Pragmatismo ed equilibrio sono le vittime del nostro sistema

L'integrismo giudiziario

Marina Valensise

“Fiat iustitia pereat mundus” dice un antico brocardo. Che  ritorna  d’attualità  dopo l’ordinanza del gip di Taranto, Patrizia Todisco, che ha firmato il sequestro dell’area a caldo dell’Ilva, e la revoca della custodia al presidente Bruno Ferrante. Non sarà che l’integrismo giudiziario è un effetto dell’inesorabilità di principio, tipica della tradizione italiana fondata sull’obbligatorietà dell’azione penale?

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    “Fiat iustitia pereat mundus” dice un antico brocardo. Che  ritorna  d’attualità  dopo l’ordinanza del gip di Taranto, Patrizia Todisco, che ha firmato il sequestro dell’area a caldo dell’Ilva, e la revoca della custodia al presidente Bruno Ferrante. Non sarà che l’integrismo giudiziario è un effetto dell’inesorabilità di principio, tipica della tradizione italiana fondata sull’obbligatorietà dell’azione penale? Il costituzionalista Fulco Lanchester,  preside di Scienze politiche alla Sapienza di Roma, è convinto che alla radice di tutto c’è il rapporto tra il ceto politico e la magistratura, che sin dagli anni Settanta ha cambiato natura. “Davanti alla carenza di rappresentanza del ceto politico, la magistratura ne ha assunto una sua autonoma, cambiando i meccanismi di selezione e di controllo interno. Tant’è che oggi un giudice a Taranto può mettere in scacco il ministro della Giustizia, dell’Ambiente, del Lavoro e dello Sviluppo mentre la catena gerarchica in seno alla magistratura si è dissolta”.

    Nicolò Zanon, membro laico del Consiglio superiore della magistratura, ne fa invece una questione tecnica: “Distinguerei i settori: l’obbligatorietà dell’azione penale  viene brandita come un’arma contundente e uno strumento essenziale nell’amministrazione della giustizia, col suo seguito di notizie pubblicate sui giornali,  prima ancora che ne vengano a conoscenza i diretti interessati, maltrattamenti degli imputati prima ancora che vengano condannati da una sentenza del tribunale e altre forme di gogna mediatica. Ma quando poi vai a vedere gli atti delle procure, scopri che l’azione penale risponde a criteri di priorità scelti dalle stesse procure. Perciò l’obbligatorietà è un mito che oggi non regge”. E  la vitalità dell’antico brocardo? “C’è dietro una concezione precisa, e cioè il primato dell’attività giurisdizionale da affermarsi contro ogni altro valore. Guai a contestare scelte legittime delle procure anche se comportano conseguenze molto gravi per l’occupazione. Invece, bisognerebbe avere un maggiore pragmatismo, come gli anglosassoni che prestano molta più attenzione di noi all’equilibrio dei valori. Mentre noi siamo preda della retorica giustizialista: qualunque sistema sembri mitigare l’inesorabilità dell’attività giurisdizionale viene considerato un attentato all’eguaglianza dei cittadini di fronte alla legge”.

    Il problema non è l’opposizione, ma la commistione tra sistemi di common law e civil law, spiega Tommaso Frosini, ordinario di Diritto pubblico comparato al Suor Orsola Benincasa di Napoli. Ma che succede nei paesi anglosassoni dove non esiste obbligatorietà dell’azione penale? “Lì l’inesorabilità discende dalle linee guida fissate dall’autorità centrale”, risponde Antonio Patrono della Direzione nazionale antimafia, fresco autore, con Antonello Mura, di uno studio (“La giustizia penale in Italia. Un processo da sbloccare. La lezione americana”, Cedam) in cui spiega come in America e in Gran Bretagna il magistrato valuti i pro e i contro, prima d’agire penalmente, anche se la discrezionalità non significa arbitrio, anzi. “Le conseguenze possono essere ancora più drastiche di quanto non lo siano da noi, dove nonostante l’obbligatorietà, l’azione della magistratura rischia a volte di restare lettera morta o tradursi in una petizione di principio”. 

    “Nei sistemi giudiziari anglosassoni, l’azione penale è sì discrezionale, ma il pmdeve tenere conto delle politiche criminali o penali dei poteri pubblici. Niente azione penale quando il fatto sia di minima rilevanza, o riguardi un valore patrimoniale minimo che non desta allarme sociale; opportuno procedere quando il reato sia addebitabile a persone con un ruolo istituzionale importante, perché non farlo vorrebbe dire indurre a pensare che esse vengano favorite”. Ma come si risponde, allora, all’argomento secondo il quale l’obbligatorietà è il principio che salva l’indipendenza delle procure? “L’argomento può valere dal punto di vista politico, perché nel nostro sistema il pm non è eletto, ma non dal punto di vista funzionale. Un conto sono le procedure, cioè le regole del processo, un altro le norme dell’ordinamento, e cioè come si nominano i giudici; ma le assicuro che sul piano processuale anche la discrezionalità è compatibile con l’ indipendenza della magistratura”.
    Il problema dell’integrismo giudiziario non sta tanto nella differenza tra obbligatorietà e discrezionalità, quanto  nella commistione tra due sistemi, dice Tommaso Frosini, costituzionalista liberale. “Nel sistema di common law non ci sono codici, regole scritte puntigliose, ma il diritto lo crea il giudice attraverso le sue sentenze. Nel nostro sistema,  il giudice invece è ‘la bocca della legge’, dovrebbe applicare ciò che il legislatore ha previsto. Solo che da noi si è finito per esasperare l’esaltazione della legge, attribuendo al giudice un compito interpretativo, col risultato paradossale di concentrare common law e civil law:  non solo il diritto emana dal legislatore, ma viene creato per volontà giurisdizionale dalle sentenze del giudice. Così la figura del giudice ha finito per rafforzarsi vuoi per l’indebolimento del legislatore vuoi per l’incapacità di regolare  fattispecie giuridiche puntuali.

    Il giudice dunque ha smesso di essere il garante dell’applicazione della legge, per diventare colui il quale attraverso le sue decisioni crea il diritto. E’ così che il nostro sistema ha messo in mano alla giustizia un potere che travalica i confini della separazione  tra legislativo e giudiziario, prevista da Montesquieu. Anziché limitarsi ad applicarla, il giudice crea la legge, perché in assenza di regole interpretative è lui prima ancora del legislatore a decidere sul contingente. Per questo il gip di Taranto è intervenuta senza aspettare le motivazioni del tribunale del riesame, o che il legislatore emanasse una legge, o il governo decretasse il da farsi. Il risultato di quest’anomalia ora è l’ipotesi di un conflitto di attribuzioni, col governo che minaccia di rimettersi alla Corte costituzionale per dirimere un conflitto con la magistratura, facendo risolvere ai giudici un conflitto che riguarda altri giudici.”

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