Il mistero di Xi Jinping, sparito da giorni
Guerra tra bande a Pechino
Le procedure per la selezione dei 2.270 delegati che parteciperanno al 18esimo Congresso del Partito comunista cinese, l’appuntamento in cui le principali cariche della seconda economia del pianeta saranno sostituite attraverso un procedimento complicatissimo e segretissimo, si sono concluse. Tra loro c’è di tutto, dai braccianti ai minatori, dagli autisti di autobus agli operai. Perfino la medaglia d’oro nei 200 metri farfalla alle Olimpiadi di Londra, la nuotatrice Jiao Liuyang, parteciperà alla grande adunanza che chiuderà l’era decennale del binomio Hu Jintao-Wen Jiabao.
Le procedure per la selezione dei 2.270 delegati che parteciperanno al 18esimo Congresso del Partito comunista cinese, l’appuntamento in cui le principali cariche della seconda economia del pianeta saranno sostituite attraverso un procedimento complicatissimo e segretissimo, si sono concluse. Tra loro c’è di tutto, dai braccianti ai minatori, dagli autisti di autobus agli operai. Perfino la medaglia d’oro nei 200 metri farfalla alle Olimpiadi di Londra, la nuotatrice Jiao Liuyang, parteciperà alla grande adunanza che chiuderà l’era decennale del binomio Hu Jintao-Wen Jiabao. Quello cinese, secondo il vicecapo dell’organizzazione del partito, Deng Shengming, “è un sistema elettorale davvero aperto e trasparente in cui tutto è fatto alla luce del Sole”. Talmente aperto che del Congresso non si conosce ufficialmente neppure la data, anche se dalle ultime indiscrezioni sembra che si terrà verso la metà di ottobre, proprio come nel 2007. Scandali, frizioni e tensioni hanno determinato una serie di rinvii raramente visti in passato a Pechino. L’armonia, principio che – almeno a parole – guida ogni governo cinese, si è rotta. “Non c’è mai stata così tanta confusione”, spiega al Foglio Elizabeth Economy, direttore del programma sull’Asia del Council on Foreign Relations: “Non sappiamo neppure quante persone faranno parte del prossimo Comitato centrale, per cui è difficile tracciare il profilo della leadership che governerà nel prossimo decennio”, aggiunge.
Tutto è cominciato con il caso di Bo Xilai, il potente ex segretario del partito a Chongqing rimosso a marzo perché implicato in scandali finanziari, tentativi di spionaggio dei vertici istituzionali e – soprattutto – nell’omicidio dell’uomo d’affari inglese Neil Heywood, delitto per cui la moglie di Bo, Gu Kailai, è stata condannata a morte (pena poi commutata nell’ergastolo) il mese scorso, dopo sette ore e mezza di processo a porte chiuse. “E’ la prima volta che, durante una transizione politica, il popolo cinese può rendersi conto davvero di tutto ciò che non funziona negli apparati dello stato e del Partito comunista”, aggiunge Economy, spiegando che “manovre così sfacciate per la conquista di posizioni di primo piano nel Comitato centrale non si erano mai viste”.
L’affaire Bo sembra aver messo in luce tutte le crepe nella leadership di Pechino: “E’ vero che – dice Guido Samarani, sinologo all’Università Ca’ Foscari di Venezia – all’avvicinarsi di un momento essenziale come quello del Congresso nazionale problemi, rivalità politiche e personali si acuiscono per influenzare l’agenda politica futura e il nuovo organigramma del partito”. Ma il caso Bo è diverso, più grave e importante: l’ex segretario di Chongqing “aveva un proprio preciso programma politico-ideologico legato alle tesi di quella che è stata definita la ‘Nuova sinistra’, e cioè la lotta alla corruzione e alle diseguaglianze. Bo Xilai è stato in grado di sviluppare una politica e di creare un consenso di impronta populistica, con effetti evidenti sulla sua popolarità a Chongqing e nel Sichuan. Temi e metodi da lui utilizzati per affrontare i problemi non piacevano a molti esponenti della nomenclatura centrale”, e questo può aver determinato il suo repentino allontanamento da ogni posizione di vertice. Anche Xi Jinping, probabile successore di Hu Jintao alla presidenza della Repubblica, si è allineato – almeno pubblicamente – alle decisioni del partito, dicendosi fin da subito sostenitore della linea dura e del rispetto delle leggi e dei procedimenti. In privato, però, sembra che Xi si sia mostrato più morbido anche perché sia lui che Bo sono principi rossi, figli di due degli otto eroi immortali della Rivoluzione maoista ed entrambi appartengono alla fazione che si oppone da sempre alla Lega giovanile di Hu Jintao. Ma Xi Jinping è un leader prudente, sa che “anche solo una mossa sbagliata o una serie di comportamenti non trasparenti possono mettere a rischio una carriera politica costruita lungo gli anni”, dice Samarani.
