Rinunciare a uccidere per mangiare, pure Leonardo ci ha creduto

Stefano Di Michele

Dovremmo farlo, prima di essere costretti a farlo. Si può certo ironizzare sulle previsioni di quelli dello Stockholm ecc. ecc. – scienziati di sventura, del resto, come i profeti, sempre ce ne sono stati: sciaguratamente, più i secondi che i primi – ma che ci sia qualcosa da discutere rispetto alla nostra ingordigia alimentare, come molto da dire su una certa insensibilità spacciata per godereccio gusto della vita, pare indubbio.

Leggi Vegetariani per forza nel 2050, anatomia di una boiata pazzesca di Nicoletta Tiliacos

    Dovremmo farlo, prima di essere costretti a farlo. Si può certo ironizzare sulle previsioni di quelli dello Stockholm ecc. ecc. – scienziati di sventura, del resto, come i profeti, sempre ce ne sono stati: sciaguratamente, più i secondi che i primi – ma che ci sia qualcosa da discutere rispetto alla nostra ingordigia alimentare, come molto da dire su una certa insensibilità spacciata per godereccio gusto della vita, pare indubbio. Se un limite ha, lo studio presentato dallo Stockholm ecc. ecc., è quello che una volta rilevò un grande scrittore, quando spiegò che lui non era vegetariano per tutelare la sua salute, piuttosto per difendere quella delle mucche.

    La mestizia di questi che passano dallo spezzatino all’insalata nel timore del colesterolo (comunque, già un passo avanti: c’è del buono, si vede, anche nel colesterolo), è quasi speculare al sabba sanguinolento in cui trasformano la loro tavola: sempre un comandamento che arriva dallo stomaco (non affamato, solo famelico), non dal cuore – non da un cambiamento dello stesso. Tendiamo a pensare sempre di essere innocenti, solo perché scegliamo volontariamente di essere ignoranti – di ignorare orrore e paura e sangue che hanno preceduto la bistecca fumante nel piatto. Il peccato biblico di aver permesso all’uomo di dare un nome a ogni altra creatura della creazione ne ha mutato la condizione da custode a padrone, e da padrone così spesso in aguzzino. Lo stomaco – non lo stomaco del povero, non lo stomaco di chi deve essere saziato, ma lo stomaco dell’ingordo – è diventato il terminale di tutto: anche di cose che né i suoi occhi né il suo cuore, se obbligato a vedere, se obbligato ad ascoltare, potrebbero sopportare. Così che il male si è mutato in gusto –  a tale orrendo capovolgimento della realtà non siamo capaci di sfuggire. La maggior parte di coloro che divorano animali non hanno visto uno scannamento, udito le urla di spavento, osservato gli occhi prima che la lama cadesse. A me è successo (la mia era una famiglia di contadini, che gli animali allevava e uccideva e mangiava: quel che lasciava il padrone) – e non lo dimenticherò mai più. Per anni ho pensato che fosse normale – quelle urla e il mio appetito, quello spavento e il mio gusto malsano, quello sguardo e la mia ingorda indifferenza.

    Mi piacerebbe un governo capace non solo di tassare il chinotto, ma anche di impedire con una legge l’abuso della lama e la cupa ingordigia successiva. Una vera legge, vorrei: si fa divieto, ai cittadini di questo paese, di uccidere ogni altra creatura vivente presente sul territorio nazionale. Così, semplicemente. Figurarsi: quelli non rimanderanno neanche l’apertura della caccia, nonostante gli animali stremati dalla siccità. Però sarebbe bello che succedesse: imparare (io per primo) a togliere qualcosa da sé, perché gli altri possano avere qualcosa almeno una speranza. Saremmo un po’ meno spaventati. Fare una carezza anziché uno squarcio, considerare l’ignominia del sangue altrui che sprechiamo e divoriamo. Leonardo era sicuro che succederà: fa bene sapere della fiducia di un genio alla nostra umanità che verrà.

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