First (and too much) love

Michelle è la custode dei valori obamiani, ma ha finito per soffocarli di abbracci

Paola Peduzzi

I due guardiani dell’Amministrazione Obama sono arrivati ieri sul palco di Charlotte, prima lui e poi lei, divisi come lo sono sempre stati, non soltanto per ragioni di protocollo da convention. Rahm Emanuel, chief of staff per i primi 20 mesi della presidenza e ora vorace sindaco di Chicago, è il guardiano della politica obamiana, villano ma affettuoso, uno per il quale tutto è in vendita, basta difendere l’interesse del presidente: “Prometterebbe la mano di Sasha e Malia in cambio di voti”, dicevano alla Casa Bianca. Michelle Obama, First lady e “First celebrity” della Casa Bianca, come la definiva ieri il Los Angeles Times, è la guardiana della morale del presidente.

Leggi Sul palco di Charlotte si cerca l’agenda invisibile dell’Obama che verrà di Mattia Ferraresi - Leggi Latinos a Charlotte di Matteo Matzuzzi

    I due guardiani dell’Amministrazione Obama sono arrivati ieri sul palco di Charlotte, prima lui e poi lei, divisi come lo sono sempre stati, non soltanto per ragioni di protocollo da convention. Rahm Emanuel, chief of staff per i primi 20 mesi della presidenza e ora vorace sindaco di Chicago, è il guardiano della politica obamiana, villano ma affettuoso, uno per il quale tutto è in vendita, basta difendere l’interesse del presidente: “Prometterebbe la mano di Sasha e Malia in cambio di voti”, dicevano alla Casa Bianca. Michelle Obama, First lady e “First celebrity” della Casa Bianca, come la definiva ieri il Los Angeles Times, è la guardiana della morale del presidente: “Dopo che sono stato riempito di buoni consigli per tutta la giornata – ha detto Obama – alla sera è Michelle, ‘her moral voice, her moral center’, che supera tutto il rumore di Washington e mi ricorda prima di tutto perché sono qui”.
    I due guardiani non sono mai andati d’accordo: va spesso così con “i due sposi” del presidente, la moglie e il chief of staff. Ma in questo caso c’era un’aggravante, come ha raccontato la giornalista del New York Times Jodi Kantor nel libro “The Obamas”: “Erano un perfetto ‘mismatch’”, un perfetto abbinamento sbagliato. “Lei era una pianificatrice meticolosa convinta che il modo in cui si gioca sia importante quanto la vittoria – scrive Kantor – Lui si muoveva alla giornata, e quando doveva negoziare, tutto era in gioco, nulla era sacro”. Soprattutto: “Michelle era la custode dell’idea secondo cui suo marito è eccezionale e rivoluzionario, al di sopra della politica. Emanuel era scettico rispetto all’idea che il presidente galleggiasse su un piano sovraelevato”.

    Offre intimità senza rivelarsi
    Michelle e Rahm sono le due anime della presidenza Obama, due anime inconciliabili che non hanno quasi provato ad andare d’accordo: lei gli aveva chiesto di darle una possibilità, lui aveva già avuto un’esperienza traumatica con Hillary quando lavorava alla Casa Bianca di Bill Clinton. Il risultato è stato un disastro, Michelle mandava la sua chief of staff ai meeting di Emanuel e lui regolarmente la lasciava fuori dalla porta. Ma non si è trattato di un “mismatch” esclusivamente personale: inconciliabile s’è rivelata anche l’idea di essere un rivoluzionario a Washington, paladino di un “change” di forma e non di sostanza. E’ la visione dell’Obama del 2008 che si è rivelata strabica, basti pensare che l’attuale presidente è un Nobel per la Pace che ha aperto almeno altri tre nuovi fronti di guerra, a fronte dei due parzialmente chiusi.
    Michelle Obama non è estranea a questa inconciliabilità. C’è un dettaglio nei modi di Michelle – sottolineato ieri dall’ineffabile Kantor sul New York Times – che racconta molto della First lady: gli abbracci. Michelle abbraccia tutti, lo fa con metodo e sempre nello stesso modo, allungando le braccia attorno alla schiena dell’abbracciato, senza aver paura di toccare con il suo corpo il corpo dell’altro. Una fotografa della Casa Bianca ha raccontato: “A volte il suo staff alza gli occhi al cielo, ok, here we go, perché se ci sono 50 persone che vogliono essere abbracciate, lei le abbraccia tutte”. La strategia dell’abbraccio è, secondo l’analisi di Kantor, emblematica, “un’utile metafora” per comprendere la First lady: “Un avvocato di Harvard che cerca di ottenere voti e consensi, Michelle offre intimità senza rivelarsi. Il gesto che più la caratterizza è d’effetto ma sicuro”. L’inconciliabilità: farsi notare stando in zona franca.

