Colorado di blu o di rosso?
Il Colorado diventa il 38esimo stato dell’Unione nell’agosto del 1876, giusto un secolo dopo la Dichiarazione d’indipendenza. Vista l’impossibilità pratica di mettere in piedi una macchina elettorale efficiente in tempo per le elezioni presidenziali di novembre, i tre “grandi elettori” del Centennial State vengono assegnati d’ufficio dal Parlamento locale, che sceglie il candidato repubblicano Rutherford Hayes. Alla fine di un’elezione molto combattuta, Hayes prevale sul democratico Samuel Tilden per un solo voto elettorale (dopo aver perso il voto popolare con un distacco del 3 per cento). Il destino “rosso” dello stato, evidentemente, era scritto nelle stelle.
Primo articolo di una serie di ricognizione negli stati decisivi della campagna presidenziale americana
Il Colorado diventa il 38esimo stato dell’Unione nell’agosto del 1876, giusto un secolo dopo la Dichiarazione d’indipendenza. Vista l’impossibilità pratica di mettere in piedi una macchina elettorale efficiente in tempo per le elezioni presidenziali di novembre, i tre “grandi elettori” del Centennial State vengono assegnati d’ufficio dal Parlamento locale, che sceglie il candidato repubblicano Rutherford Hayes. Alla fine di un’elezione molto combattuta, Hayes prevale sul democratico Samuel Tilden per un solo voto elettorale (dopo aver perso il voto popolare con un distacco del 3 per cento). Il destino “rosso” dello stato, evidentemente, era scritto nelle stelle.
Da quando, nel 1880, il Colorado partecipa effettivamente alle elezioni presidenziali, su 33 cicli elettorali il Gop ne vince 21, contro le 11 affermazioni democratiche. L’unica eccezione alle ferree regole del bipartitismo statunitense arriva nel 1892, quando il Colorado è – insieme a Nevada, Idaho, Kansas e North Dakota – uno dei cinque stati vinti dal candidato del Populist Party, James Weaver (che a livello nazionale arriva all’8,5 per cento). Dopo tre elezioni molto favorevoli ai repubblicani (1880, 1884 e 1888) e la parentesi “populista” di Weaver, il Colorado si affida al democratico William Jennings Bryan, che conquista il Centennial State nel 1896 (addirittura con l’84,9 per cento dei voti), nel 1900 e nel 1908, ma viene sempre sconfitto a livello nazionale dai suoi avversari repubblicani: le prime due volte da William McKinley e poi da William Taft. Tra le tre vittorie di Bryan – “figlio prediletto” del Colorado malgrado sia nato e cresciuto in Illinois e chiamato “silver tongued orator” perché si batte per sostituire il Gold Standard con l’argento – nel 1904 si inserisce Theodore Roosevelt, che utilizza il suo mandato per trasformare larghi tratti dello stato in parco nazionale. Nel 1912 e nel 1916 si impone Woodrow Wilson, prima che lo stato torni in mani repubblicane dal 1920 al 1928 (Warren Harding, Calvin Coolidge, Herbert Hoover) per poi seguire l’onda nazionale con Franklin D. Roosevelt nel 1932 e nel 1936.
