La prima di Renzi al teatro di Verona

Claudio Cerasa

Al termine della mattinata, dopo un’oretta e mezza buona di discorso, dopo un paio di buone provocazioni, dopo una serie di discrete proposte e dopo aver finalmente utilizzato quelle sette parole che i suoi sostenitori gli chiedevano da tempo di tirar fuori dal cilindro (“Mi candido ufficialmente alle primarie del centrosinistra”), Matteo Renzi si precipita giù dalle scale dell’auditorium veronese della Gran Guardia, saluta i giornalisti e al telefono con un amico ammette di essere davvero “molto soddisfatto”.

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    Verona. Al termine della mattinata, dopo un’oretta e mezza buona di discorso, dopo un paio di buone provocazioni, dopo una serie di discrete proposte e dopo aver finalmente utilizzato quelle sette parole che i suoi sostenitori gli chiedevano da tempo di tirar fuori dal cilindro (“Mi candido ufficialmente alle primarie del centrosinistra”), Matteo Renzi si precipita giù dalle scale dell’auditorium veronese della Gran Guardia, saluta i giornalisti, concede alcuni scatti, stringe diverse mani, poi si infila nella porticina rettangolare del suo camper, si siede di fronte a un tavolino di compensato, riaccende il telefono, legge alcuni messaggi, dà uno sguardo a Twitter, scorre rapidamente i siti dei giornali e alla fine, al telefono con un amico, ammette di essere davvero “molto soddisfatto”. Il sindaco di Firenze, poco prima di arrivare a Verona, aveva concordato con la sua squadra che il discorso di ieri, anche a costo di essere un po’ noioso, avrebbe dovuto avere i caratteri non di uno speech a forte contenuto emozionale ma di una tradizionale lista della spesa tipica dei discorsi di accettazione delle primarie americane (il modello Barack Obama 2008). E così, nel suo primo giorno da candidato premier, il sindaco ha scelto di eliminare dalla sua corsa un po’ di colore, un po’ di pathos e un po’ di sfumature pop e ha deciso di puntare tutto su tre o quattro grandi temi intorno ai quali costruire la propria rincorsa a Bersani. Il discorso del sindaco, in realtà, potrebbe essere analizzato partendo da diversi punti di vista e concentrandosi magari sulle frasi legate al tentativo di voler andare a stanare alle primarie anche gli elettori del centrodestra (scandalo!) o sulle parole relative al senso di umiliazione che un democratico avrebbe dovuto provare lo scorso novembre quando il centrosinistra, di fronte al fallimento del centrodestra, ha “umiliato” i suoi elettori non riuscendo a trovare una proposta credibile tale da costringere il capo dello stato a evitare una soluzione tecnica. Naturalmente c’è anche questo nel discorso di Renzi ma a ben vedere, in realtà, le stelle fisse che illuminano il percorso della battaglia del sindaco sono due immagini piuttosto chiare da lui offerte ieri alla sua platea veronese.

    La prima immagine contro cui il sindaco promette di combattere è quella rappresentata dall’istantanea con cui alcuni vecchi volti della sinistra sono stati immortalati tre giorni fa di fronte al Palazzaccio di Roma. Renzi lascia intendere che quell’immagine con cui intende legarsi Bersani (immagine i cui protagonisti sono Vendola, Di Pietro, Diliberto, Ferrero, e compagni vari) rappresenta non solo una sinistra vecchia, irresponsabile e conservatrice ma anche una metafora di un centrosinistra che non riesce a perdere la propria vocazione al suicidio politico. Per rompere con quell’immagine, Renzi dice in modo esplicito di voler utilizzare soprattutto la clava dell’economia per offrire ai suoi elettori un modo diverso di intendere la cultura politica del paese. Ed è proprio questo il cuore politico della rupture del sindaco di Firenze. L’economia, dunque. Renzi, che dal punto di vista del metodo assicura di non voler fare a meno dello stile di governo adottato da Mario Monti, nel suo discorso sceglie di affrontare il tema della crisi adottando un’impostazione schumpeteriana. La crisi, dice il sindaco, è una grande opportunità per rimetterci in gioco e ricreare le fondamenta dello stato, ed è partendo da questa premessa che Renzi spiega in che modo proverà a dimostrare che il Pd può essere allo stesso tempo il partito degli imprenditori e il partito della “generazione perduta”. Con un paio di mosse: abbassando le tasse sul lavoro, destinando i ricavati della lotta all’evasione alla diminuzione della pressione fiscale, rivoluzionando i criteri della politica dei sussidi, sbloccando 250 miliardi di crediti per le aziende, rivedendo i criteri di assegnazione dei fondi europei e promettendo di non alzare le tasse e di non proporre un’ennesima e iniqua patrimoniale. Renzi, che all’interno del suo programma assicura di non voler toccare la riforma delle pensioni e di voler modificare al massimo la riforma del lavoro migliorandola sul profilo della flexsecurity, dice insomma tra le righe che l’unico modo per andare oltre il Palazzaccio è rompere con l’impostazione socialdemocratica di Bersani e costruire un centrosinistra senza trattino che abbia il coraggio di mettere da parte le sue tentazioni suicide e “catenacciare”, e che sappia dotarsi di un modello culturale che oltre a vincere le elezioni poi gli consenta anche di governare. “Noi – dirà Renzi alla fine del discorso, discorso iniziato in modo un po’ macchinoso anche per via di un guasto al gobbo che ha spiazzato il sindaco – ci candidiamo per dire cosa immaginiamo noi per i prossimi 25 anni. Siamo qui per raccontare che i 25 anni che ci aspettano non serviranno solo per cambiare la classe dirigente: noi non vogliamo solo cambiare la classe dirigente ma cambiare il futuro dei nostri figli”.

    I figli, già. E’ qui che Renzi proverà a costruire l’altro pezzo della sua campagna elettorale ed è qui che Renzi proverà ad aprire un altro capitolo della sua rottamazione. Fino a oggi il sindaco si è infatti limitato a spiegare la ragione per cui tutta la vecchia classe politica del centrosinistra merita di essere mandata a casa. Da domani in poi, però, ci sarà un altro tema che Renzi utilizzerà per sparigliare e allargare il proprio bacino. Ieri lo ha soltanto accennato, ma l’impressione è che l’altro tabù con cui il sindaco vorrà fare i conti è legato al tentativo di andare contro la “meglio gioventù del ’68”, e i ragazzi dello staff di Renzi ammettono che uno dei profili scelti dal sindaco per impostare questa parte di campagna elettorale sarà proprio quello di spiegare perché la sinistra non può più rimanere “ostaggio della cultura del ’68”. Piccoli dettagli, forse, ma sta di fatto che parte della campagna elettorale del sindaco di Firenze da domani ricomincia anche da qui.

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    • Claudio Cerasa Direttore
    • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.