La Cia capì quello che le dicevo

Giuliano Ferrara

Quando lavoravo per l’Agenzia d’informazione del governo americano chiamata Cia (vedi mio curriculum nel foglio.it) faticavo a spiegare, era il 1985, che il Bettino Craxi amico degli arabi, spregiudicato e solitario leader inviso a democristiani e comunisti che doveva contrastare una grande coalizione assai ben finanziata con acconce contromisure, era anche il pilastro italiano di una politica occidentale nella Guerra fredda.

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    Quando lavoravo per l’Agenzia d’informazione del governo americano chiamata Cia (vedi mio curriculum nel foglio.it) faticavo a spiegare, era il 1985, che il Bettino Craxi amico degli arabi, spregiudicato e solitario leader inviso a democristiani e comunisti che doveva contrastare una grande coalizione assai ben finanziata con acconce contromisure, era anche il pilastro italiano di una politica occidentale nella Guerra fredda. Evidentemente le cose che dicevo al funzionario e spia del governo americano, da spregiudicato giornalista e insider politico, ebbero un qualche peso, fra molte altre, visto che quando in ottobre di quell’anno Craxi mandò i carabinieri a proteggere dai marine la fuga di un aereo dalla base Usa di Sigonella, un aereo a bordo del quale c’era il capo degli assassini del disabile ebreo Leon Klinghoffer e dirottatori della nave italiana Achille Lauro, la crisi politico-morale sulla quale i nemici di Craxi contavano di lucrare, anche con la crisi di governo determinata dalle dimissioni di Giovanni Spadolini, fu rapidamente risolta da una famosa lettera pacificatrice, “Dear Bettino”, scritta di suo pugno da Ronald Reagan al premier italiano.

    Il mio amico Craxi era notoriamente un figlio di puttana, rammentandolo nel suo fulgore da vivo, ma era il nostro figlio di puttana, era quello dei missili di Comiso, e una strong leadership, di quelle che piacciono alle Convention democratiche e repubblicane, non si fa fare giustizia in casa da un paese alleato ma straniero, e in nome dei privilegi dell’esecutivo schiera le truppe, fiat iniustitia pereat mundus. La giustizia degli uomini ha infine raggiunto Abu Abbas, e proprio a Baghdad, quando noi eravamo embedded con l’esercito di liberazione da Saddam Hussein. Ironia e giustizia della storia, più profonda e significativa di quella delle manette.
    Si è sempre detto che Craxi e Giulio Andreotti caddero, insieme con una intera Repubblica, perché dietro Antonio Di Pietro stavano i servizi americani. Le rivelazioni dell’ottimo e scrupoloso Molinari, peccato in ogni senso che siano postume, inducono a confermare questa sensazione. Con una glossa interpretativa decisiva: l’America è più grande, politica e diplomazia, dei suoi servizi o di settori dei suoi servizi che, a quanto si capisce (oggi sulla Stampa una nuova puntata dello scoop, che seguiremo con attenzione) lavorarono contro la Repubblica dei partiti, per destabilizzarla a Guerra fredda finita. Pare che il consolato di Milano fosse una casamatta indipendente cresciuta nella incuria dell’ambasciatore precedente, Peter Secchia, e che fu ridotta al suo ruolo istituzionale da Bartholomew. Vedremo. Quel che è certo è che a Di Pietro, la cui opera antigiuridica e illiberale ebbe conseguenze maggiori per la coalizione di interessi bavosi e anche illegali riunita intorno alle sue gesta, non poteva che toccare un Consolato infedele o scemo. Niente di veramente importante può essere messo nel conto di un pupo agito da pupari. La serie B è il suo destino di poliziotto, di laureato che non si vede, di piccolo magistrato coccolato da grandi mascalzoni, incline a note cadute di stile, e poi versato in una politica partitante e grottesca, tenuta in piedi da un giornalismo e da una politica grotteschi.

    L’intervista raccolta da Molinari con Reggie Bartholomew dice anche altro, e in un certo senso questo è ancora più importante. Dice, cosa che sapevamo per esserci abbeverati direttamente alla fonte, ma io non scrivo mai quel che apprendo a cena, che per gli americani la giustizia italiana fa letteralmente pena, che la carcerazione preventiva intesa come pressione e tortura è un simbolo di barbarie, che un sinedrio di togati fu messo a confronto nell’ambasciata con il grande giudice della Corte suprema Antonin Scalia, fu sculacciato e si tacque. Dice, altra incontrovertibile rivelazione, che Berlusconi non sa nemmeno che cosa sia il ruolo di Kingmaker, perché o è King o niente, e le vicende del giorno d’oggi lo dimostrano ampiamente. Dice che Massimo D’Alema è tosto e politicamente interessante quanto Romano Prodi era vanitoso e bizzoso.
    Dice infine che l’avviso di garanzia reso noto necessariamente dal Corriere di Paolo Mieli durante la Conferenza mondiale contro la criminalità, ma non altrettanto necessariamente lasciato filtrare dai soliti ignoti, fu considerato dal presidente Bill Clinton, presente alla Conferenza, come uno schiaffo diretto anche a lui. Ovvio. Un paese che inorridisce davanti alle carriere riunite dei magistrati, sbotta di fronte agli insulti plateali alla divisione liberale dei poteri.

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    • Giuliano Ferrara Fondatore
    • "Ferrara, Giuliano. Nato a Roma il 7 gennaio del ’52 da genitori iscritti al partito comunista dal ’42, partigiani combattenti senza orgogli luciferini né retoriche combattentistiche. Famiglia di tradizioni liberali per parte di padre, il nonno Mario era un noto avvocato e pubblicista (editorialista del Mondo di Mario Pannunzio e del Corriere della Sera) che difese gli antifascisti davanti al Tribunale Speciale per la sicurezza dello Stato.