Giovani capi Pd contro il patto tra i grandi del Pd. Trame e paradossi

Claudio Cerasa

“La storia di quel patto è vera, eccome se è vera. Posso dirvi però di stare tranquilli: ché prima di metterlo in funzione, quel patto, dovranno passare sul nostro corpo!”. La scorsa settimana su questo giornale vi abbiamo raccontato di un nostro pranzo con un informato e spigliato dirigente del Partito democratico con il quale, dietro la garanzia dell’anonimato, abbiamo conversato sulla nascita di un patto di sindacato siglato metaforicamente dai principali azionisti del Pd.

Leggi Storia, segreti e trame del patto di sindacato tra i grandi del Pd di Claudio Cerasa

    Roma. “La storia di quel patto è vera, eccome se è vera. Posso dirvi però di stare tranquilli: ché prima di metterlo in funzione, quel patto, dovranno passare sul nostro corpo!”. La scorsa settimana su questo giornale vi abbiamo raccontato di un nostro pranzo con un informato e spigliato dirigente del Partito democratico con il quale, dietro la garanzia dell’anonimato, abbiamo conversato sulla nascita di un patto di sindacato siglato metaforicamente dai principali azionisti del Pd. Lo stesso dirigente del Partito democratico – creando poi nei giorni successivi un acceso dibattito nel Pd – a un certo punto della discussione ha preso carta e penna e tra una briciola di pane e una macchia d’olio ha stilato sulla tovaglietta del ristorante una sottospecie di “papello” con i nomi dei principali contraenti del “patto” (Bersani, D’Alema, Franceschini, Veltroni, Letta, Bindi) e le varie richieste, e offerte, fatte o ricevute dai vari azionisti in vista del prossimo possibile governo. Il papello, come detto, valeva quello che valeva, e se valeva, come scritto, valeva soprattutto per essere la testimonianza fotografica di un certo e insistente vociferare che girava e gira nel Palazzo a proposito della piccola grande coalizione costruita attorno a sé dal segretario del Pd. Papello o non papello, però, fatto sta che l’esistenza di un patto tra i grandi del Pd da piccolo vociferare che era oggi è diventato un elemento di analisi che nessuno nel centrosinistra è incline a negare. Non lo negano, seppure lontano dai microfoni, gli stessi contraenti del patto e ora – novità – non lo negano, a microfoni accesi, i vari azionisti esclusi dal grande accordo che in un modo o in un altro sognano di distruggerlo, quel patto: chi romanticamente con l’idea di scalare il partito, magari, e chi invece, meno romanticamente, con l’idea di allargarlo, il patto, ed entrarci di prepotenza. Azionisti più o meno grandi come i neo-rottamatori alla Pippo Civati, i neosocialdemocratici alla Matteo Orfini, gli ultra-liberal alla Gianluca Lioni e i renziani alla Matteo Richetti, tutti convinti che i grandi capi del Pd siano pronti per marciare uniti in vista delle prossime elezioni e tutti convinti, con varie sfumature, che compito primario delle nuove generazioni sia quello di segnalare l’incombenza del patto e fare di tutto, poi, per trovare un nuovo ordine.

    Dice Pippo Civati: “Il papello non so se esista ma mi sembra verosimile. Il patto di sindacato invece non solo è verosimile ma è alla luce del sole, e di fatto c’è una Santa alleanza attorno al segretario. Il fatto che i vecchi ‘nemici’ abbiano smesso di litigare in teoria dovrebbe essere un buon segno, ma in realtà nasconde un problema non di poco conto. I grandi azionisti, infatti, hanno creato un’alleanza che prescinde dai contenuti (alcuni di loro sono ipermontiani, altri antimontiani più o meno dichiarati) incentrata tutta su una questione generazionale, e incredibilmente loro stessi, gli stessi cioè che rimproveravano e rimproverano i più giovani di volerli mandare via solo per ragioni generazionali senza avere un progetto alternativo per governare al loro posto, si ritrovano ora ad avere al centro del loro patto solo una questione legata alla carta d’identità. Come per dire: noi stiamo insieme perché facciamo parte di una generazione esperta che oggi al contrario delle altre sa come governare e come sopravvivere alla crisi, al di là dei risultati, s’intende. Paradossale, no?”. “Il papello – suggerisce Lioni, trentenne, liberale, capo dei T-Party del Pd – mi sembra un esercizio di fantapolitica; ma che gli highlander del Pd tendano all’auto-conservazione questo purtroppo è innegabile. La nostra generazione, ovviamente, deve rompere le scatole e gli schemi e fare del partito un soggetto che guarda al futuro, e non c’è dubbio che per farlo e scardinare eventuali patti di sindacato deve fare uno sforzo e impegnarsi per garantire che prima delle elezioni ci siano le primarie”.

