Trappole mediorientali
Nella guerra diplomatica sulla Siria brilla l'eterna lotta fra arabi e iraniani
La Siria è stata ufficialmente sospesa dall’Organizzazione per la cooperazione islamica, l’Oci. La decisione – su cinquantasette membri ha votato contro solamente l’Iran, che tramite il ministro degli Esteri, Ali Akbar Salehi, ha definito il provvedimento “ingiusto e iniquo” – si è resa “necessaria per fermare immediatamente gli atti di violenza in quel paese”, si legge nel comunicato finale del vertice nella città santa della Mecca, in Arabia Saudita.
La Siria è stata ufficialmente sospesa dall’Organizzazione per la cooperazione islamica, l’Oci. La decisione – su cinquantasette membri ha votato contro solamente l’Iran, che tramite il ministro degli Esteri, Ali Akbar Salehi, ha definito il provvedimento “ingiusto e iniquo” – si è resa “necessaria per fermare immediatamente gli atti di violenza in quel paese”, si legge nel comunicato finale del vertice nella città santa della Mecca, in Arabia Saudita.
Sarebbe stata proprio la monarchia wahabita a gestire l’operazione che ha estromesso Damasco dal club dei paesi islamici, convincendo anche i membri che in un primo momento sembravano più riottosi, come l’Algeria (che secondo il quotidiano israeliano Haaretz potrebbe essere presto ricompensata con la nomina dell’ex ministro degli Esteri, Lakhdar Brahimi, a mediatore delle Nazioni Unite e della Lega araba dopo la rinuncia di Kofi Annan). La cacciata – seppur temporanea – non sorprende: la Siria degli Assad, dinastia alawita vicina agli “eretici” sciiti, è sempre stata considerata un corpo estraneo nel ricco e potente circolo dell’Oci. Il segretario generale dell’organizzazione, il diplomatico turco Ekmeleddin Ihsanoglu, ha parlato di “messaggio forte rivolto dal mondo musulmano al regime siriano”, anche se i primi destinatari dello sfratto, più che Bashar el Assad, sembrano essere gli ayatollah di Teheran.
E’ l’Iran sciita a rappresentare l’obiettivo diretto dei sauditi, che non a caso rappresentano il perno nella regione (insieme al Qatar) di quel sistema missilistico di difesa teorizzato da Hillary Clinton già nel 2009 durante una visita in Thailandia. Lo scudo – che coinvolge tutti i paesi della penisola araba – è destinato a “fronteggiare la minaccia iraniana”, come ha detto il segretario di stato americano lo scorso marzo. Il progetto preoccupa l’Iran, al punto che il comandante delle forze di terra di Teheran, il generale Ahmad Reza Pourdastan, ha detto che la Repubblica islamica “è pronta a ogni mossa per tutelare i propri interessi nazionali e per fermare le intromissioni degli Stati Uniti”. Il vertice della Mecca, secondo qualche osservatore iraniano, si è rivelato una trappola: se ufficialmente all’ordine del giorno c’era la condanna e la sospensione della Siria, governata da un “regime che massacra il suo popolo utilizzando aerei, carri armati e artiglieria pesante”, come ha detto il segretario dell’Oci, e l’ennesimo riconoscimento formale della Palestina come stato indipendente e sovrano – al presidente Abu Mazen si negano però i fondi necessari a evitare il collasso dell’economia palestinese – a Teheran sono convinti che l’obiettivo reale fosse indebolire la Repubblica degli ayatollah.
La guerra parallela in Libano
Una delle possibili evoluzioni del conflitto siriano è lo scontro tra sciiti e sunniti, e i primi segnali di ciò si stanno manifestando in Libano, da decenni avamposto di Damasco sul Mediterraneo. Il 15 agosto alcuni media libanesi hanno diffuso la notizia (rivelatasi poi falsa) dell’uccisione di undici pellegrini in un raid aereo ad Azaz, città non distante da Aleppo. In poche ore, centinaia di libanesi delle periferie della capitale abitate in prevalenza da sciiti hanno occupato le strade, incendiando auto e cassonetti e bloccando il viale che porta all’aeroporto internazionale di Beirut, costringendo tra l’altro un volo dell’Air France ad atterrare a Cipro.
A complicare una situazione già instabile, si aggiunge poi il rapimento di più di venti cittadini siriani, di un turco e di un saudita da parte di un gruppo vicino a Hezbollah che in cambio della liberazione dei prigionieri – considerati fiancheggiatori dei ribelli dell’Esercito di liberazione siriano, che ieri hanno rivendicato l’uccisione di trentacinque soldati lealisti negli scontri di Aleppo – chiede il rilascio di un membro di spicco del clan Miqad, rapito dagli oppositori di Assad nei pressi di Damasco e accusato di far parte di un contingente di mujaheddin sciiti reclutati da Hezbollah per partecipare alla repressione governativa.
Nonostante le rassicurazioni del presidente libanese, Michel Suleiman, che si è detto “ottimista” riguardo al mantenimento della sicurezza interna, cinque paesi del Golfo hanno invitato i propri connazionali a lasciare Beirut al più presto, temendo che il Libano diventi presto il terreno su cui si dispiegherà lo scontro intraislamico tra sciiti e sunniti.
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