Quell'intesa cordiale (da record) tra Monti e l'appartamento del Papa
Silvio Berlusconi aveva Gianni Letta a tessere i rapporti col Vaticano. Già gentiluomo di Sua Santità, entrava nelle stanze vaticane “in frac e collare d'oro”, segno distintivo di quei Cavalieri di spada e cappa utili per “tante nascoste mansioni”, come disse un giorno Papa Ratzinger durante un'udienza loro riservata. E Mario Monti? Oramai è a tutti evidente. A lui non serve nessun Gianni Letta né, a ben guardare, l'interfaccia della scelta pattuglia dei ministri cattolici del suo governo. A differenza del suo predecessore a Palazzo Chigi, Monti basta a se stesso.
Roma. Silvio Berlusconi aveva Gianni Letta a tessere i rapporti col Vaticano. Già gentiluomo di Sua Santità, entrava nelle stanze vaticane “in frac e collare d’oro”, segno distintivo di quei Cavalieri di spada e cappa utili per “tante nascoste mansioni”, come disse un giorno Papa Ratzinger durante un’udienza loro riservata. E Mario Monti? Oramai è a tutti evidente. A lui non serve nessun Gianni Letta né, a ben guardare, l’interfaccia della scelta pattuglia dei ministri cattolici del suo governo. A differenza del suo predecessore a Palazzo Chigi, Monti basta a se stesso. E’ lui, insomma, a chiamare direttamente l’appartamento per fissare gli appuntamenti. E’ lui a godere di una stima e fiducia del Pontefice tali da avergli permesso un record difficilmente eguagliabile: sette incontri in dieci mesi. Tante sono state le volte che il premier ha incontrato Benedetto XVI. E’ vero, il 14 gennaio scorso, nella prima udienza ufficiale, Monti ha stretto la mano al Papa senza però inchinarsi a baciargli l’anello pontificio. Ma oltre la forma c’è la sostanza, e cioè un’attenzione da parte del premier alle istanze della chiesa non da poco, non ultime le parole di un paio di settimane fa intorno al finanziamento alle scuole private che per Monti, appunto, “necessitano di un finanziamento pubblico”. E’ vero, Federico Toniato, il suo braccio destro entrato nelle grazie del segretario di stato vaticano Tarcisio Bertone ai tempi in cui Renato Schifani gli affidò i rapporti di Palazzo Madama con la Santa Sede, fa parecchio per la causa. Ma molto fa anche Monti da solo, come testimonia la parola che più di altre girava oltre il Tevere dopo la recente visita del premier al Papa avvenuta nella residenza estiva di Castel Gandolfo, “familiarità”. Una familiarità con il Pontefice che probabilmente non aveva nemmeno il “famiglio pontificio” Gianni Letta.
Tutto iniziò pochi giorni dopo l’investitura di Monti alla guida del governo tecnico del paese da parte di Giorgio Napolitano e delle Camere. Era il 18 novembre che Monti si recò a Fiumicino per salutare di persona il Papa in partenza per il viaggio in Benin. Nel breve tragitto fino alla scaletta dell’aereo ebbe l’occasione di affrontare brevemente l’argomento della crisi economica. Poi la visita del 14 gennaio benedetta dall’Osservatore Romano con la pubblicazione di un’intervista realizzata “in coordinamento” col quotidiano da due giornalisti della Radio Vaticana. Ma prima della visita vi fu un’apparizione informale e “senza alcun protocollo” compiuta dal premier con famiglia – moglie, figli e nipotini al seguito – il pomeriggio del primo gennaio al presepe allestito in piazza San Pietro e alla basilica vaticana, “sostando – ha scritto ancora l’Osservatore – per alcuni momenti dinanzi alla tomba del beato Giovanni Paolo II”. Poi altri incontri, in occasione della partenza del Papa per Messico e Cuba, la telefonata per la festa di San Giuseppe, l’incontro nel giorno del settantesimo anniversario dell’elezione di Ratzinger.
Ma la tela che Monti tesse va oltre il Vaticano e investe anche il mondo cattolico fuori le mura leonine. A fine agosto la visita al Meeting di Cl nella quale alcuni leader del movimento hanno pubblicamente dichiarato di voler stare dalla sua parte nel caso la sua esperienza politica dovesse continuare. Nelle scorse ore l’arrivo a Sarajevo per l’incontro della pace della Comunità di Sant’Egidio, quella comunità che Monti ha definito con parole per nulla di circostanza “faro nel mondo che rende l’Italia orgogliosa di esserne sede”. Infine la doppia visita al feretro del cardinale Carlo Maria Martini nel Duomo di Milano, a suggellare un legame col mondo cattolico nella sua interezza. Se mai ci sarà un Monti bis, non saranno di certo il Vaticano e la chiesa italiana a voltargli le spalle.
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