Il ministro delle bollicine
Più frutta per tutti, infine, con tanti saluti alle bibite con gas che si volevano inesorabilmente tassate e confinate, per decreto ministeriale, a brutte bestie della salute collettiva. Più frutta per tutti (il succo vero nella bottiglietta sarà almeno il venti per cento dell’intruglio che berrai) e un ministro della Salute, Renato Balduzzi, che esce con qualche dietrofront dal brainstorming sul decreto Sanità: tassa sulle bibite da “riformulare”, forse a danno di altre bellissime carogne ipercaloriche da drugstore americano, e slot machine ripescate dal confino (non dovranno più essere ad almeno duecento metri da scuole, chiese e ospedali, ed è questione di distanza e di cuore ma anche di tasca, con le lobby del gioco che facevano notare: guardate che ci perdete soldi, e anche tanti).
Più frutta per tutti, infine, con tanti saluti alle bibite con gas che si volevano inesorabilmente tassate e confinate, per decreto ministeriale, a brutte bestie della salute collettiva. Più frutta per tutti (il succo vero nella bottiglietta sarà almeno il venti per cento dell’intruglio che berrai) e un ministro della Salute, Renato Balduzzi, che esce con qualche dietrofront dal brainstorming sul decreto Sanità: tassa sulle bibite da “riformulare”, forse a danno di altre bellissime carogne ipercaloriche da drugstore americano, e slot machine ripescate dal confino (non dovranno più essere ad almeno duecento metri da scuole, chiese e ospedali, ed è questione di distanza e di cuore ma anche di tasca, con le lobby del gioco che facevano notare: guardate che ci perdete soldi, e anche tanti). E però non soltanto i dietrofront, oggi, rendono accidentato il possibile avvenire politico del ministro Balduzzi – un passato mai del tutto passato nel cattolicesimo democratico postandreottiano e un presente da “cattolico adulto” che sul percorso di Rosy Bindi pur sempre resta (Balduzzi è stato suo consigliere giuridico al ministero della Sanità e delle Politiche per la famiglia, anche se a volte Rosy Bindi, nelle interviste, esprime forti dubbi sulla spending review: “La Sanità non è più in grado di sostenere altri sacrifici”, ha detto quest’estate all’Unità). Oggi, sulla strada di Renato Balduzzi, nato a Voghera ma cresciuto tra Aosta e Alessandria, montagne ed ex paludi, padre impiegato del catasto, grande famiglia, moglie e tre figli, ci sono le regioni inviperite: “Non c’era urgenza”, hanno detto a proposito del promesso (da Balduzzi) riassetto generale sui medici di base, che in teoria dovrà portare, se l’attuazione non si inceppa a livello periferico, a un’assistenza sette giorni su sette e ventiquattro ore su ventiquattro (ma Roberto Volpi, statistico esperto di sanità, fa balenare un problema a monte del problema: “Forse bisognerebbe prima dare più potere ai medici di base, schiacciati come sono dal massiccio ricorso alla specialistica”).
Più frutta per tutti, almeno questo, per il ministro delle bollicine che a “Ballarò”, qualche mese fa, nella primavera dello scontento da paese “in declino”, non parlava di quel demonio della Coca-Cola e di quel diavolo del tabacco da non vendere ai fumatori minorenni (c’è già qualche tabaccaio che a Roma espone dazebao di protesta) ma diceva che “no, dire declino non si può,” i francesi a forza di dirlo “si sono avvitati” ed è come avvicinarsi pericolosamente a un’estetica “da decadentismo”. E ricorreva a metafore sommessamente catechistiche, il ministro (“siamo nel tunnel ma poi c’è la speranza”) per infondere ottimismo negli italiani esarcebati dalla chirurgia economica del governo tecnico. Io ne so qualcosa, di declino e speranza, diceva infervorato il ministro altrimenti noto per il tono di voce basso al limite del confessionale – d’altronde da giovane Balduzzi ha molto frequentato i pensionati dell’azione cattolica, passati alla storia anche per ragioni più profane, ché, alla faccia delle atmosfere ovattate, nelle stanze della Domus Mariae, a Roma, dove Balduzzi in anni più recenti si recava per incontri intracattolici, si consumò la sconfitta di Amintore Fanfani, già dimessosi da segretario politico, e la nascita della corrente dorotea. E insomma in Balduzzi ancora risuonano le voci degli antichi universi democristiani, mentre si affaccia in lui il nuovo desiderio di avvicinare in proprio (al di là di Rosy Bindi) le gerarchie ecclesiastiche, senza che per questo il ministro dimentichi le università del nord dove insegna da costituzionalista e i sempreverdi addentellati con il mondo del Meic (Movimento ecclesiale di impegno culturale che Balduzzi ha presieduto fino al 2009) o dell’Agenas (Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali, che Balduzzi presiedeva prima di diventare ministro).