    Come Civati e Lioni la pensa anche uno dei volti simbolo della corrente forse più vivace del Pd, Matteo Orfini, responsabile Cultura del partito e animatore dei così detti Giovani turchi. Anche Orfini è convinto che le primarie siano “lo strumento migliore per mettere a nudo, e scongiurare di conseguenza, i patti di sindacato” e pur essendo sicuro che Bersani rispetterà l’impegno di “non costruire la sua squadra utilizzando le foto ingiallite dei vecchi governi del centrosinistra” chiede sia messa agli atti una richiesta solo apparentemente formale. “Posso dirvi di stare tranquilli – dice con un sorriso Orfini – ché prima di metterlo in funzione, quel patto, dovranno passare sul nostro corpo! Detto questo noi combatteremo affinché sia impedito, nel caso in cui il Pd vinca le elezioni, che si combinino pasticci e che per esempio siano nominati come ministri esponenti del Pd che abbiano già avuto per due volte esperienze di governo. Agli atti, a dire il vero, non mi risulta che Bersani abbia siglato, per così dire, alcun patto con nessun dirigente. Semmai, e questo sì, noto invece tanti dirigenti, un tempo lontani da Bersani, che oggi si danno un gran da fare per far pervenire al segretario i propri desiderata. Gli stessi che tra l’altro un tempo, a loro volta, si davano un gran da fare per invocare le primarie e che oggi invece, forse per avere accesso al patto di sindacato, misteriosamente i gazebo non li invocano più. Strano non trovate?”.

    Ai giovani del Pd, trenta o quarantenni che siano, gli osservatori più maliziosi fanno notare che limitarsi a denunciare l’esistenza di un super patto tra i grandi senza poi scendere in campo con una propria proposta alternativa è un atteggiamento, diciamo così, che rischia di apparire molliccio. E dunque, certo, va bene indignarsi e accigliarsi per l’esistenza dei papelli o accordi sottobanco, ma farlo soltanto per essere poi inclusi all’interno del patto, e non combattere invece per mettere in campo un’appetibile offerta innovativa, forse non è il modo migliore per dare un contributo alla crescita del partito. O no?
    “Io dico di sì – dice Matteo Richetti, braccio destro di Matteo Renzi e presidente del consiglio regionale dell’Emilia Romagna – denunciare senza combattere per cambiare è un atteggiamento pigro, incoerente. A Bersani va dato atto di aver dimostrato coraggio e di non essersi prestato a giochini strani per farsi tenere in ostaggio dagli azionisti di maggioranza del Pd. Detto questo sorprende però che nel Pd nessuno, tranne il segretario, consideri una priorità il tema delle primarie e sorprende anche che nel nostro partito ci sia qualcuno, penso per esempio a Enrico Letta o a Walter Veltroni, che pur pensandola come noi si trova dall’altra parte della barricata, magari solo per questioni generazionali. Sarebbe bello, invece, che le primarie, quando saranno, si trasformassero in una battaglia di idee vera e non in una guerra tra carte di identità. Sarebbe naturale, in teoria, ma purtroppo temo che non sarà così. E non solo per colpa dei grandi vecchi, ahimè, ma anche per colpa di tanti finti giovinastri che a parole denunciano il conservatorismo del partito ma che poi con i fatti dimostrano di essere persino più conservatori e più mollicci di qualsiasi grande azionista di qualsiasi grande patto di sindacato”.

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    • Claudio Cerasa Direttore
    • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.