Scene di lotta fra toghe all'ombra del Quirinale (con il Cav. in tribuna)

Stefano Di Michele

Se il Cav. non c’è, ora i giudici fanno da sé? Nell’estate luciferina dei 40 gradi all’ombra e della “partita mortale” (allerta Fatto) in corso, improvvisamente le voci più alte si levano dal fronte che sembrava, se non compatto, almeno civilmente schierato – non si erano forse tanto amati, ma di sicuro si erano molto sopportati. Adesso, più niente. La lettera – a gradazione da anticiclone subsahariano – spedita da Gian Carlo Caselli al Corriere, per replicare a un’intervista dell’“ex collega” Pier Luigi Vigna, alle sue “scontate banalità”, è di quelle destinate a lasciare il segno.

Leggi Gli arditi del Fatto contro i cagasotto quirinalizi

    Se il Cav. non c’è, ora i giudici fanno da sé? Nell’estate luciferina dei 40 gradi all’ombra e della “partita mortale” (allerta Fatto) in corso, improvvisamente le voci più alte si levano dal fronte che sembrava, se non compatto, almeno civilmente schierato – non si erano forse tanto amati, ma di sicuro si erano molto sopportati. Adesso, più niente. La lettera – a gradazione da anticiclone subsahariano – spedita da Gian Carlo Caselli al Corriere, per replicare a un’intervista dell’“ex collega” Pier Luigi Vigna, alle sue “scontate banalità”, è di quelle destinate a lasciare il segno. Vigna aveva invocato “una netta separazione tra magistratura e politica… altrimenti si può diffondere l’idea che la magistratura abbia degli obiettivi politici e che quindi agisca per favorire o sfavorire questa o quella forza politica”. E come “caso emblematico” – dice Caselli: “Acrobatico esempio” – cita l’inchiesta sull’ex presidente della provincia di Palermo, Francesco Musotto (poi assolto). Caselli rivendica il lavoro svolto allora dalla sua procura, accusa Vigna di “attribuirmi diffamanti obiettivi politici” e di aver ricevuto “quasi un regalo di compleanno” quando il governo del Cav., con un’apposita leggina, “prodromica a quella contro la mia persona”, prorogò il suo mandato all’Antimafia.

    L’assenza del Cav. dalla scena politica pare mandare sempre più in corto circuito il fronte che – con maggiore o minore ardore – aveva fronteggiato la sua lunga avventura politica. E dall’altra parte, ecco Luciano Violante che sulla Stampa prende ancor di più le distanze dall’antico “partito dei giudici” parlando di “populismo giuridico”, un “blocco che fa capo al Fatto, a Grillo e a Di Pietro” – e pure trasmissioni “come quelle di Santoro” vengono evocate – denunciando “l’attacco politico in corso al ruolo del Quirinale e al governo”. Ma c’è un’altra presa di posizione destinata a far rumore: quella di Marcello Maddalena, procuratore generale di Torino, che sul Corriere polemizza duramente con l’attuale uso delle intercettazioni, chiedendo una nuova legge. “Quel che dico può non piacere ai giornalisti”, mette le mani avanti Maddalena, ma “non c’è il minimo dubbio: le intercettazioni non penalmente rilevanti non dovrebbero essere diffuse. Mai”. Il processo, aggiunge, “non viene svolto per dare materiale alla cronaca, ma per tutelare dei valori costituzionali che sono rappresentati dal codice penale. Ovviamente, nei limiti stabiliti, ci deve essere un momento di pubblicità. Ma con limiti precisi. Altrimenti facciamo il Grande Fratello e mettiamo tutti sotto controllo”. Ma c’è altro: sullo scontro tra Quirinale e procura di Palermo, se da un lato i pm “hanno interpretato correttamente e in buona fede la normativa”, dall’altro “il Quirinale ha le sue ragioni quando dice che non è concepibile che siano intercettate le conversazioni del presidente della Repubblica”. E con Maddalena, anni fa, proprio Marco Travaglio scrisse un libro che fece molto rumore: “Meno grazia, più giustizia” – da molti all’epoca giudicato quasi come un manifesto del giustizialismo: insospettabile di codardia. Lo scontro con il Quirinale sta aprendo inaspettate crepe – il velenoso sospetto di vigliaccheria per chi non si schiera pare aver provocato l’effetto contrario a quello sperato. Ieri, debordante Travaglio contro Scalfari che difende Napolitano, mentre i lettori scrivono per rilevare come “dalla Repubblica sia scomparsa la firma di Ezio Mauro”: forse pure quelli di Largo Fochetti sono ormai persi alla causa.

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