Latinos a Charlotte

Matteo Matzuzzi

C’era grande attesa, tra le bancarelle e gli stand enogastronomici di Charlotte, per l’appuntamento del keynote speech tenuto ieri sera da Julian Castro, giovane sindaco di San Antonio, Texas, astro nascente del partito. Non è un caso che i vertici democratici abbiano scelto proprio lui, un ispanico, per aprire la convention che certificherà la candidatura di Barack Obama a un secondo mandato alla Casa Bianca. Gli strateghi di Chicago sono convinti che il voto latino deciderà le elezioni, più di quanto sia avvenuto quattro anni fa con quello nero. I latinos sono più di 50 milioni, rappresentano il 17 per cento della popolazione americana.

    Roma. C’era grande attesa, tra le bancarelle e gli stand enogastronomici di Charlotte, per l’appuntamento del keynote speech tenuto ieri sera da Julian Castro, giovane sindaco di San Antonio, Texas, astro nascente del partito. Non è un caso che i vertici democratici abbiano scelto proprio lui, un ispanico, per aprire la convention che certificherà la candidatura di Barack Obama a un secondo mandato alla Casa Bianca. Gli strateghi di Chicago sono convinti che il voto latino deciderà le elezioni, più di quanto sia avvenuto quattro anni fa con quello nero. I latinos sono più di 50 milioni, rappresentano il 17 per cento della popolazione americana. Si prevede che il 6 novembre il 52,7 per cento di loro si recherà alle urne – nel 2008 l’affluenza si fermò al 49,9 per cento e nel 2004 al 47,2. E’ un trend in costante aumento e Obama sa che dal loro appoggio dipenderà la conquista degli stati dell’ovest dove gli ispanici stanno maturando una coscienza politica, specie tra coloro che da più anni vivono in America.

    Lo scorso giugno, improvvisamente e senza passare dal Congresso, il presidente bloccò la deportazione di almeno 800 mila giovani immigrati irregolari giunti negli Stati Uniti quando erano bambini. “Le leggi sull’immigrazione devono essere ferree, ma è necessario considerare le esigenze specifiche di ogni singolo caso”, disse allora il segretario alla Sicurezza nazionale Janet Napolitano, tentando di arginare le critiche di chi vedeva nel provvedimento di Obama nient’altro che una mossa elettorale per recuperare consenso tra un elettorato deluso dall’immobilismo della Casa Bianca, che tanto aveva promesso su quel fronte. L’entrata in vigore del DREAM Act (la legge che puntava a regolarizzare tutti gli immigrati di seconda generazione) era stata garantita da Obama durante la campagna elettorale, quando dal palco di Denver cercava l’appoggio dei latinos che fino a quel momento avevano scelto in massa Hillary Clinton. (segue dalla prima pagina)
    I primi sondaggi realizzati nei giorni successivi al provvedimento mostrarono da subito un rialzo delle quotazioni del presidente, soprattutto in Colorado, Nevada e New Mexico, stati incerti che quattro anni fa andarono ai democratici.

    Ma per vincere a novembre servirà anche altro, e il giovane Julian Castro (compirà 38 anni tra pochi giorni) è stato incaricato di sanare anni di tensioni e incomprensioni convincendo gli ispanici che Barack Obama è ancora la migliore scelta. Popolarissimo – è stato rieletto l’anno scorso sindaco di San Antonio con l’82 per cento dei voti –, due lauree tra Stanford e Harvard, un fratello gemello che si prepara a entrare alla Camera dei rappresentanti il prossimo novembre, Castro non vuole però essere identificato come la bandiera dei latinos. “Lui vuole rappresentare tutti”, spiega al New York Times Walter Clark Wilson, professore di Scienze politiche all’Università del Texas. Ha l’aura del predestinato, punta a diventare governatore del Texas, stato che non ama particolarmente i colori democratici. La sua è una storia prettamente americana, di quelle in grado di commuovere ed emozionare: figlio di genitori separati, sua madre Rosie portava lui e suo fratello gemello Joaquin alle manifestazioni degli ispanici di origine messicana che rivendicavano più diritti e tutele nei quartieri poveri di San Antonio. E’ l’uomo adatto a ridare vigore alla sbiadita narrazione obamiana, al messaggio di speranza che quattro anni fa infiammò l’America. Perfino l’ex consigliere di George W. Bush, Mark McKinnon, pensa che “Castro abbia grandi possibilità di diventare il primo presidente ispanico degli Stati Uniti”.

    L’importante, per lo staff di Obama, è non commettere passi falsi, come accaduto in Arizona con la candidatura calata dall’alto di Richard Carmona per il seggio che il repubblicano Jon Kyl lascerà libero a novembre. Sembrava facile, per i democratici, far eleggere il primo senatore latino nello stato che fu di Barry Goldwater. Ma non avevano fatto i conti con l’orgoglio degli ispanici, stanchi di essere dipinti come un monolite, dove tutti sono uguali soltanto perché parlano spagnolo. “Ha un nome che suona ispanico”, spiega all’Atlantic un addetto alla registrazione di nuovi elettori latinos negli elenchi democratici. Poi, però, si è scoperto che Carmona è nato a Harlem da genitori di Porto Rico, e che con l’Arizona non c’entra nulla. “Operazione maldestra”, ha ammesso sconsolato un anonimo membro dello staff democratico.

    • Matteo Matzuzzi
    • Friulsardo, è nato nel 1986. Laureato in politica internazionale e diplomazia a Padova con tesi su turchi e americani, è stato arbitro di calcio. Al Foglio dal 2011, si occupa di Chiesa, Papi, religioni e libri. Scrittore prediletto: Joseph Roth (ma va bene qualunque cosa relativa alla finis Austriae). È caporedattore dal 2020.