Non ho l'età

Annalena Benini

Quest’anno, durante il concerto di congedo, Ivano Fossati ha cantato ancora “La costruzione di un amore”. Che spezza le vene delle mani, mescola il sangue col sudore, se te ne rimane. E’ la canzone dell’amore assoluto, devastante, che si fa grande fino al cielo, e “come se dopo tanto amore bastasse ancora il cielo”. La conosciamo tutti, ogni volta abbiamo pregato Fossati di ricantarla, l’abbiamo messa in auto a tutto volume, in casa la domenica mattina, felici di sentirci parte di qualcosa di tanto doloroso, ognuno col suo ricordo intatto da legare attorno a quelle strofe.

    Quest’anno, durante il concerto di congedo, Ivano Fossati ha cantato ancora “La costruzione di un amore”. Che spezza le vene delle mani, mescola il sangue col sudore, se te ne rimane. E’ la canzone dell’amore assoluto, devastante, che si fa grande fino al cielo, e “come se dopo tanto amore bastasse ancora il cielo”. La conosciamo tutti, ogni volta abbiamo pregato Fossati di ricantarla, l’abbiamo messa in auto a tutto volume, in casa la domenica mattina, felici di sentirci parte di qualcosa di tanto doloroso, ognuno col suo ricordo intatto da legare attorno a quelle strofe. Quella sera, forse l’ultima, Fossati ha detto con ironia che inventarsi una canzone così a vent’anni va bene (lui ne aveva ventisette e la scrisse per Mia Martini), ma scriverla a quaranta o a cinquant’anni sarebbe da disadattati, da gente che ha bisogno di cure. E tutti ad annuire e ridacchiare, molti imbarazzati (soprattutto i cinquantenni che avevano stretto forte la mano della propria innamorata fin dalla prima nota, sussurrandole: questa è per te, che mi spezzi le vene). Allora è vero, come ha scritto ieri il giornalista del Corriere della Sera Paolo Conti, che a una certa età (nel suo caso, cinquantotto anni) sarebbe più dignitoso chiudere con l’amore? Innamorarsi da adulti, scrive, è penoso, ci si trasforma nella parodia del se stesso di trent’anni prima, con risultati catastrofici. E si finisce sempre per vestirsi più o meno come Roberto Formigoni, si insegue qualcosa che non esiste più (“Trovo pietosa, anzi ridicola, anche solo l’ipotesi di innamorarmi”). Anche il protagonista di “Morte a Venezia” di Thomas Mann si sentiva ridicolo e folle per non riuscire a staccare gli occhi da quel ragazzino polacco, eppure andò incontro all’epidemia di colera, pur di poterlo guardare da lontano. E si truccò, e si fece tingere i capelli, nell’assurda speranza di sembrargli meno orribile. L’amore è vita, è letteratura, è un colpo di vento. Arriva a venti e a cent’anni, e magari non lo si desiderava affatto o non lo si aspettava più. A volte arriva troppo spesso, altre volte si chiama qualunque cosa “amore”. Ma di questo si vive.

    Certo il galateo dell’età adulta richiederebbe che un sessantenne non si trasformasse in un adolescente con il motorino truccato e le magliette sudate dopo la notte in discoteca, e in una serie tivù ho scoperto che esistono i jeans da uomo che si gonfiano sul sedere, per offrire l’illusione della pienezza perduta. Ma tutto questo ha a che fare con il lato estetico, con le conseguenze, con le figuracce, con la paura di invecchiare, non con il senso dell’amore. Non è indispensabile sfidare il ridicolo per innamorarsi da iper adulti, comportarsi da quindicenni a un concerto rock, calarsi gli anni, imbottirsi i pantaloni, lasciare l’impronta del fondotinta sul cuscino, inseguire le ragazzine. E nemmeno cambiare faccia, se si è donne, nella speranza di recuperare lo sguardo dei vent’anni. E’ più complicato, forse, ma a guardare i sessantenni abbracciati sulla spiaggia continua a spezzare le vene delle mani. E comunque Ivano Fossati, dopo avere distrutto le illusioni di molti spettatori, quella notte li consolò immediatamente, offrendo loro in cambio la canzone dell’amore maturo. “E’ il tempo che è finalmente, o quando ci si capisce, un tempo in cui mi vedrai accanto a te nuovamente, mano alla mano”. Si intitola “C’è tempo”, e benedice ogni tempo dell’amore.
     

    • Annalena Benini
    • Annalena Benini, nata a Ferrara nel 1975, vive a Roma. Giornalista e scrittrice, è al Foglio dal 2001 e scrive di cultura, persone, storie. Dirige Review, la rivista mensile del Foglio. La rubrica di libri Lettere rubate esce ogni sabato, l’inserto Il Figlio esce ogni venerdì ed è anche un podcast. Ha scritto e condotto il programma tivù “Romanzo italiano” per Rai3. Il suo ultimo libro è “I racconti delle donne”. E’ sposata e ha due figli.