Proverbiale è dunque la diplomazia di Balduzzi nel muoversi da uno scenario all’altro – ieri era atteso alla festa del Pd di Reggio Emilia, ma a molte altre kermesse democratiche il ministro si è recato, come pure ai convegni di cosmetica inspiegabilmente pullulanti di ministri e parlamentari (accadde nei pressi della Camera, l’inverno scorso). Proverbiale, altresì, è l’imperscrutabilità di Balduzzi: nei giorni della sentenza di Strasburgo sulla legge 40 i cronisti faticavano a capire da che parte tirasse il vento, quasi quanto faticarono a carpire le sue parole sussurrate agli ascoltatori della videochat condotta nel febbraio scorso da Margherita De Bac, con Balduzzi serissimo, chino su un computer, sullo sfondo di una palma incongrua per luogo e stagione, teso a comprendere le domande dell’utente web in “ribellione contro il gergo della politica”. E anche se il salotto televisivo Balduzzi non l’ha mai disdegnato, alla fine l’effetto era, suo malgrado, quello di un “Balduzzi chi?” – nessuno, prima di agosto, ne ricordava le lacrime o le uscite; nessuno aveva visto Balduzzi puntare le armi come nella subitanea crociata contro il videopoker canaglia e la caloria vampira di gioventù, con toni da stato etico che poco sono piaciuti ai liberali annidati tra governo, giornali e Parlamento. Ma in quel di Alessandria, intanto, raccontano le cronache locali, qualcuno quest’estate ha cominciato a sobbalzare (per esempio il presidente pd della provincia Paolo Filippi, detto il “mite”, autore di un’invettiva su Facebook contro coloro che a Roma promettono candidature ma poi, più che a lui, guardano al ministro Balduzzi per una futura candidatura al Parlamento). “Guerra tra presidente della provincia di Alessandria e ministro”, ha titolato il 31 agosto il sito Lo spiffero, e in effetti sono lontani i giorni di concordia campanilistica in cui Balduzzi, sempre a “Ballarò”, si lasciava andare a rievocazioni piemontesi e commosse del duro novembre ’94, quando Alessandria ammattiva tra rabbia, paura e alluvione – undici morti nella città stravolta, né luce né telefono, fuggitivi rincorsi dal fango nell’acqua limacciosa (persino “una sposa in abito bianco” che corre per salvarsi nella notte, scriveva all’epoca il Corriere della Sera). Il Balduzzi televisivo, passato poi ad argomenti meno drammatici, aveva gli occhi concentrati e l’aria di chi non vuole scontentare nessuno, e chissà come deve sentirsi, oggi, ad aver scontentato un po’ tutti.
Pazienza se il Piemonte valoroso dell’ora triste si è tramutato in Piemonte delle discordie. Ora, nell’imminenza del grande scontro con le regioni sui medici di base, pure la vita da professore resta sullo sfondo (gli studenti di Balduzzi lo ricordano “severo”, “pignolo” e a volte misteriosamente desideroso di “parlare un tedesco non pronunciato alla perfezione”).
Tutta un’altra cosa è restarsene impassibili nell’estate della gran crociata nutrizionista, in mezzo al bailamme, dopo esser stato in ritiro spirituale a Camaldoli per prendere respiro dalla bufera totale sui videopoker e sulle nomine all’Aifa e in altri istituti, smottamenti già avvenuti o pronti a discendere dal decreto. Più che nell’ambiente di Famiglia Cristiana, che pur gli dava ispirazione e collaboratori, ora Balduzzi deve immergersi obtorto collo nelle rimembranze di strategia ministeriale apprese ai tempi in cui da giurista lavorava sui Dico (progetto di legge sulle coppie di fatto) dal lato Bindi, con Stefano Ceccanti, altro cattolico democratico, sul lato Pollastrini. I veterani del Transatlantico ricordano in alcuni casi “uno scontro di cattolicità” tra i due, ma oggi Ceccanti (gentiluomo?) dice “macché, non c’erano attriti, si cercava insieme di lavorare a qualcosa che servisse per tutte le coppie di fatto”, e dice pure che “Balduzzi, per carattere, era complementare a Bindi”, cioè “pacato” ed estraneo a qualsiasi “esplosione di collera”. Finirono comunque incagliati, i Dico, e con gli oppositori del progetto a sottolineare non senza sberleffo i “paradossi della raccomandata” che i conviventi avrebbero dovuto reciprocamente mandarsi per convalidare l’unione civile nel caso (previsto dal progetto di legge) in cui si fossero recati all’anagrafe separatamente: la possibile anticamera di un pateracchio kafkiano sulle ricevute di ritorno (e se lui non è in casa quando arriva la raccomandata di lei? e se lei non è in casa quando arriva la raccomandata di lui?, si chiedevano allora nemici e simpatizzanti).
“Sono assolutamente soddisfatto, alcuni articoli sono applicativi, altri richiedono discussioni”, ha detto il ministro Balduzzi del decreto salute approvato nottetempo, mentre i presidenti di regione si appellavano al presidente della Repubblica per denunciare l’assenza di “criteri d’urgenza” e mentre i fumatori più giovani si sentivano nell’angolo come neanche ai tempi dei primi divieti targati Sirchia, quando improvvisamente ci si trovò a immaginare un mondo di buoni e di cattivi (poi molti cambiarono idea: si poteva andare al cinema e ai concerti senza uscirne con lacrime da sigaretta e vestiti da lavanderia).
Con rovesciamento dialettico di prospettiva, forse figlio della lunga palestra alle propaggini della Dc d’antan (consigliere comunale d’opposizione tra il ’90 e il ’93), Balduzzi ieri definiva il dietrofront sulle bibite zuccherate “un obiettivo raggiunto” nel senso del bicchiere mezzo pieno e della “discussione lanciata”. E se la roboante campagna d’estate sulle bollicine tornava nel cono d’ombra dei provvedimenti magari dieteticamente corretti ma difficilmente imponibili a un popolo di magri per caso e nei propositi del lunedì, il ministro Balduzzi restava al centro della scena proprio nel “modo non defilato che poco gli aggrada”, come dice uno che lo conosce. Perché Balduzzi vagheggiava un’esposizione laterale, una notorietà sporadica come quella della notte in cui lo buttarono giù dal letto per comunicargli la chiamata da ministro, al termine di una giornata trascorsa in quel di Alessandria, a commentare Charles de Foucauld con i colleghi del Meic. “Non me l’aspettavo”, disse come tutti i ministri montiani nel preludio della trasferta romana. Non se l’aspettava, di doverci mettere la faccia con un ballon d’essai sulle bevanda di perduta innocenza.
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