Elsa Fornero contro la retromarcia

Sergio Soave

Elsa Fornero, ministro del Welfare, è a Torino, impegnata a cercare soluzioni concrete a problemi derivati dall’applicazione della sua riforma del mercato del lavoro. Le chiedo in primo luogo di commentare le richieste di sospensione della riforma avanzate simultaneamente da Gulio Tremonti, ex ministro del Tesoro, e dalla Cgil, che temono che le restrizioni poste ai contratti atipici non produrranno occupazione più stabile ma nuova disoccupazione.

    Elsa Fornero, ministro del Welfare, è a Torino, impegnata a cercare soluzioni concrete a problemi derivati dall’applicazione della sua riforma del mercato del lavoro. Le chiedo in primo luogo di commentare le richieste di sospensione della riforma avanzate simultaneamente da Gulio Tremonti, ex ministro del Tesoro, e dalla Cgil, che temono che le restrizioni poste ai contratti atipici non produrranno occupazione più stabile ma nuova disoccupazione. Il ministro replica ricordando che, nel corso degli incontri con le parti sociali, la Cgil l’aveva accusata di frenare troppo l’espansione delle forme di lavoro atipiche e si stupisce di questo repentino cambiamento di fronte. Quanto a Tremonti, ricorda che la lettera di intenti concordata con la Bce quando era ministro dell’Economia conteneva un esplicito impegno alla riforma urgente del mercato del lavoro e che non ottemperare a questa pressante richiesta avrebbe avuto conseguenze non piccole, mentre la legge auspicata e ora approvata ha ottenuto un apprezzamento rilevante in sede internazionale, anche per l’azione di contrasto al precariato che contiene. Nel merito della richiesta di moratoria della riforma non ha alcun dubbio: in Italia una riforma rinviata è una riforma seppellita per sempre. L’applicazione sarà seguita con attenzione e flessibilità, ma senza cedimenti. Ricorda che all’inizio di agosto un’associazione industriale le fece presente che  il lavoro a chiamata era particolarmente utilizzato in questo periodo e che era difficile ottemperare alle nuove normative in quel periodo particolare. Il ministero accolse la richiesta rinviando a metà settembre la scadenza e su questo atto di buona volontà  e di attenzione ai problemi delle imprese si imbastì immediatamente una campagna di stampa sulla presunta “retromarcia” sulla riforma. “Bisogna guardarsi allo specchio”, ripete più volte: ci sono stati abusi, peraltro legittimati dalla legislazione vigente, che hanno in certi casi trasformato la flessibilità in precarietà a danno soprattutto dei giovani.

    Dunque c’è continuità o frattura tra la sua riforma e il percorso precedente, da Tiziano Treu a Roberto Maroni che ha varato la legge Biagi fino al Libro bianco e ai provvedimenti di Maurizio Sacconi? “C’è continuità con il processo che tende a rendere più flessibile il mercato del lavoro che però ha implicato la sperimentazione di forme contrattuali assai varie che poi vengono necessariamente selezionate appunto per evitare che la flessibilità degradi in precarietà. Non credo che Marco Biagi avrebbe approvato alcuni eccessi che si sono determinati nell’applicazione della legge ispirata ai suoi contributi culturali”.

    Rivendica qualche elemento specifico di discontinuità? “Abbiamo rotto il tabù dell’inviolabilità dell’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, e l’abbiamo fatto con grande equilibrio, adeguando la normativa a tempi e modi di produzione profondamente cambiati e avvicinandola alle migliori normative europee. Abbiamo inoltre prodotto una modificazione complessiva del sistema e della funzione degli ammortizzatori sociali. Erano argomenti di cui si parlava da anni ma solo ora sono diventati provvedimenti operativi”. Sulla mobilità in uscita pesa la percezione di un comportamento unilaterale della magistratura, come quello che si è visto nella sentenza che obbliga la Fiat ad assumere a Pomigliano in base alla distribuzione delle tessere sindacali. Il ministro obietta che “noi abbiamo legiferato in base alla doverosa presunzione che tutti gli organi dello stato, magistratura compresa, agiscano correttamente, se non fosse così il problema dovrebbe essere affrontato dal ministero della Giustizia”. Alla critica sul ruolo eccessivo della magistratura in questo campo, spiega che “è inevitabile che nelle controversie ci sia un giudice; a quelli che pensano che avremmo dovuto dare un taglio più netto limitando il reintegro solo ai casi di discriminazione rispondo che abbiamo scelto una soluzione più sofisticata, anche perché in quel caso ci sarebbe stato il rischio di un’espansione abnorme delle vertenze basate su denunce generalizzate di discriminazione”. Come sta andando l’applicazione della legge? “E’ presto per dirlo, è in vigore dal 18 luglio e comunque nessuna legge è perfetta e in base all’esperienza si potrà, con pragmatismo, modificare. Il tema di cui Elsa Fornero appare più orgogliosa è quello della riforma degli ammortizzatori sociali. “Finora funzionavano, tra cassa integrazione ordinaria, speciale, prepensionamenti e accompagnamento all’età pensionabile, per molti anni per un nucleo ristretto di lavoratori meglio garantiti, mentre ne erano esclusi quelli che stavano fuori o ai margini del mercato del lavoro centrale. Ora sono più brevi, universali, e condizionati a una ricerca attiva dell’impiego, appoggiata dall’attività di servizi che deve impegnare tutte le istituzioni, in modo da rendere la disoccupazione una fase transitoria nella vita lavorativa”. Anche nel Libro bianco di Sacconi erano espressi questi stessi orientamenti, poi non si è arrivati a renderli operativi. “E’ vero che un processo di riforma, anche il nostro, può incagliarsi. Richiede un cambiamento di mentalità e di comportamenti, nelle imprese e nei lavoratori. D’altra parte le imprese che hanno esagerato con l’uso della precarietà non hanno ottenuto un aumento di produttività, perché in questo modo si deprime la motivazione dei lavoratori che non vedono la loro prospettiva, non di tutta la vita ma almeno di un periodo ragionevole, nell’azienda”.

    Concludiamo il nostro colloquio parlando della discrasia tra il sistema produttivo e quello formativo, che è un ostacolo decisivo all’occupazione soprattutto giovanile. “Integrare questi due mondi, superare una certa sufficienza del sistema scolastico nei confronti delle esigenze del lavoro, realizzare una formazione professionale moderna nelle regioni, attivare l’apprendistato, sono tutte questioni su cui siamo impegnati, ma che richiedono collaborazione istituzionale e sociale e il tempo per dare risultati”. I tempi sono difficili e le risorse limitatissime, lo spirito pubblico è dominato dalla diffidenza: la volontà riformatrice del ministro del Lavoro che cerca di aprire vie di rinnovamento nonostante tutte le condizioni avverse appare davvero apprezzabile. Il tempo dirà se sarà anche efficace.