Idee, passioni e segreti dell'anti Bernanke della Fed di Dallas
Il governatore della Federal Reserve, Ben Bernanke, ha fatto qualcosa che in pochi si aspettavano al simposio di Jackson Hole. Parlando alla platea dell’annuale convegno della Banca centrale americana ha suggerito che con un’alta disoccupazione la Fed “può fare di più” per l’economia. E’ il segnale, speculano diversi analisti, che a Washington si sta preparando il terzo acquisto di asset pubblici dall’inizio della crisi, il cosiddetto QE3. Il dubbio è se questo avverrà alla metà di settembre o a dicembre e, soprattutto, in che modo.
Roma. Il governatore della Federal Reserve, Ben Bernanke, ha fatto qualcosa che in pochi si aspettavano al simposio di Jackson Hole. Parlando alla platea dell’annuale convegno della Banca centrale americana ha suggerito che con un’alta disoccupazione la Fed “può fare di più” per l’economia. E’ il segnale, speculano diversi analisti, che a Washington si sta preparando il terzo acquisto di asset pubblici dall’inizio della crisi, il cosiddetto QE3. Il dubbio è se questo avverrà alla metà di settembre o a dicembre e, soprattutto, in che modo.
Sarebbe stato troppo attendersi un annuncio immediato, e gli indizi per accertare un nuovo consistente stimolo non sono sufficienti, come suggerivano i report di diverse banche d’affari nei giorni scorsi. L’esperienza insegna che le azioni straordinarie intraprese dalla Fed arrivano settimane dopo i primi indizi pubblici. E’ successo nel 2010, con il secondo acquisto diretto di asset sul mercato e l’anno scorso con l’avvio di un’altra operazione straordinaria, l’allungamento progressivo della scadenza sui titoli del Tesoro già incamerati. Eppure il processo potrebbe non essere così facile perché all’interno del Comitato di politica monetaria (Fomc), deputato a prendere la decisione finale, ci sono disaccordi.
E’ dal distretto di Dallas (Texas) che arrivano le preoccupazioni più sentite. Il governatore Richard Fisher, 63 anni, da tempo sottolinea che l’operazione sarebbe inutile e dannosa. L’ha definita in un’intervista a Bloomberg “un Ritalin monetario”, di fatto uno psicofarmaco stimolante con effetti paragonabili alle droghe. Evitare nuova immissione di moneta sembra diventata la sua missione. Ha spiegato perché di fronte agli studenti della St. Andrews University a Edimburgo (Scozia) il 5 giugno scorso.
La Banca centrale americana ha in pancia 2.400 miliardi tra titoli del Tesoro e obbligazioni sui mutui per via delle due operazioni di QE dispiegate in passato i cui effetti però – nota Fisher – non si sono trasmessi all’economia. Anzi. In un sistema che persegue interessi privati, come quello bancario, le società finanziarie non hanno l’obbligo di diffondere la massa monetaria. Infatti le banche stanno tenendo circa 1.500 miliardi parcheggiati alla Fed, dove rendono lo 0,25, “anziché utilizzarli per la creazione di posti di lavoro”. Fisher si chiede anche “come questo possa essere uno stimolo” data la condizione macroeconomica “preoccupante per via del rischioso groviglio europeo e il rallentamento della crescita nei paesi emergenti”. Per controbattere fa l’avvocato del diavolo, con ironia: “Il bravo macroeconomista dedurrebbe che [l’aspettativa di un’inflazione più elevata, ndr] sarebbe salutare: farebbe schizzare i soldi fuori dalle tasche delle imprese per sostenere la crescita degli impieghi e farebbe credere alle persone che se spenderanno meglio i loro soldi oggi perderanno meno valore a causa dell’inflazione un domani, aumentando i consumi e la domanda”. “Mi permetto di dissentire – avverte Fisher - Per me sarebbe la via della perdizione per la Federal Reserve”. Non solo perché ha in bilancio una quantità enorme di denaro, ma anche perché la Banca centrale si presterebbe a essere uno strumento politico.
Fisher dirà la sua anche ai colleghi del Fomc, il gruppo di 19 banchieri che decide le strategie valutarie della prima economia del mondo. Sono economisti di formazione accademica dai quali Fisher preferisce tenere le distanze: sottolinea appunto di avere una preparazione diversa e pragmatica. E’ infatti l’unico nel Fomc che si è fatto le ossa sui mercati e non sui libri (“ho un Mba, non un Ph.D”), si definisce autodidatta e conoscitore della “cruda realtà del mercato” perché è stato in trincea sia come operatore che in qualità di banchiere della Brown Brother Harriman, dove ha iniziato la carriera finanziaria nel 1975. Istituto newyorchese nel quale è tornato dopo una parentesi di un anno al servizio del presidente democratico Jimmy Carter durante la crisi del dollaro nel 1978-79.
La parabola della famiglia Fisher è la quintessenza di una storia americana, del sogno a “stelle e strisce”. Adesso amministra il distretto finanziario più solido degli Stati Uniti, i tassi di crescita dell’occupazione in Texas in particolare sono più alti di quelli nazionali e di paesi come l’Australia, oltre che di tutti gli altri distretti, e non solo per via delle ingenti quantità di gas e petrolio ma soprattutto grazie a politiche fiscali pro impresa. Fischer è un banchiere dalle umili origini. Ha raccontato la sua storia in occasione dell’Australian American Leadership Dialogue il 9 luglio scorso parlando dell’australiano che “gli sta più a cuore”: suo padre. Nato nel Queensland nel 1910 ha passato l’infanzia nei riformatori perché il papà, alcolista e senzatetto, lo maltrattava costringendolo alla vita di strada e di stenti. Passando di famiglia in famiglia con esperienze difficili, da adolescente è costretto a fare lavori umili come il garzone di bottega per mantenersi. Una storia che, ha raccontato il figlio, ha i tratti di una “parabola dickensiana”. Dopo avere sposato la figlia della prima famiglia che l’ha accolto, si trasferisce in Sudafrica dove mette in piedi un’attività che gli consentirà di accumulare un buon gruzzolo. In quel frangente si innamora di una ragazza norvegese, rompe il precedente legame e la sposa. Dopo anni e con tutte le difficoltà per ottenere un visto per gli Stati Uniti – è costretto a rimanere in Messico – si stabilisce a Los Angeles, dove nasce il figlio Richard. Muore a Dallas dopo avere compiuto il 90esimo anno
Fisher figlio ha a cuore il suo ruolo di banchiere, professione che tratta con un piglio ascetico quasi messianico. Secondo il “texano” la metafora del banchiere perfetto è contenuta nel dipinto del ritrattista scozzese Sir Henry Raeburn “Il reverendo Robert Walker” che pattinando sul lago Duddiston “scivola calmo e composto, con grazia, su una superficie insidiosa in una giornata gelida, buia e ventosa”, dice Fisher, che paragona l’opera al più famoso “Urlo” di Munch simbolo di ansia e angoscia, sentimenti che devono stare lontani dal cuore di un banchiere. “Ovunque i banchieri centrali sono oberati, esausti e sempre più soli. Ma quando il paesaggio è scuro e terrificante, chi deve gestire la politica monetaria deve comportarsi con grazia, rassicurare i mercati e il pubblico” in rispetto della carica che gli è stata affidata. Il riferimento è a non gestire la politica monetaria con una visione di breve termine, e il consiglio del Fisher economico è di agire sulle “autorità fiscali-i governi che hanno il potere di tassare i soldi della gente e creare leggi e regolamenti che influenzano il comportamento microeconomico” oltre alla “limitata forza dei banchieri centrali”.
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