Tanto per sottolineare il suo indomabile spirito d’indipendenza, il Colorado rifiuta FDR sia nel 1940 che nel 1944, ma torna sotto l’ala protettrice dei democratici nel 1948, scegliendo Harry Truman. E’ proprio in questo decennio, però, che il governo federale inizia a utilizzare gli enormi spazi vuoti dello stato per costruire – come in New Mexico, Arizona, Utah e Nevada – basi dell’esercito e dell’aviazione. La presenza sempre più massiccia di personale militare, repubblicano per tradizione, trasforma il Colorado in una roccaforte del Gop. Dwight Eisenhower si sbarazza agevolmente della candidatura di Adlai Stevenson sia nel 1952 (+21,3 per cento) sia nel 1956 (+19,6 per cento). E nel 1960 Richard Nixon sfiora il margine in doppia cifra (+9,7 per cento) contro John F. Kennedy. Nel 1964 il Colorado sbanda momentaneamente verso i democratici con la vittoria landslide di Lyndon Johnson su Barry Goldwater. Ma è soltanto una parentesi. Con la rivincita di Nixon nel 1968 (+9,1 per cento su Hubert Humphrey) lo stato torna solidamente in mano al Gop e ci resta per 24 anni. Si tratta del periodo di “fedeltà” più lungo concesso dal Colorado a uno dei due partiti. I margini delle vittorie repubblicane variano anche sensibilmente: si va dal +8 per cento di George Bush Sr. contro Mike Dukakis nel 1988 e il +11,5 per cento di Gerald Ford contro Jimmy Carter nel 1976 fino al +28 per cento di Nixon contro George McGovern nel 1972 e il +24 per cento e +28,3 per cento di Ronald Reagan sempre contro Carter nel 1980 e nel 1984. Ma la sostanza del dominio repubblicano non cambia. Ci vorranno Bill Clinton e, soprattutto, Ross Perot per riportare nel 1992 il Colorado nella colonna democratica. Clinton si impone su Bush Sr. con appena 4 punti percentuali di vantaggio, a causa dei consensi raccolti dal miliardario texano (28,3 per cento). Con l’effetto Perot in fase calante, nel 1996 il Gop riconquista lo stato, anche se con un distacco ridottissimo (+1,3 per cento: il margine di vittoria minore dal 1912).
Proprio in questi anni, il Colorado è investito dalla marea di immigrazione ispanica che si espande nel sud-est e nell’ovest degli Stati Uniti. Tra il 1990 e il 2005 la popolazione di origine ispanica raddoppia la propria presenza in almeno 30 contee del Centennial State. A essere “risparmiate” sono solo quelle contee, soprattutto nel sud dello stato, in cui i latinos superano già il 50 per cento della popolazione. Malgrado le vittorie di George W. Bush nel 2000 (+8,4 per cento su Al Gore) e nel 2004 (+4,6 per cento su John Kerry), la presa del Gop sul Colorado inizia inesorabilmente ad allentarsi. Fino a che, nel 2008, Barack Obama non diventa il primo democratico, dal 1964, a conquistare la maggioranza assoluta dei voti.
Obama vince in Colorado con un margine vistoso (+8,9 per cento), dopo quasi un ventennio di assoluto digiuno per i democratici. Il presidente vince in 26 contee, strappandone sette ai repubblicani. E tre di questi pick-up sono contee molto popolose nella ricca zona settentrionale al centro dello stato. In quest’area geografica, all’interno del triangolo Denver-Aurora-Boulder, vive più del 61 per cento degli abitanti del Colorado. Qui la maggior parte delle città sono adagiate sulla Interstate-25, in una linea che va da nord a sud e s’infittisce quando incrocia la Interstate-70, appena a est delle Montagne rocciose. Due di queste tre contee sono anche tra le quattro più grandi dello stato: Arapahoe e Jefferson, che insieme raccolgono più di un milione di abitanti. Si tratta di ricchi sobborghi di Denver che nel Dopoguerra hanno sempre votato repubblicano, ma che grazie alla forte immigrazione ispanica sono prima diventati competitivi nel 2004 per poi slittare verso il Partito democratico nel 2008.
Come è facile intuire dalla cartina pubblicata in questa pagina, la base elettorale storica dei democratici è rappresentata geograficamente da una sorta di C che parte a nord-est dalle parti di Denver e Boulder per muoversi in senso antiorario verso ovest e chiudersi con le contee a maggioranza ispanica del sud. Il Gop, invece, è forte soprattutto verso il confine orientale con Kansas e Nebraska, nelle contee del nord-ovest al confine con Utah e Wyoming e, soprattutto, nella contea di El Paso (Colorado Springs) che è una delle più ricche e popolose di tutto il Colorado.
A grandi linee, si possono identificare due principali pilastri della presenza repubblicana nello stato. Il primo è rappresentato da quasi tutte le zone rurali, con due eccezioni: le zone a maggioranza ispanica e le aree con molte stazioni sciistiche. Una sorta di raffigurazione plastica, quest’ultima, di quell’alleanza tra “ricchissimi” e “poverissimi” che compone la più classica delle coalizioni democratiche post FDR.
