Passeggiata preventiva nella prima Serie A scippata dal fantacalcio

Beppe Di Corrado

Prendi l’elenco delle rose di tutte le squadre di serie A e comincia: portieri, difensori, centrocampisti, attaccanti. Chi mi prendo quest’anno al Fantacalcio? Silenzio. La pochezza del nostro pallone si chiude in una sera tra amici: una copia della Gazzetta dello sport aperta a pagina 21. Basta mettere il dito sul primo attaccante di tutta la lista: Elvis Abbruscato, costo 13 fantamilioni. Tredici per uno che in serie A ha fatto al massimo due gol. Il Fantacalcio spiega il pallone spesso meglio degli allenatori, dei calciatori, dei direttori sportivi e dei giornalisti calcio.

    Prendi l’elenco delle rose di tutte le squadre di serie A e comincia: portieri, difensori, centrocampisti, attaccanti. Chi mi prendo quest’anno al Fantacalcio? Silenzio. La pochezza del nostro pallone si chiude in una sera tra amici: una copia della Gazzetta dello sport aperta a pagina 21. Basta mettere il dito sul primo attaccante di tutta la lista: Elvis Abbruscato, costo 13 fantamilioni. Tredici per uno che in serie A ha fatto al massimo due gol. Il Fantacalcio spiega il pallone spesso meglio degli allenatori, dei calciatori, dei direttori sportivi e dei giornalisti calcio. E’ lo specchio che riflette ciò che siamo: mediocri, in recessione di talenti e di personaggi. Chi è che ha voglia di riunirei propri sodali football addicted in una sera d’estate alla vigilia del campionato per farsi una fantasquadra in cui il massimo della vita è Di Natale? Pizza, birra, Gazza e poi il vuoto. Una depressione unica. Un anno fa ti scannavi in un’asta milionaria per Ibrahimovic. Scontato, sì. Poi provavi gli altri: merce umana da trattare con entusiasmo, con la speranza che il nuovo acquisto della squadra X fosse il calciatore giusto. Uno che costa poco e segna tanto. Sapete come funziona il Fantacalcio, no? Ci sono diverse varianti, ma in linea di massima tu hai a disposizione un capitale e devi allestire la tua squadra rimanendo in quel budget: 23 giocatori, in tutto, e se qualcuno vuole lo stesso calciatore che hai scelto tu si va all’asta. Più spendi per un elemento, meno soldi ti restano per gli altri. Ecco. Vai allora: tutti su Ibra, poi arriva quello che punta su Destro e magari vince lui. Il problema è che qui, adesso, non c’è materiale. Dove vai? Chi prendi? Col massimo rispetto per Totò Di Natale, miglior cannoniere italiano dell’anno scorso e di quello prima, siamo nel sottobosco pallonaro. Senza soldi e senza idee, tutti vittime della potenza economica degli altri paesi, o meglio di quei quattro o cinque club che hanno fatto il vero calciomercato in queste settimane. Tutti orfani dei vecchi che hanno tirato la volata in questi anni: rimane Francesco Totti. Punto.

    Il fantacalcio lo quota 27 fantamilioni, uno sproposito se confrontato con quello che può dare. E’ l’altra dimostrazione di ciò che è la serie A: un campionato Calimero, un calcio in contrazione dei consumi. Senza volti, senza storie. Un’emorragia che non si ferma. Non è normale ricambio, né di qualità né di generazione. E’ una specie di smobilitazione unica che ci rende modesti. Un album delle figurine mancanti: mi manca, mi manca, mi manca. Non c’è Ibra, e vabbè. Non c’è Thiago Silva. Non c’è Ezequiel Lavezzi. Per tutta l’estate li hanno chiamati “top player”, la surreale categoria dei più forti del mondo ai quali spesso vengono assegnati anche improbabili nomi: può mai essere un top player Fernando Llorente dell’Athletic Bilbao? Siamo seri, dai. Vale poco più di un Matri o un Pazzini, vale meno di un Vucinic o di un Milito. Non è uno che può riempire il vuoto che lascia Ibrahimovic. Il problema però non è neanche questo. Perché Zlatan lo cedi e stop, spesso è più un affare venderlo che acquistarlo. Il problema è che il pallone italiano s’è liberato di Verratti e di Borini: ragazzi che non costano nulla e che forse sono veri campioni. Ma non dovevamo diventare più sobri e puntare sul talento dei nostri ragazzi? Ci hanno distrutto l’anima per anni con la boiata del Barcellona, un modello che non è un modello. Convinti che fosse la cosa il sistema da imitare ne abbiamo preso il peggio: il Barça fece scappare senza neanche provare a trattenerlo Cesc Fabregas. Lo lasciò andare praticamente gratis in Inghilterra, nell’Arsenal, dove è diventato uno dei più forti giocatori del mondo e da dove il Barcellona se l’è ripreso spendendo 50 milioni di euro. Bravissimi, come no. Inseguendo questo schema, con la colossale bufala della cantera, con la retorica del “i-nostri-campioni-ce-li-alleviamo-in-casa”, il Barça ha illuso gli altri. L’Italia c’è cascata. Via i campioni e via anche i potenziali campioni. Quando le casse dei nostri club saranno un po’ meno vuote di adesso, non rimpiangeremo Ibra, ma proprio i Verratti e i Borini: cercheremo di andarceli a riprendere come ha fatto il Barcellona con Fabregas. Vale anche per Balotelli, ceduto perché siamo incapaci di gestire un fenomeno matto. Comincia un campionato mediocre non perché non ci sono campioni, ma perché è diminuito il talento. Vedrete, tra un po’: comincerà la folle rincorsa nostalgica al vecchio che ha mollato o per soldi o per stanchezza o perché messo alla porta. Avremo le pagine dei giornali e i cori delle curve piene di rimpianti allucinanti: Nesta che ha scelto il crepuscolo americano (Impact), Gattuso che ha cominciato a ringhiare in Svizzera al Sion, Seedorf che si è lasciato attrarre dai soldi del Botafogo. Poi c’è Inzaghi che ha preferito tentare la carriera di allenatore dei giovani piuttosto che chiudere altrove. Poi Zambrotta, un altro dei congedati, che è in attesa di sistemazione. Poi, ovviamente, Alessandro Del Piero. Sarebbe stato molto peggio se fosse andato via Ramirez del Bologna. Uno che abbiamo preso dal nulla e che è cresciuto in serie A: lo stavano per cedere al Southampton, squadra appena promossa nella Premierleague inglese. Non agli sceicchi o agli emiri padroni del pallone contemoporaneo, ma a un club che vale più o meno il Bologna stesso. L’operazione non s’è fatta perché gli inglesi non riuscivano a dare le garanzie economiche adeguate. Ma per l’Italia, però, il giocatore era fuori. Ceduto, andato, venduto, senza che una sola squadra di serie A abbia provato a rilanciare e senza che nessuno si sia indignato. E’ la nostra maledizione, questa: guardare indietro e mai in avanti. Rimpiangeremo le vecchie glorie e non i ragazzi che non abbiamo tenuto per quattro spiccioli illudendoci che tanto ne troveremo degli altri.

