La valutazione della ricerca da Soviet supremo e i furbetti delle rivistine

Giorgio Israel

Personalmente non ho mai considerato “Il Gattopardo” un romanzo epocale, ma è chiaro che la sua popolarità in Italia è dovuta al fatto che la propensione nazionale a cambiar tutto perché non cambi nulla si ripresenta con ripetitività estenuante. L'ultimo caso è quello della riforma universitaria. Sono stato uno dei non molti che hanno creduto nel proposito di introdurre con la riforma il principio del merito, smantellando il prepotere delle baronie, e che firmarono un appello per difenderla. Oggi non lo firmerei neppure sotto tortura, vista l'incredibile porcheria che, passo dopo passo, si è riusciti a confezionare, tradendo in toto i propositi iniziali

    Personalmente non ho mai considerato “Il Gattopardo” un romanzo epocale, ma è chiaro che la sua popolarità in Italia è dovuta al fatto che la propensione nazionale a cambiar tutto perché non cambi nulla si ripresenta con ripetitività estenuante. L’ultimo caso è quello della riforma universitaria. Sono stato uno dei non molti che hanno creduto nel proposito di introdurre con la riforma il principio del merito, smantellando il prepotere delle baronie, e che firmarono un appello per difenderla. Oggi non lo firmerei neppure sotto tortura, vista l’incredibile porcheria che, passo dopo passo, si è riusciti a confezionare, tradendo in toto i propositi iniziali. Fu ingenuità? Forse sì, se è un errore credere alle promesse e ai propositi dichiarati.
    Nel fuoco del dibattito sulla riforma si tenne un convegno a Bologna, con una rappresentanza politico-parlamentare di alto livello, in cui furono affermati con vigore due propositi: (a) creare una struttura agile e dotata della massima autonomia compatibile con il carattere statale dell’istituzione; (b) introdurre una valutazione che operi a valle e non a monte. I due propositi erano coerenti e correlati. Oggi abbiamo una riforma che ha ridotto l’università a una macchina burocratica soffocante – come se non lo fosse già prima – e ha introdotto una valutazione tutta a monte.

    Consideriamo quest’ultimo aspetto. La neonata Anvur (Agenzia per la valutazione dell’università e della ricerca) doveva espletare la funzione (b) e pareva che volesse agire in tal modo, valutando la qualità della ricerca, secondo il principio all’americana “assumete chi vi pare, controlleremo quel che avrà fatto, e chi ha sbagliato ne renderà conto”. Già il modo in cui l’Anvur aveva impostato la valutazione della ricerca svolta negli anni passati, troppo basato su tecniche automatiche, aveva destato sospetti.
    Puntualmente si è verificato il peggio. L’Anvur si è “allargata”, dettando i requisiti per far parte delle commissioni per l’abilitazione nazionale e per presentarsi al concorso, usando quei criteri bibliometrici che sono sempre più messi sotto accusa all’estero, aggiungendovi un inedito criterio della “mediana statistica”: chi sta sotto la mediana non può essere commissario e non può presentarsi al concorso. Di fronte alla valanga di assurdità e incoerenze che sono emerse nell’applicazione di questi criteri (e la cui descrizione richiederebbe un intero numero del Foglio), l’Anvur ha moltiplicato le mediane e gli algoritmi di calcolo in un balletto farsesco che sembra più che altro rispondere al fine di evitare ricorsi, e che soprattutto ha ridicolizzato la pretesa “oggettività” dei metodi introdotti. Inoltre, ha spaccato in due il mondo universitario, riservando al settore umanistico una valutazione non bibliometrica, che consente di entrare in gioco pur di aver pubblicato un articolo in una rivista di serie A, secondo una classifica di merito stilata dall’Anvur stesso, che pure ha provocato un diluvio di contestazioni. Senza dire che questo meccanismo cristallizzerà la ricerca entro forme inamovibili, e cancellerà l’interdisciplinarietà.

    Sta di fatto che questo bailamme comincia a piacere a qualcuno che si è chiesto: e se facessimo classificare come riviste di serie A quelle che interessano a noi, o comunque a impadronirci delle riviste di serie A, non sarebbe questo un modo ben più efficace e meno esposto alla critica di arbitrio per esercitare un controllo totale sulla ricerca e sul reclutamento? Nel settore bibliometrico è ancor più semplice: basta farsi calcolare la mediana nel modo “giusto”. L’Anvur ora balbetta di agire contro le “baronie”, mostrando una gigantesca coda di paglia.
    In nessun paese al mondo esiste una simile sorta di Presidium del Soviet supremo della ricerca e dell’università. Ci voleva un paese con un ventennio e poi altri decenni di culture totalitarie alle spalle per creare un simile mostro di dirigismo statalista. E solo nella patria del gattopardismo era possibile assistere allo spettacolo delle inossidabili congreghe che, al grido di “abbasso i baroni, evviva le mediane”, sgomitano per ottenere un posto nel Soviet supremo.