Se il film non va a Maometto

Daniele Raineri

L’ondata di violenze contro il film su Maometto (ma esiste?) è il primo grande test per l’islam al governo nei paesi delle rivoluzioni arabe. Com’è andata? Martedì i Fratelli musulmani al Cairo si sono fatti sorprendere dalla manifestazione degli estremisti salafiti. Per le prime trenta ore della crisi non hanno condannato l’assedio all’ambasciata americana nel centro della capitale e anzi hanno rilanciato con una protesta “davanti a tutte le moschee del paese dopo la preghiera del venerdì”. I Fratelli musulmani sono i più organizzati e temibili quando c’è da lanciare questo tipo di azioni.

    L’ondata di violenze contro il film su Maometto (ma esiste?) è il primo grande test per l’islam al governo nei paesi delle rivoluzioni arabe. Com’è andata? Martedì i Fratelli musulmani al Cairo si sono fatti sorprendere dalla manifestazione degli estremisti salafiti. Per le prime trenta ore della crisi non hanno condannato l’assedio all’ambasciata americana nel centro della capitale e anzi hanno rilanciato con una protesta “davanti a tutte le moschee del paese dopo la preghiera del venerdì”. I Fratelli musulmani sono i più organizzati e temibili quando c’è da lanciare questo tipo di azioni. Poi il presidente Morsi ha ricevuto una telefonata furente dal presidente Obama, che tiene i cordoni di una borsa da 1,3 miliardi di dollari di aiuti da parte dei contribuenti americani ogni anno, ed è entrato in gioco il pragmatismo opaco dei Fratelli. Hanno annullato la protesta; il loro leader e finanziatore, Khaitar al Shater, che oggi dovrebbe essere al posto di Morsi se non fosse stato eliminato dalla gara elettorale, ha scritto una lettera di condoglianze al popolo americano pubblicata sul New York Times. Morsi, in visita a Roma per raccogliere altri soldi, ha condannato ufficialmente le violenze antiamericane. E’ lo stesso pragmatismo opaco che mette la questione del prestito da ottenere dal Fondo monetario internazionale in cima alla lista delle priorità dei Fratelli e tutto il resto molto dopo. Non possono permettere che un raptus di rabbia islamista metta a repentaglio il piano di aiuti all’economia nazionale. Per questo la prima nota del governo assicurava di essere perfettamente in grado di proteggere “interessi stranieri e turisti”.

    Nella strada che porta all’ambasciata si è tornati indietro di almeno un anno, se non ai tempi di Hosni Mubarak: i mezzi militari hanno eretto un muraglione di blocchi di pietra per impedire alle proteste di arrivare di nuovo sotto le mura americane. E’ identico a quello alzato lo scorso novembre vicino al ministero dell’Interno, quando al potere c’erano ancora i generali. La polizia egiziana ha usato senza pietà pallini da caccia, lacrimogeni e manganelli – insomma, il solito repertorio – contro i manifestanti.

    A proposito di manifestanti. Il primo giorno erano circa duemila estremisti salafiti – su una popolazione cairota che al massimo giornaliero (perché varia nel corso della giornata) supera i 15 milioni di persone. I salafiti sono spaventosi nella loro arretratezza e sono aggressivi, ma se c’è stato un risultato politico nel dopo Mubarak riguarda proprio loro. Fino all’anno scorso i salafiti consideravano la democrazia un’eresia, roba da politeisti. Ora hanno cambiato idea e accettano il sistema partitico e parlamentare perché sono convinti che i benefici di poter dire la loro nel nuovo governo egiziano contino più del tradimento dei loro princìpi e soprattutto perché non vogliono lasciare campo libero ai rivali, i Fratelli musulmani e i partiti laici. Dopo la prima sera, i salafiti sono svaniti dagli scontri e hanno fatto una comparsata venerdì a piazza Tahrir. A lanciare pietre è rimasta quella miscela di tifosi e giovani disoccupati a cui non pare vero di menare le mani. Secondo i corrispondenti stranieri, in certi momenti non erano più di venti a tirare avanti la sassaiola. Il primo ministro egiziano, Hisham Qandil, ora dice alla Bbc che alcuni dei settanta arrestati sono stati arruolati sul posto e pagati per partecipare agli scontri con 50 sterline egiziane a testa. (Piuttosto, è la politica lassista del governo in Sinai a rischiare di diventare la prossima emergenza).

    Anche in Tunisia l’islam al governo è in lotta schizofrenica con gli estremisti. Non è riuscito a proteggere l’ambasciata americana, anche se la polizia non è andata per il sottile e ha fatto tre morti. Non intende rinunciare all’identità islamica, ma dà la caccia ai predicatori che hanno scatenato le proteste – che però non sono riusciti a prendere. E’ una grande battaglia politica. Rachid Ghannouchi, il leader del partito islamista di governo, Ennahda, sostiene che “con il tempo, questo estremismo svanirà”. Intanto il tema della blasfemia, se punibile o no, occupa quasi tutto il dibattito sulla nuova Costituzione, attesa per il mese prossimo. C’è una proposta per rendere fuorilegge ogni offesa all’islam. Il presidente, Moncef Marzouki, è schierato con nettezza contro. Ghannouchi e i suoi sono a favore. In questa transizione, gli scossoni arrivano fin dove era impensabile: alla Mecca la massima autorità religiosa saudita, il gran muftì Sheikh Abdulaziz bin Abdullah al Sheikh, dice che le proteste sono state “non islamiche”. Ecco, bene. Peccato lo abbia detto il giorno dopo.

    • Daniele Raineri
    • Di Genova. Nella redazione del Foglio mi occupo soprattutto delle notizie dall'estero. Sono stato corrispondente dal Cairo e da New York. Ho lavorato in Iraq, Siria e altri paesi. Ho studiato arabo in Yemen. Sono stato giornalista embedded con i soldati americani, con l'esercito iracheno, con i paracadutisti italiani e con i ribelli siriani durante la rivoluzione. Segui la pagina Facebook (https://www.facebook.com/news.danieleraineri/)