Il caso di Ling Jihua, il braccio destro di Hu Jintao destituito improvvisamente dall’incarico di responsabile del dipartimento dell’Ufficio di amministrazione del Politburo e mandato a occuparsi dei rapporti con le minoranze etniche che popolano la Cina, lo dimostra: basta poco per passare da un posto sicuro nel Comitato centrale all’oblio completo. Proprio la rimozione di Ling mostra le difficoltà in cui si muove Hu Jintao: sempre titubante e incerto, gli analisti considerano ormai del tutto deludente il suo doppio mandato alla guida del gigante asiatico. Avrebbe voluto seguire le orme di Jiang Zemin, il suo mai amato predecessore, affidando i posti più delicati del Politburo a suoi protetti e fedelissimi. Era perfino disposto a farsi completamente da parte, lasciando la guida del Comitato militare a colui che con ogni probabilità sarà il prossimo primo ministro, Li Keqiang. Ma Li non ha alcun rapporto con i vertici delle Forze armate né l’esperienza adeguata. Rischierebbe di non avere poteri e di essere subito emarginato. Anche per questo, forse, Hu Jintao tenterà di rimanere ai vertici militari ancora per un biennio, dopo aver faticato non poco per conquistare la fedeltà dei vari e agguerriti generali che compongono lo stato maggiore cinese.
Hu Jintao dovrà fare i conti anche con Jiang Zemin, l’ottantaseienne ex leader in precarie condizioni di salute che un anno fa era stato dato per morto e che invece è tornato alla ribalta, condizionando la transizione per favorire dirigenti e funzionari a lui legati. “Jiang Zemin sta facendo sentire tutto il peso del prestigio di cui gode ancora”, specifica Samarani. L’ex capo dello stato sarebbe intervenuto, nei mesi scorsi, anche per suggerire un trattamento “non troppo duro” nei confronti di Bo Xilai, sostengono fonti di Pechino al Wall Street Journal. La vicenda dell’ex segretario di Chongqing “dimostra ancora una volta che i leader possono pure ritirarsi, ma continuano ad avere influenza, soprattutto nelle questioni personali”, scrive Joseph Fewsmith, docente alla Boston University, sull’ultimo numero della rivista China Leadership Monitor. Quel che è certo, “è che qualcosa cambierà, dovrà cambiare per forza”, dice Elizabeth Economy: “Hu Jintao e Wen Jiabao non sono riusciti a porre rimedio a trent’anni di crescita ineguale. Oggi in Cina la diseguaglianza ha raggiunto livelli mai toccati prima, la tutela ambientale non è neppure tema all’ordine del giorno, il sistema sanitario è inadeguato e corrotto”. Xi Jinping, da quanto si è potuto capire dai suoi discorsi più recenti, vuole prendere in mano la situazione per risolvere i problemi del paese, “che non hanno precedenti nella storia”. L’economia rallenta, la crescita potrebbe faticare a raggiungere l’8 per cento, il costo della vita aumenta e c’è lo spettro di una forte ondata di disoccupazione.
