Bruciami negra

Alessandro Giuli

La prima tentazione è stata quella di immaginare che Daniele Ughetto Piampaschet da Giaveno abbia ucciso la sua nerissima Bocca di Rosa in omaggio alla propria laurea in Filosofia (con una predilezione speciale per la Psicopatologia dell’età evolutiva). Un gesto titanico sgorgato da una figura a metà tra il Raskolnikov dostoevskijano e l’Unico di Max Stirner: atto puro di appropriazione erotica, e perciò amorale, verso il proprio sé che si specchia nella prostituta nigeriana uccisa a coltellate.

Leggi Scrivo male ma ammazzo benissimo di Mariarosa Mancuso

    La prima tentazione è stata quella di immaginare che Daniele Ughetto Piampaschet da Giaveno abbia ucciso la sua nerissima Bocca di Rosa in omaggio alla propria laurea in Filosofia (con una predilezione speciale per la Psicopatologia dell’età evolutiva). Un gesto titanico sgorgato da una figura a metà tra il Raskolnikov dostoevskijano e l’Unico di Max Stirner: atto puro di appropriazione erotica, e perciò amorale, verso il proprio sé che si specchia nella prostituta nigeriana uccisa a coltellate. L’excessus mentis da overdose di letteratura filosofica conserva pur sempre una sua luce sinistra di grandezza.

    I fatti, quelli raccontati dai Carabinieri della provincia di Torino, dicono che un uomo di trentaquattro anni è stato arrestato con l’accusa di avere accoltellato a morte Anthonia Egbuna, nigeriana ventenne ripescata a un mese dal decesso dentro il Po, il 26 febbraio scorso, nei pressi d’una diga dell’Enel accanto al Parco Einaudi. Un cliente che ammazza la sua puttana. Cinico neorealismo sabaudo, in apparenza. Ma questa volta anche gli sbirri hanno dovuto riconoscere un sovrappiù di senso che ispessisce la banalità dell’ammazzamento: “Nella mattinata del 4 luglio, i militari della Compagnia Carabinieri di Chivasso, eseguivano un decreto di perquisizione locale e personale degli immobili nella disponibilità delle due donne in Torino (due amiche della Egbuna familiari al presunto assassino, ndr). Tale operazione permetteva di rinvenire e sequestrare, oltre a un ingente quantitativo di sostanza stupefacente, oggetti e documenti intestati e di proprietà della vittima, e un dattiloscritto in italiano intitolato ‘La Rosa e il Leone’, il cui contenuto narra la storia dell’amore di un uomo italiano e di una donna nigeriana, con un epilogo tragico (omicidio-suicidio da parte dell’uomo), alcune lettere manoscritte in lingua italiana e inglese e una scatola di un telefono cellulare appartenuto alla vittima”.

    Quel dattiloscritto, secondo il verbale dei gendarmi, è un manifesto paraletterario scritto da Daniele Ughetto Piampaschet poco tempo prima di aggredire la donna, e oggi è la prova regina che lo incatena (assieme al turbinio delle telefonate, circa 1.900, registrate nei tabulati del telefono cellulare). A tradirlo è stato dunque il tentativo di romanzare, esorcizzare i demoni neri della morte oppure celebrarli nell’evocazione preventiva dell’omicidio che sarebbe infine stato compiuto. L’ultimo contatto tra i due risale al 27 novembre 2011, quando lei deve avergli detto per sempre “basta”. “Lui l’amava e l’amava sempre di più, ma lei non voleva saperne di lasciare la strada. Tutti i suoi tentativi di convincerla a cambiar vita erano falliti. E per questo si era trasformata nella sua torturatrice”. Così ha scritto il presunto omicida nel suo canovaccio letterario e nelle lettere indirizzate alla sua ossessione. Piampaschet frequentava Anthonia dal febbraio del 2011, la caricava quasi tutti i giorni a via Coppino, in Borgata Vittoria, sulla sua Fiat Punto blu e andava a fare l’amore con lei per trovarci “l’Assoluto in terra” già assaporato durante il suo matrimonio fallito con un’altra nigeriana (lei lo ha abbandonato): “L’Africa per me significava Nigeria. E Nigeria significava le donne. E le donne significavano le prostitute, così chiamate da tutti ma per me rappresentavano l’Assoluto in terra. L’Assoluto in termini di bellezza”. Oggi di quell’Assoluto in terra rimane una foto segnaletica. Lei rasata, lui con una zazzera e un volto spento che sembrano una sfida involontaria al ben più patibolare Iginio Ugo Tarchetti, maestro di Scapigliatura e piemontese come lui, però più bello e fortunato con le donne (“Mi hanno tutto sacrificato, avvenire, felicità, reputazione”).

    Piampaschet è stato sfortunato. Ha cercato e conosciuto, senza riuscire a dominarlo, l’“Eros nero” descritto nel secolo scorso dall’egittologo Boris de Rachewiltz: un vortice ossessivo governato senza tregua da Oshun, dea dell’attrazione e acqua che corrode. Non si è suicidato come il suo doppio filosofico-letterario, a maggio è espatriato a Londra per lavorare al servizio di sicurezza delle Olimpiadi, con la prospettiva di svernare in Gran Bretagna, ovvero di restarci per sempre, magari trovando sulle rive del Tamigi una terza dea nigeriana dell’Assoluto in terra. Sperava forse che nel frattempo le indagini s’incagliassero nel Po, dove le alghe avevano già compromesso la possibilità di scannerizzare le impronte palmari della sua Anthonia o passarci sopra la fuliggine per metterne in rilievo i fasci papillari scampati alla decomposizione. Ma i gendarmi avevano già letto “La Rosa e il Leone”. E il giorno dopo Ferragosto, quando chissà perché Piampaschet è rientrato a casa in Italia, assieme a lui hanno sequestrato un altro racconto intitolato come il suo destino: “Bruciami negra”.

    Leggi Scrivo male ma ammazzo benissimo di Mariarosa Mancuso