    Così adesso passa la bella retorica del “campionato salvato dai ragazzini”. L’ha scritto Repubblica: “Si può dire che tutte le squadre abbiano almeno un ragazzino al quale affidarsi. Molti di loro sono già titolari o stanno per diventarlo, anche perché parecchi ultratrentenni se ne sono andati, quasi sempre strapagati, lasciando posti liberi. Gli sceicchi sono gli altri, quelli veri, e non è detto che sia un male. Esiste una ’spending review’ pure in campionato, anche se forse ci siamo mossi un po' tardi. Da noi, comunque, i campioni stranieri non vengono, e se possono se ne vanno: non ce li possiamo più permettere (...) Ma per essere davvero nuovi, bisognerà dare più spazio ai cosiddetti ’club-trained players’, come li chiama l'Uefa. Si tratta dei calciatori dai 15 ai 21 anni che abbiano giocato almeno per tre stagioni nel loro club di appartenenza: in Spagna sono il 24,7 per cento, in Italia appena il 7,4 per cento, e va da sé che anche in questa graduatoria siamo agli ultimi posti”.

    E’ il neopauperismo pallonaro. Bizzarra anomalia della critica sportiva italiana: trovare affascinante la povertà sapendo che non riguarda i conti, ma il talento. Vale la pena ripeterlo. E’ di questo che si parla, non del monte ingaggi che è stato abbattuto. Perché poi ci vuole onestà intellettuale: se si fa il tifo per i baby che costano poco, poi non si può dire che il Milan E l’Inter sembrino squadre in dismissione perché non hanno più voglia di entrare in concorrenza sul mercato con chi spende decine e decine di milioni. Non si può dire a Berlusconi e Moratti che sono presidenti a fine giro. Bisogna essere coerenti: ci piace questo pallone senza facce famose? Può essere, ma allora godiamoci la nostra mediocrità senza inseguire le ambizioni di successi internazionali. Il pauperismo pallonaro è soltanto un’arma, è questa la verità: lo sponsorizzano adesso perché fa chic, ma poi verrà rinfacciato presto.

    Adesso Andrea Stramaccioni è un simbolo: quattro mesi fa era un agnello sacrificale. Non c’era un solo giornale e una sola firma dello sport che lo supportava: il più gentile lo definiva un allenatore a scadenza. Immediata. Siamo un Paese grottesco, il calcio non è la causa, ma la conseguenza: il campionato mediocre parte con la giustizia sportiva sempre più sommaria. Non c’è un personaggio che sia uno. Siamo ridotti ad aggrapparci a Zeman, nella speranza che sia più interessante quello che farà vedere la sua Roma sul campo di quanto farà lui davanti ai microfoni. Ci vantiamo di aver abbassato l’età media delle nostre squadre, poi però vedrete quanti allenatori saranno accusati di far giocare gente troppo inesperta. Se usciremo presto dalle Coppe Europee, troveremo la responsabilità nella mancanza di investimenti, nella giovinezza dei nostri calciatori. E il modello Barcellona? Sarà dimenticato. Il Fantacalcio serve a tenere tutti incollati alla realtà: abbiamo perso classe, fantasia, forza. Stoffa, quindi. Tenuti in vita da De Rossi, amici. E poi da quello che viene: sbarbatelli a caccia di qualcosa. Prima ce li dimenticavamo, ora li esaltiamo. Se vogliamo giocarcela con i nostri ragazzini almeno dobbiamo avere il coraggio di supportarli, di credere in loro, di non scaricarli alla prima occasione. Quello che purtroppo molti si preparano già a fare, nel nostro più classico stile da straccioni delle idee. Ci siamo, questo conta. Non se ne può più di stare senza calcio, senza gol, senza azioni. Stasera niente pizza, né Gazzetta. Siamo mediocri e infelici, invidiosi degli altri. Però per fortuna il campionato comincia: non si prevede bello, né affascinante, né spettacolare. E’ solo meglio di niente. Una consolazione sufficiente a metterci in pace per qualche tempo. Quando un pallone rotola qualcosa accade. Sicuro.