Cosa ci insegnano i telecronisti inglesi in muta contemplazione della tv

Stefano Pistolini

Ho assistito ai Giochi olimpici da Londra, più che altro dalla tv, attraverso i 24 canali tematici che la Bbc ha allestito per l’occasione e nelle cronache generaliste del primo canale della rete, che proponeva il meglio quotidiano. Mi sono fatto alcune idee al riguardo, per quanto concerne la migliore spettacolarizzazione dello sport oggi in tv, in relazione a una somministrazione e a un suo consumo il più “civile” possibile.

    Ho assistito ai Giochi olimpici da Londra, più che altro dalla tv, attraverso i 24 canali tematici che la Bbc ha allestito per l’occasione e nelle cronache generaliste del primo canale della rete, che proponeva il meglio quotidiano. Mi sono fatto alcune idee al riguardo, per quanto concerne la migliore spettacolarizzazione dello sport oggi in tv, in relazione a una somministrazione e a un suo consumo il più “civile” possibile. I Giochi olimpici, come le altre grandi competizioni globali che contemplano dispiegamento di economie, progettualità e mezzi tecnici, sono prima un prodotto tv che un evento da consumarsi attraverso la partecipazione diretta. Lo dico per esperienza personale: qualche sortita (a caro prezzo) negli impianti della città olimpica si è tradotta in esperienze al limite del fastidio, per quanto era pilotata, sorvegliata, condizionata, ammaestrata nei modi di partecipazione e nel perenne distacco dall’evento a cui assisteva. Esattamente il contrario di quanto accadeva in tv, dove le vere Olimpiadi sono andate in scena per 17 giorni, con cromatismi dedicati, tempi televisivi, coreografie ad hoc (basta la testimonianza di chi ha partecipato allo stadio alle cerimonie di apertura e chiusura, cercando caoticamente di raccapezzarsi, mentre era finito “dentro”, in mezzo, a uno spettacolo tv). Lo “spettatore delle gare”, il tormentone più irritante della regia televisiva britannica, per come gli è stato delegato il compito d’incarnare il dato di “entusiastica partecipazione popolare”, era pura scenografia. Bandita l’idea del tifoso, vietati gli eccessi di partigianeria, le immagini sportive sono state punteggiate in montaggio dalle apparizioni dei più variopinti e demenziali convenuti, bistrati e addobbati, e puntualmente colti nel momento in cui divenivano consapevoli d’essere ripresi dalle telecamere, e perciò salutavano, smorfiavano ed esprimevano bambinesco tripudio.

    Del resto si voleva certificare la grande festa e soprattutto il successo di un’organizzazione magnifica. E quello era il prezzo da pagare per poterselo godere da casa (niente spot tv, sulla Bbc, as usual). In quello che per il resto era il trionfo dell’immagine sportiva, effigiata nella sua dimensione più sexy e carnale, rallentata come la più virtuosistica scena di sesso. Alla quale, si sa, pochissimo servono dialoghi e parole. Motivo per cui alla Bbc si è fatta una scelta di grande interesse, su cui è bene riflettere. La scelta della contemplazione. La prevalenza dell’immagine nel puro mostrarsi. Senza superflui commenti. Con la bellezza del silenzio. I telecronisti della Bbc tacevano per lunghi minuti, senza l’ansia di riempire lo spazio tra ogni commento necessario. Lasciando la centralità dello spettacolo tv alla grandiosità della messinscena, sia pure nei momenti di attesa o di quiete. Con un effetto complessivo che, col passare dei giorni, abituandoci a questo stile (e nel frattempo ascoltando le lamentele degli amici dall’Italia per gli sproloqui delle nostre voci delegate) è diventato un nuovo modo di consumo tv, nel quale pacatezza, concentrazione, ma anche delocalizzazione del teleschermo nella geografia della stanza – non sempre centro, ma anche periferia della nostra visione da spettatori salottieri – ha creato una liturgia nuova e interessantissima.

    Non siamo più nell’epoca delle radiocronache. Il commentatore non è più affabulatore e burattinaio della fantasia dell’ascoltatore. Non è più protagonista, ma accessorio, pena l’irrituale invasione di campo nel dispiegarsi delle emozioni a disposizione dello spettatore. Dice troppo e spesso a sproposito, fuori sincronia con il progetto estetico e d’intrattenimento che prevedeva, appunto, la dittatura delle immagini, la dominanza di una rappresentazione tv delle competizioni approdata a completa maturazione e nei dintorni della perfezione, almeno di quella bidimensionale. Meglio di così non ve le possiamo fare vedere, più da vicino, “dentro”, con la sensazione di svelare segreti, drammi ed emozioni contenute nel gesto atletico. Da ogni angolazione. Con successione di punti di vista che non lasciano nulla di nascosto, al punto da rendere perfettamente appagante lo spettacolo: i 10 secondi della finale dei 100 metri dissezionati in dozzine di rappresentazioni complementari tra loro, fino a esaurire, a svuotare, a concludere lo spettacolo. Repliche ulteriori non necessarie. Il bello è che in coincidenza con alcune imprese formidabili, ad esempio quelle di Mo, l’eroe inglese dei 5.000 e 10.000 metri, si è invece concesso – programmaticamente – ai commentatori di abbandonarsi a deliri shakespeariani che fungessero da vera colonna sonora drammaturgica del capolavoro in the making. Mentre l’omino magro e guizzante filava sulla pista, un compunto specialista della materia tv inscenava il monologo mugolante, urlava e sbraitava, abbandonandosi perfino a espressioni come “non conosco parole per descrivere ciò che stiamo vedendo”, o “non ho mai vissuto un’emozione del genere”.

    La telecronaca, per una minima frazione di tempo, riacquistava centralità e senso spettacolare. Si declinava in teatro emotivo, in appello motivazionale: cari spettatori, quanto vi stiamo mostrando è meraviglioso, e voi avete l’opportunità di assistere a tutto ciò. Consideratelo un momento speciale, congratulatevi con voi stessi per essere presenti e ringraziate mamma Bbc, in questa sua soffusa, sofisticatissima nuova versione digitale (premere il red button per l’interattività). Tutto il resto è solo noiosa vita normale. Lo show è qui, adesso.