La rivolta delle brave ragazze a Newsweek, quando si beveva molto

Annalena Benini

Una ragazza si laurea a pieni voti in un college prestigioso, ha gli stessi sogni di un uomo, fiducia nel futuro e un po’ di paura, e arriva nella redazione di un giornale importante, Newsweek. Vestita da brava ragazza, si ritrova a spingere il carrello della posta sui tacchi alti, come in una puntata di “Mad Men”. Perché sono esattamente gli anni di Mad Men, i Sessanta. “Le donne consegnavano la posta, ritagliavano i giornali e, se erano fortunate, diventavano quelle che facevano le ricerche e le verifiche sui fatti. Tutti quelli che scrivevano erano uomini, e ognuno lo accettava perché era così che andava il mondo. Fino a che abbiamo deciso di fare quella cosa”.

    Una ragazza si laurea a pieni voti in un college prestigioso, ha gli stessi sogni di un uomo, fiducia nel futuro e un po’ di paura, e arriva nella redazione di un giornale importante, Newsweek. Vestita da brava ragazza, si ritrova a spingere il carrello della posta sui tacchi alti, come in una puntata di “Mad Men”. Perché sono esattamente gli anni di Mad Men, i Sessanta. “Le donne consegnavano la posta, ritagliavano i giornali e, se erano fortunate, diventavano quelle che facevano le ricerche e le verifiche sui fatti. Tutti quelli che scrivevano erano uomini, e ognuno lo accettava perché era così che andava il mondo. Fino a che abbiamo deciso di fare quella cosa”. Anche Nora Ephron era stata una “mail girl”, del resto, una ragazza che va in giro per la redazione con il carrello della posta, e ogni tanto prepara un cocktail per qualche capo della cronaca, sente di stare in un posto interessante dove succedono le cose, con i telefoni che squillano di continuo e il fumo di mille sigarette. Ma Nora Ephron scappò via presto, le altre restarono e a un certo punto si ribellarono.

    “La rivolta delle brave ragazze” è il nuovo libro di Lynn Povich, giornalista di lungo corso, una delle quarantasei ragazze che nel 1970 fecero causa a Newsweek per discriminazione sessuale. Perché, nonostante gli entusiastici reportage sulle lotte femministe, nonostante quello fosse un giornale innovativo, al centro del mondo, la regola era: “Le donne qui non scrivono”. Non si annoiavano, ma non scrivevano. “C’era un sacco da bere, dentro e fuori l’ufficio. Il venerdì sera una fila di berline nere avrebbe aspettato fino a quando non finivamo di lavorare, all’una o alle due del mattino, per riportarci nei nostri minuscoli appartamenti. Erano i favolosi anni Sessanta, quindi c’era molto sesso fra i capi e le donne giovani, la maggior parte delle volte consensuale”. Ma i ragazzi che si erano diplomati nelle stesse scuole delle donne, senza alcuna esperienza professionale, venivano assunti come giornalisti. Le ragazze ritagliavano e incollavano articoli dai giornali, erano confuse, si chiedevano se era giusto desiderare una carriera, pensavano: forse non siamo abbastanza brave, ma poi nei bagni delle signore decisero di preparare la rivoluzione. Sembra già una serie televisiva. “Lo stesso giorno in cui Newsweek dedicava la copertina al movimento delle donne, il 16 marzo 1970, abbiamo annunciato la nostra causa per discriminazione, per ottenere la maggiore pubblicità possibile” (gli anni di vita di redazione avevano allenato il senso del tempismo). La maggior parte degli uomini era a favore, il direttore anche, e l’editore di Newsweek, donna, chiese, un po’ scombussolata da tutta quella confusione: “Da che parte dovrei stare?”.

    Ottennero le quote rosa, ma non solo: un terzo dei redattori e commentatori dovevano essere donne, e un terzo dei ricercatori uomini, per dimostrare che non era un lavoro soltanto da ragazze. L’ultima richiesta fu un redattore capo donna: dopo cinque anni fu nominata caporedattore Lynn Povich, che quarant’anni dopo ha raccontato in un libro la storia che nemmeno le giovani giornaliste di Newsweek conoscevano. Ha ricordato, insomma da dove vengono, da dove veniamo tutti. E ora Lynn Povich ha girato la domanda proprio alle ragazze, alle colleghe cresciute negli anni del Girl Power. Adesso va tutto bene? Sì, più o meno, a parte quando succede che donne di talento comincino la frase con: “Non so se è una buona idea, ma…”, e poi arriva un uomo, che ha in testa una totale stronzata, senza uno straccio di ricerca dietro, ma fa la voce autorevole e convince la stanza e tutti i capi che quella è la più grande idea mai partorita da mente umana.

    • Annalena Benini
    • Annalena Benini, nata a Ferrara nel 1975, vive a Roma. Giornalista e scrittrice, è al Foglio dal 2001 e scrive di cultura, persone, storie. Dirige Review, la rivista mensile del Foglio. La rubrica di libri Lettere rubate esce ogni sabato, l’inserto Il Figlio esce ogni venerdì ed è anche un podcast. Ha scritto e condotto il programma tivù “Romanzo italiano” per Rai3. Il suo ultimo libro è “I racconti delle donne”. E’ sposata e ha due figli.