    La “First celebrity”
    Michelle è convinta che suo marito abbia fatto tutto quello che era possibile fare e che siano stati i tempi grami a ridimensionare i risultati di questo primo mandato. Non è andata così: gli aedi dell’Amministrazione hanno raccontato, chi con astio chi con rassegnazione, che l’inesperienza ha paralizzato Obama, che la paura di sbagliare e la paura di perdere consensi hanno condizionato grandemente il coraggio del “change”, fino ad annullarlo. Per Michelle il presidente non è diverso da quello del 2008, i quattro anni di pochi risultati e di colossali fratture non hanno modificato la storia raccontata dalla First lady. Le anticipazioni del discorso – l’intervento di Michelle era previsto ieri sera alle 10 e mezza, ora di Charlotte – sostenevano che la First lady sarebbe tornata sull’infanzia del presidente, su quanto fosse difficile economicamente la vita della coppia presidenziale ai suoi inizi, sulla determinazione di Obama e sul sogno, che è anche il sogno di tutta l’America. “Lei sa tutto del presidente come persona, quali sono le sue motivazioni, che cosa nutre la sua visione del mondo – ha detto il superconsigliere presidenziale David Axelrod – Parlerà degli ultimi tre anni e mezzo, non c’è nessuno che può farlo in modo altrettanto potente”.
    Michelle sa tutto, custodisce l’immagine rivoluzionaria del presidente, la elargisce ad ampie mani nelle sue tante comparsate televisive: è per questo che la chiamano la “First celebrity”, è per questo che è riservato a lei il dialogo con la massa. “Non è una politica, il suo fascino sta in questo – dice sempre Axelrod – Parla la lingua che le famiglie middle class del paese comprendono”. Michelle è il centro morale ma anche il centro domestico e mondano: “E’ la First fashionista, la mamma in chief, la First giardiniera, la zia cool, è Oprah con delle braccia buone – ha detto un esperto in First lady (qualsiasi cosa significhi) al Los Angeles Times – Non so se si tratta di un riposizionamento dell’immagine della First lady o se questa sia la vera Michelle. Comunque sia, è molto efficace”. Ma Michelle è anche quella che si sente prigioniera della Casa Bianca, un soldato infelice della causa obamiana, inorridita quando, all’arrivo a Washington, scoprì che le linee telefoniche non funzionavano come era abituata, che i tappeti erano sporchi delle macchie lasciate dai cuccioli dei Bush, che un militare passava a ritirare i vestiti di Obama per lavarli, ma i suoi li lasciava lì. Ancora una volta una doppia pulsione, che è la doppia pulsione della presidenza Obama: cambiare il mondo senza farsi troppo male. L’abbraccio d’effetto che però non ti espone troppo.
    Nei racconti, la stessa Michelle pare inconciliabile rispetto a Obama. David Remnick, direttore del New Yorker, ha sintetizzato così le differenze tra i due: “Lui crede nei processi politici, lei detesta tutto ciò che sa di politichese; lui è ambizioso, attento al risultato, lei vuole tutti a cena alle sei e mezza e non ammette eccezioni; lei perde la pazienza, lui si scusa”. Ma i matrimoni, si sa, sono ben di più della somma delle caratteristiche di due persone, spesso funzionano per motivi incomprensibili agli altri. Ma nel collasso del sogno obamiano, quel collasso che rende il presidente nervoso e che rende questa corsa alla Casa Bianca così complicata e in bilico, c’entra anche Michelle: non tanto la solidità del matrimonio, insondabile, quanto il ruolo di ultimo gatekeeper della presidenza.

    L’isolamento del guardiano
    “L’ultima parola spetta spesso alla First lady”, ripetono alla Casa Bianca, dicendo una banalità. Da sempre, le mogli sono le più temute dai collaboratori dei presidenti, perché hanno la possibilità di far cambiare idea ai loro mariti biascicando parole irremovibili mentre si lavano i denti. Vale per tutte così, anche per quelle che fingono di non voler alcun ruolo (forse l’unica eccezione è rappresentata da Pat Nixon, che in effetti non aveva alcun ruolo e i consiglieri del presidente dovevano ricordargli di sorridere alla moglie in pubblico). Ma Michelle si è conferita il ruolo di salvaguardare i valori di Obama, di tenerli al riparo dalle influenze esterne, di lasciarli apparire soltanto negli incontri “sicuri”, quelli con i quattro amici di sempre che frequentano la Casa Bianca – Eric e Cheryl Whitaker, Martin Nesbitt e Anita Blanchard – e quelli con la “First friend” Valerie Jarrett, che in quanto a guardiana non ha nulla da invidiare a Michelle (la Jarrett fa una guardia quasi fisica alla coppia presidenziale, è un buttafuori, ma con un piano politico). L’isolamento della coppia è diventata “insularità” del presidente nell’amministrazione della cosa pubblica, e il processo decisionale s’è impoverito. Perché le mogli hanno spesso l’ultima parola, ma devono anche sapere che cosa dire.

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    • Paola Peduzzi
    • Scrive di politica estera, in particolare di politica europea, inglese e americana. Tiene sul Foglio una rubrica, “Cosmopolitics”, che è un esperimento: raccontare la geopolitica come se fosse una storia d'amore - corteggiamenti e separazioni, confessioni e segreti, guerra e pace. Di recente la storia d'amore di cui si è occupata con cadenza settimanale è quella con l'Europa, con la newsletter e la rubrica “EuPorn – Il lato sexy dell'Europa”. Sposata, ha due figli, Anita e Ferrante. @paolapeduzzi