contro i terroristi nella penisola del Sinai con l’impiego di almeno un battaglione corazzato con 30 carri armati, appoggiato da otto elicotteri e altri mezzi. L’operazione era caldeggiata da americani e israeliani – un delegato di Gerusalemme ha incontrato Muwafi e Tantawi all’inizio di luglio, all’insaputa del presidente Morsi – ma è arrivata soltanto in questi giorni, a strage avvenuta, con il nome di “operazione Aquila”. Dopo la cacciata, il capo delle spie, alto, elegante, che parla inglese e francese e intrattiene ottimi rapporti con molti servizi occidentali, ha spiegato di avere ricevuto un avvertimento dettagliato sul rischio di un attacco e di avere passato ai militari le informazioni, “la responsabilità dell’intelligence è raccogliere le notizie, spettano ad altri le decisioni operative sul terreno”. Muwafi aveva chiesto che i valichi fra la Striscia di Gaza e l’Egitto fossero chiusi, il governo non lo ha ascoltato. Dopo, è arrivata la cacciata.
L’eliminazione della vecchia guardia dei militari apre un problema interno all’Egitto perché il presidente Morsi ora governa senza più freni, anche se provvisoriamente: il Parlamento è stato sciolto, la Carta costituzionale temporanea è stata annullata, i nuovi generali non promettono bene. Il sostituto di Tantawi come ministro della Difesa e capo delle Forze armate, Abdul Fatah al Sissi, è lo stesso che nel giugno 2011 ha risposto a Amnesty International che i famigerati “test di verginità” sulle donne arrestate a piazza Tahrir (che erano a tutti gli effetti violenze sessuali brutali) erano necessari “per impedire che i soldati fossero in seguito accusati di stupro”.
Apre anche un problema con i palestinesi, che al momento sono divisi: una parte vive a Gaza sotto il controllo degli estremisti di Hamas, l’altra vive sotto l’Autorità nazionale palestinese (Anp), che accetta l’idea di un negoziato di pace con Israele e riceve aiuti dagli Stati Uniti. Muwafi, nel suo ruolo di capo dell’intelligence egiziana, faceva anche da broker negli accordi tra Hamas e Anp (e talvolta anche con Israele, come nel caso della liberazione del soldato rapito Gilad Shalit, interamente negoziata al Cairo). Muwafi è riuscito a impedire durante il suo mandato il prevalere di Hamas sull’Anp, ipotesi che torna con ricorrenza preoccupante nelle analisi sul futuro dei palestinesi. La Fratellanza che ora decide la politica estera si è definita equidistante tra Hamas e l’Anp, ma è un’affermazione ancora da dimostrare.
Il rimpiazzo di Tantawi, il generale al Sissi, ieri ha ricevuto le congratulazioni da Ismail Haniyeh, leader di Hamas nella Striscia. Da Washington, dove nessuno era stato avvertito dei cambi imminenti, dicono che il neo ministro della Difesa ha rapporti con loro e che ha fatto un anno di studi militari negli Stati Uniti. Il quotidiano israeliano Maariv sostiene che al Sissi comunica con l’élite che si occupa della sicurezza di Israele, “dal direttore delle politiche della Difesa, Amos Gilad, all’inviato speciale del primo ministro, Yitzhak Molcho, a naturalmente il ministro della Difesa Ehud Barak”. Molcho e Barak hanno incontrato al Sissi durante recenti visite al Cairo.
Tantawi e Munafi, però, si muovevano in autonomia dal governo. Sembra impossibile che i loro sostituti facciano ora altrettanto senza un ordine di Morsi, che due mesi dopo l’insediamento non ha ancora aperto le comunicazioni con Israele.
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