Ski resort a parte, questa regione ha molto in comune con altre contee rurali a forte maggioranza repubblicana sparse nelle Grandi Pianure o nel Mountain West. Gli abitanti sono in genere bianchi e più poveri (anche se non di molto) rispetto alla media nazionale. E votano Gop da almeno un secolo. I democratici si lamentano spesso di come abbiano perso, nel corso degli anni, il controllo elettorale della working class bianca in stati come la West Virginia, che un tempo votavano in massa per il loro partito. Qui è la stessa cosa, solo che i lavoratori del Colorado a votare democratico proprio non ci hanno mai pensato. L’unico problema di questo strapotere repubblicano nelle zone rurali dello stato è che, sotto il profilo numerico, conta davvero poco. Parliamo infatti del due-tre per cento della popolazione totale.
Ecco perché, per il Gop, è molto più importante il secondo pilastro: quello rappresentato dai suburbs (sobborghi) e gli exurbs (centri residenziali extraurbani) che vanno da Denver a Colorado Springs. Si tratta in genere di località in cui vivono famiglie benestanti, toccate soltanto marginalmente dall’immigrazione. Un esempio perfetto è proprio Colorado Springs, nota anche per essere il quartier generale di numerosi gruppi evangelici, come Focus on the Family (fondato nel 1977 da James Dobson e presto diventato una delle organizzazioni più attive e influenti della cosiddetta destra religiosa). Si mescoli il tutto con una buona dose di basi militari, ed ecco la ricetta perfetta per il Colorado “rosso”.
Il Colorado “blu”, invece, raccoglie gran parte della propria forza elettorale in due sole aree metropolitane che – anche se in modo molto diverso – sono tradizionalmente roccaforti del Partito democratico. Boulder è una classica città liberal: nel 2000 vota in massa per Ralph Nader (11,8 per cento) e – esattamente come a San Francisco, Portland, Seattle o tutto lo stato del Massachusetts – i suoi abitanti sono ricchi, molto spesso bianchi e con forti inclinazioni progressiste. Denver, al contrario, è più simile alle città governate col pugno di ferro dalla macchina del partito, come Chicago, Los Angeles e Detroit. Proprio come in queste città, la popolazione è più povera della media nazionale e l’immigrazione è molto alta. Da queste parti, a comandare, è chi controlla il welfare. Anche se ospitano molti più elettori rispetto alle zone rurali, il vantaggio accumulato dal Partito democratico a Denver e Boulder non sarebbe sufficiente a vincere in Colorado. Ecco perché nel 2008, per Obama è stata decisiva un’ottima performance nei sobborghi. Ed ecco perché, per capire chi avrà più probabilità di portare a casa il Centennial State il 6 novembre, bisognerà tenere d’occhio soprattutto i sobborghi a sud di Denver (Arapahoe e Jefferson) strappati di recente al dominio repubblicano, ma anche contee come Douglas, Garfield, Chaffee e Grand. Da queste parti il Gop deve assolutamente tornare sui livelli del 2004 per avere qualche speranza di vittoria.
Un segnale incoraggiante per i repubblicani è rappresentato dal risultato delle elezioni di midterm del 2010 al Senato. Pur perdendo, il Gop ha recuperato quasi sette punti percentuali rispetto al 2008, malgrado un candidato piuttosto debole, proprio grazie ai voti riconquistati nei sobborghi a sud di Denver (in particolare nella contea di Douglas). Se a novembre si ripetesse quella “rivolta di Suburbia” nei confronti delle politiche pro urbane dell’Amministrazione Obama che nel 2010 ha causato la pesante sconfitta democratica, allora il Colorado può davvero tornare in gioco per i repubblicani. Magari con l’aiuto della numerosa comunità di mormoni che vivono al confine occidentale con lo Utah.
Un altro dettaglio importante da osservare sarà, nelle settimane precedenti al voto, la quantità di denaro speso dai democratici sul media-market di Colorado Springs, che copre El Paso e dintorni. Se il Team Obama si sentisse abbastanza forte da provare a sfondare in questa contea, la campagna di Romney sarebbe costretta a controbilanciare l’offensiva. In caso contrario, ci troveremmo di fronte a un’esplicita ammissione di sconfitta da parte dei repubblicani. In pericolo, allora, insieme ai sei voti elettorali del Centennial State, ci sarebbero anche i due distretti della Camera (il terzo e il sesto) difesi rispettivamente da Scott Tipton e Mike Coffman. E gli analisti avrebbero buon gioco nel definire il Colorado come la nuova roccaforte democratica del Mountain West.
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