Scrivo male ma ammazzo benissimo

Mariarosa Mancuso

Marilyn Monroe va a frugare tra le carte di Arthur Miller e trova un manoscritto. Nelle pagine viene descritta una ragazza un po’ labile, bionda ossigenata, seguita passo passo da un’insegnante di recitazione, propensa alle crisi di abbandono. Lei si riconosce e va su tutte le furie. Il marito scrittore finge di cadere dalle nuvole: “Ma cara, cosa vai a pensare, è solo finzione letteraria”. Ovvio che lei non se la beve – fingeva l’ocaggine, mica lo era davvero (i maschi mancano di un detector adatto alla bisogna).

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    Marilyn Monroe va a frugare tra le carte di Arthur Miller e trova un manoscritto. Nelle pagine viene descritta una ragazza un po’ labile, bionda ossigenata, seguita passo passo da un’insegnante di recitazione, propensa alle crisi di abbandono. Lei si riconosce e va su tutte le furie. Il marito scrittore finge di cadere dalle nuvole: “Ma cara, cosa vai a pensare, è solo finzione letteraria”. Ovvio che lei non se la beve – fingeva l’ocaggine, mica lo era davvero (i maschi mancano di un detector adatto alla bisogna).

    “Finzione letteraria” serve a rassicurare la consorte che non è lei la cornuta del romanzo. Serve a zittire i parenti che dicono “quella lì somiglia tutta a zia Luigina” (la domanda infastidiva particolarmente Edith Wharton, convinta che per fare una zia romanzesca ce ne volessero almeno dieci in carne e ossa). Serve a rassicurare la giovane amante, che nel romanzo appare bruna e non bionda per un ingenuo tentativo di depistaggio, sulla sua qualità di musa ispiratrice. Serve per discolparsi davanti all’ispettore di polizia che ti interroga in questura, dopo aver perquisito la casa trovandoci un manoscritto sospetto: “E’ vero, racconto un delitto, ma non per questo l’ho commesso davvero”.   

    “Io sono uno scrittore. Io invento”, diceva John Irving con fierezza, nell’epoca non ancora afflitta dall’autofiction e nel paese felice che tiene in massimo conto la fiction. Da noi, se appena si conosce il giovane autore – o la non tanto giovane autrice esordiente grazie al successo in un altro mestiere – si riescono ad appiccicare i nomi e i cognomi veri sui personaggi (con il terrore, sfogliando certe pagine e riconoscendo conoscenze comuni, di ritrovarsi coinvolti nel pasticciaccio).
    Daniele Ughetto Piampaschet, presunto assassino della prostituta nigeriana smascherato attraverso un romanzo ritrovato in un cassetto, sta in questa scia. Presunto assassino, e – come scrivono i giornali con una sfumatura di disprezzo – “aspirante scrittore”. Piacerebbe ritrovare le stesse parole e toni quando il vicino di scrivania darà alle stampe il resoconto fedele della sua infanzia, della sua passione per il calcetto o la cucina, del cascinale rimesso a nuovo – detto buen retiro – dove usa villeggiare.

    Ughetto non è un secondo nome. Gli Ughetto-Piampaschet (con il trattino) sono registrati nel catalogo dei cognomi di Francia, con relativa genealogia e distribuzione geografica. Di lì a Torino il passo è breve, e se lo scrittore dovesse aver successo non gli servirà neppure uno pseudonimo come Sveva Casati Modignani (Bice Cantaroni, che all’inizio scriveva in coppia con il marito Nullo). A giudicare dalle pagine pubblicate come prova a carico, scrive maluccio ma non peggio di tanti colleghi saliti nella classifica dei bestseller. L’avvocato userà il manoscritto per discolparlo: com’è che qui si parla di un fucile e non di accoltellamento? Se la storia è vera, se il giovanotto sarà ritenuto colpevole – si auspica con prove più solide di un romanzaccio – entrerà nella categoria degli scrittori che hanno preso la categoria letteraria del True crime un po’ troppo sul serio (sono i romanzi che raccontano delitti reali, meglio se efferati). Il più famoso si chiama Jack Unterweger, noto come Jack The Writer o Prigioniero Poeta. Nel 1974 uccise una ragazza strangolandola con il reggiseno, in carcere cominciò a scrivere, finse una redenzione, fu graziato nel 1990 dopo una petizione firmata da intellettuali austriaci, tra cui il premio Nobel Elfriede Jelinek. Lo mandarono a Los Angeles come cronista di nera, e anche lì – guarda caso – tre prostitute furono strangolate con i rispettivi reggiseni. Finché a qualcuno venne il sospetto che il cronista e l’assassino erano la stessa persona. Un romanzo – intitolato “Amok”, sul comodino di un poliziotto astuto e forte di memoria – smascherò nel 2007 il polacco Krystian Bala: aveva ucciso l’amante della moglie, e si dilettava con il Michel Foucault di “Sorvegliare e punire”. Meglio Dostoevskij o Nabokov, che le ninfette e le vecchiette le molestavano solo nei romanzi.

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