Il probabile futuro presidente è pronto a correggere la rotta, “ma senza perdere la stabilità”. Vorrebbe – stando a fonti interne cinesi riportate dall’agenzia Reuters – rendere più veloci le liberalizzazioni economiche e attenuare i controlli politici sulla società. Non è detto, però, che riesca nel suo intento: “Anche se la nuova leadership volesse spingere per una linea riformista, vi sono potenti e fortissimi interessi che resistono ai tentativi di cambiamento e che faranno di tutto per mantenere lo status quo”, aggiunge il direttore del Programma sull’Asia del Council on Foreign Relations. Impossibile anche ipotizzare quale sarà la condotta in politica estera dei nuovi vertici, soprattutto in riferimento ai dissidi con i paesi confinanti nel mar Cinese meridionale per il controllo di isolotti, scogli e giacimenti sottomarini di idrocarburi. La volontà di Pechino di rendere quelle aree marittime una propria zona economica esclusiva hanno allarmato Washington, al punto che il segretario alla Difesa, Leon Panetta, ha recentemente ribadito che “entro il 2020 gli Stati Uniti dispiegheranno nel Pacifico e in Asia orientale il 60 per cento della propria capacità navale”. La replica cinese non si è fatta attendere, con il ministero degli Esteri di Pechino che definiva “ingerenze inopportune” quelle americane. E’ prevedibile, però, spiega Guido Samarani, che alla luce di queste recenti tensioni, l’enfasi sulla difesa dei diritti, della sovranità, del rispetto internazionale per il ruolo di Pechino nel mondo possa farsi più assertiva”. Su questo fronte Xi Jinping potrebbe anche adottare una nuova linea rispetto a quella dell’ultimo decennio.
Ma ecco il colpo di scena: da dieci giorni di Xi Jinping non si sa più nulla. Non appare in pubblico, non rilascia dichiarazioni, annulla incontri programmati con leader stranieri. Ufficialmente, il probabile prossimo presidente della Repubblica sarebbe bloccato da un terribile mal di schiena, ma subito si sono scatenate voci che lo danno ricoverato in ospedale in seguito a un attentato volto a destabilizzare l’imminente Congresso. Dopo aver cancellato l’incontro con Hillary Clinton la scorsa settimana, infatti, Xi Jinping non ha partecipato neanche al summit con il premier danese Helle Thorning-Schmidt previsto per il pomeriggio di ieri. “Non ci sono notizie rilevanti sullo stato di salute del vicepresidente Xi Jinping”, ha detto il portavoce del ministero degli Esteri Hong Lei, non fugando del tutto i rumors che circolano sul Web. Boxun, sito cinese che pubblica dagli Stati Uniti, ha riportato la voce raccolta in ambienti del governo di Pechino secondo cui lo scorso 4 settembre l’auto su cui viaggiava Xi sarebbe stata coinvolta in un incidente stradale che altro non sarebbe che un attentato preparato con cura da settori deviati dell’esercito legati a Bo Xilai. In passato, alcune notizie di Boxun sulle torbide manovre negli ambienti del Politburo si sono rivelate esatte, ma spesso ha dato adito a notizie infondate, come chiarisce Want China Times, il sito di informazione in lingua inglese con sede a Taiwan.
Secondo quanto scrive Boxun, Xi Jinping avrebbe riportato ferite leggere, mentre molto peggio sarebbe andata a He Guoqiang, il segretario della commissione Disciplinare del partito coinvolto in un altro incidente stradale che ora si troverebbe ricoverato in gravi condizioni. L’ospedale militare di Pechino sarebbe da giorni inaccessibile, con l’area circostante presidiata da un numero ingente di forze dell’ordine, segno che forse qualche paziente di alto profilo è ricoverato nelle sue stanze. Altri due attentati – stando sempre alle rivelazioni del sito Boxun – avrebbero dovuto colpire il presidente uscente Hu Jintao e l’attuale premier Wen Jiabao, per quello che si sarebbe dunque configurato come un vero e proprio colpo di stato ordito da frange filomaoiste dell’esercito.
Che corrispondano o no al vero, queste notizie e indiscrezioni diffuse sul Web alimentano l’allarme su quanto sta avvenendo realmente negli ovattati palazzi del potere a Pechino. I segnali che non sarebbe stata una transizione facile e tranquilla come quella del 2002 c’erano tutti, da tempo. Ma nessuno poteva prevedere che il tradizionale e decennale ricambio ai vertici destabilizzasse in modo così forte la politica del gigante asiatico, trasformandola in una guerra tra bande rivali per il controllo dei posti chiave delle massime istituzioni nazionali. Una lotta per la sopravvivenza senza esclusione di colpi, dove a essere messa in pericolo è la stabilità della seconda economia del pianeta.
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