Allarme da Kabul

Daniele Raineri

Dice Newsweek, che questa settimana lo intervista, che Ryan Crocker è “la superstar della diplomazia americana” e il più esperto e apprezzato nel suo campo. A luglio Crocker ha lasciato l’incarico di ambasciatore in Afghanistan e poco dopo, il 14 agosto, è stato arrestato a Washington per guida in stato di ebbrezza perché ha causato un incidente leggero, è scappato e quando è stato preso dalla polizia in un parcheggio aveva nel sangue un tasso alcolico doppio rispetto al limite.

    Dice Newsweek, che questa settimana lo intervista, che Ryan Crocker è “la superstar della diplomazia americana” e il più esperto e apprezzato nel suo campo. A luglio Crocker ha lasciato l’incarico di ambasciatore in Afghanistan e poco dopo, il 14 agosto, è stato arrestato a Washington per guida in stato di ebbrezza perché ha causato un incidente leggero, è scappato e quando è stato preso dalla polizia in un parcheggio aveva nel sangue un tasso alcolico doppio rispetto al limite. Che la testa più ammirata dell’Amministrazione americana in Afghanistan incorra in questo tipo di esaurimento personale da fine carriera è di malaugurio per la guerra.

    Sabato è arrivato un segno concreto di crisi: il comandante delle forze speciali americane, il generale Tony Thomas, ha interrotto l’addestramento di mille nuove reclute afghane perché è diventato troppo rischioso. I soldati locali sparano senza preavviso agli istruttori occidentali e poi scappano tra le braccia dei talebani, che li celebrano come eroi e li fanno protagonisti di video su Internet. Nel codice militare si chiama “green on blue” (il verde sono gli alleati, il blu indica i propri uomini) e quest’anno ci sono già stati 45 morti, senza contare i ferimenti su cui non arrivano dati ufficiali dall’esercito. Gli scontri a fuoco tra militari che convivono nelle stesse basi e che in teoria sono chiamati a combattere assieme sono la causa del 15 per cento delle perdite nei primi otto mesi di quest’anno per il contingente Isaf. Quando succede, l’ufficio stampa scrive dichiarazioni che tradiscono tutta la perplessità del comando davanti alla nuova situazione: “Oggi un uomo con indosso la divisa dell’esercito afghano ha sparato contro… ”.

    La frequenza dei green on blue minaccia la fase più delicata dell’intera strategia del ritiro che dovrà compiersi entro il 2014: senza addestramento, non ci saranno forze  locali capaci di ereditare la battaglia contro i talebani. Il comando delle forze speciali adesso sostiene che l’interruzione durerà soltanto un mese, ma non c’è una data precisa. Prima, squadre di istruttori erano mandate nei villaggi, anche remoti, per lavorare con le reclute della polizia e con gli anziani locali e insegnare loro a difendersi dagli attacchi e dalle intimidazioni dei guerriglieri. Questo tipo di cooperazione è considerato essenziale per far sentire l’influenza del governo afghano in tutto il paese. E ora?

    Thomas ha ordinato di riaprire i file personali degli ultimi 27 mila arruolati, anche se il problema nel caso degli afghani seguiti dalle forze speciali non è il “vetting” – il processo di scrutinio sulle aspiranti reclute – perché gli istruttori pretendono che sia fatto in modo rigoroso, ma quello che succede dopo. I soldati locali cedono alle avance della guerriglia, perdono fiducia nel governo centrale, si ammutinano.
    Secondo il Washington Post, con le altre reclute – quelle non affidate alle cure delle forze speciali, ma affiancate agli altri corpi – va ancora peggio: il vetting è stato fatto per finta o non è stato proprio fatto. Colpa dell’ansia di avere subito grandi numeri di truppe afghane, dicono alcune fonti anonime della Nato al giornale americano, perché è importante poter dire che l’esercito di Kabul è quasi pronto ad assumersi la responsabilità sul paese e che quindi i contingenti occidentali possono andarsene senza problemi entro il 2014 e anche prima. Un Ryan Crocker di ritrovata sobrietà fa notare su Newsweek: “E’ necessario considerare quali saranno le conseguenze di un nostro ritiro troppo rapido. Perché sono sempre i nostri nemici quelli che approfittano dell’anarchia” – e però minimizza la questione dei green on blue – “dobbiamo mantenere la prospettiva, ogni giorno ci sono decine di migliaia di interazioni tra americani e afghani senza che succeda nulla”.

    L’esercito americano sta mandando il doppio dei soldati rispetto al passato a training linguistici intensivi per apprendere il dari e il pashto, i due linguaggi più parlati in Afghanistan, nella speranza che capiscano più in fretta i segnali di pericolo prima di un ammutinamento. Un po’ per levigare le differenze culturali e un po’ perché, come ammette candidamente uno di loro intervistato alla radio: “Non si aspetteranno che io capisca quello che dicono”.
    Se il programma di addestramento subisce un infarto non definitivo, a Kabul il presidente Hamid Karzai esce ancora una volta da un’impasse politica con manovre al limite dell’impudenza totale. Costretto a rimuovere Bismillah Mohammadi dal ministero dell’Interno ad agosto per la pressione del Parlamento, lo ha ieri nominato ministro della Difesa, sollevando grida di oltraggio nella capitale. Ma Mohammadi è un signore della guerra tagico la cui alleanza è vitale nella lotta contro i talebani. Nel rimpasto di Kabul, oltre a quattro ministri, è stato sacrificato anche il capo dei servizi segreti, che ha dimostrato un’efficienza straordinaria contro i talebani – ma non nei corridoi di Palazzo. Una perdita grave.

    • Daniele Raineri
    • Di Genova. Nella redazione del Foglio mi occupo soprattutto delle notizie dall'estero. Sono stato corrispondente dal Cairo e da New York. Ho lavorato in Iraq, Siria e altri paesi. Ho studiato arabo in Yemen. Sono stato giornalista embedded con i soldati americani, con l'esercito iracheno, con i paracadutisti italiani e con i ribelli siriani durante la rivoluzione. Segui la pagina Facebook (https://www.facebook.com/news.danieleraineri/)