Le vere munizioni anti Armageddon

Stefano Cingolani

Non è successo. L’armageddon d’agosto è rinviato. E i menagramo d’ogni latitudine adesso scelgono settembre come mese della verità. Il 6 si riunisce il consiglio della Bce, il 12 l’Alta corte tedesca deve decidere sul sistema salva stati, poi ci saranno i rituali incontri del Fondo monetario. Sarà, ma finora (è d’obbligo mettere le mani avanti) l’attacco finale al debito italiano e spagnolo non c’è stato. Come mai? Hanno creduto più a Mario Draghi presidente della Bce che a Jens Weidmann, presidente della Bundesbank.

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    Roma. Non è successo. L’armageddon d’agosto è rinviato. E i menagramo d’ogni latitudine adesso scelgono settembre come mese della verità. Il 6 si riunisce il consiglio della Bce, il 12 l’Alta corte tedesca deve decidere sul sistema salva stati, poi ci saranno i rituali incontri del Fondo monetario. Sarà, ma finora (è d’obbligo mettere le mani avanti) l’attacco finale al debito italiano e spagnolo non c’è stato. Come mai? Hanno creduto più a Mario Draghi presidente della Bce che a Jens Weidmann, presidente della Bundesbank. Lo dice esplicitamente Michael Krautzberger capo delle operazioni europee sui titoli a reddito fisso di BlackRock, il più grande fondo d’investimento al mondo, che ha ricominciato a comprare in modo consistente Btp italiani e Bonos spagnoli.

    L’attenzione si sposta a questo punto sugli Stati Uniti. Ieri la notizia che sono salite, sia pur di poco (quattromila) le richieste di sussidi di disoccupazione, ha raffreddato Wall Street che da mesi si muove in un sentiero rialzista. Ci si aspetta che la Federal Reserve lanci una terza tranche di quantitative easing e la lettura delle minute dell’Open Market Committee, l’organismo che decide la politica monetaria, conferma queste speranze. Molti membri – è scritto nero su bianco – ritengono probabile che un nuovo allentamento monetario avverrebbe molto presto a meno di un sostanziale rafforzamento nel passo della ripresa. In Europa, alla recessione che colpisce i paesi del sud, si aggiunge un rallentamento ormai nettissimo anche della Germania e della sua corte nordica.

    Nella City come a Wall Street si fa strada la convinzione che tra Francoforte e Washington corra un filo rosso. Per ricostruire la catastrofe che non fu, molti suggeriscono di partire dalla vigilia del vertice europeo del 28-29 giugno scorso. Preparandosi a un altro lunedì nero, le Banche centrali di tutto il mondo annunciarono di essere pronte a interventi coordinati sui mercati. Nulla del genere si era visto dal settembre 2008 in risposta al crollo della Lehman. Non tutti hanno mangiato la foglia e, dopo una pausa, la guerra dello spread è ripresa. Ma i più astuti hanno capito che la festa stava finendo. Altri luoghi, altri party. Si sono riaccesi i focolai sulle materie prime, in particolare quelle alimentari colpite da un’estate particolarmente arida, a cominciare dagli Stati Uniti, e messi eternamente sotto pressione dall’appetito della nuova classe media cinese, indiana, brasiliana.

    Il clima stava già cambiando quando sono arrivate le parole di Draghi: “Faremo tutto quel che è necessario per difendere l’euro”. La santabarbara della Bce è ancora fornita, può mettere in campo armi medie e pesanti prima di arrivare al bazooka, cioè l’acquisto in massa di titoli pubblici contro il quale si è schierata la Bundesbank. Tra le ipotesi più gettonate, torna il limite allo spread (interventi calmieratori ogni volta che la differenza con i Bund, i titoli decennali tedeschi, supera il 5 per cento). Lo ha scritto lo Spiegel, autorevole settimanale di Amburgo, e l’Eurotower ha detto che sono discorsi “inopportuni”. Ieri la Welt, il quotidiano berlinese del gruppo Springer, ha detto che la Bce sta pensando a “un tetto segreto”.

    Weidmann è contrario. Finora. Secondo una tesi, tra Draghi e la Merkel si è raggiunto un accordo in base al quale la cancelliera accetta una Bce più interventista, a condizione che ogni misura salva stati sia condizionata da misure di austerità concordate. Anche Draghi è stato chiaro: tocca ai governi chiedere l’intervento. Ma se il collasso di un anello debole mettesse in discussione la catena dell’euro? La tempesta sui mercati spazzerebbe anche Alexanderplatz. Non c’è governo che possa intervenire. Solo le Banche centrali hanno le munizioni sufficienti (per il momento). Torna in campo, così, il concerto che all’inizio dell’estate ha messo paura alla speculazione. La guerra di mercato continua, con altri mezzi.

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