Quante lagne nel team Romney, ma c'è un jolly per i dibattiti

Paola Peduzzi

Mitt Romney è inseguito dal fuoco amico: deve sempre convincere i suoi stessi compagni di partito, i repubblicani, di essere all'altezza del compito. Ognuno ha il consiglio giusto che Romney non vuole ascoltare, ognuno ha il segreto per la vittoria che Romney non sa vedere. Da ieri, c'è anche l'uomo nero cui Romney si è affidato ciecamente nella sua corsa alla Casa Bianca. Mike Allen e Jim VandeHei hanno firmato uno scoop su Politico raccogliendo le lamentele, anonime, sul capo della strategia elettorale di Romney, Stuart Stevens.

    Milano. Mitt Romney è inseguito dal fuoco amico: deve sempre convincere i suoi stessi compagni di partito, i repubblicani, di essere all’altezza del compito. Ognuno ha il consiglio giusto che Romney non vuole ascoltare, ognuno ha il segreto per la vittoria che Romney non sa vedere. Da ieri, c’è anche l’uomo nero cui Romney si è affidato ciecamente nella sua corsa alla Casa Bianca. Mike Allen e Jim VandeHei hanno firmato uno scoop su Politico raccogliendo le lamentele, anonime, sul capo della strategia elettorale di Romney, Stuart Stevens. Tutti sanno perché Barack Obama dovrebbe essere spodestato, ma nessuno sa perché Romney dovrebbe essere eletto al suo posto. Stevens è bravo a denigrare, ma non a costruire, dicono i lamentosi, e non è ancora riuscito a confezionare per il suo candidato un evento – un discorso – memorabile.

    Politico ripercorre la genesi del discorso del candidato alla convention di Tampa, discorso di cui nessuno ricorda nulla se non per il fatto che Romney non ha ringraziato le truppe americane che difendono la libertà in giro per il mondo; discorso di cui nessuno ricorda nulla anche perché i titoli, quella sera, se li era conquistati la sedia vuota di Clint Eastwood (altro errore di Stevens, che ha permesso all’attore di lavorare al suo intervento senza consultazioni: persino Bill Clinton ha scambiato due parole con Obama per redigere il suo discorso alla convention democratica). Stevens aveva dato mandato di scrivere quel discorso a Peter Wehner, un veterano tra i repubblicani molto abile con le parole, ma poi l’ha cestinato (lì c’era il riferimento alle truppe e all’Afghanistan). Poi Stevens ha cercato altri due parolieri repubblicani, John McConnell e Matthew Scully, che stavano già preparando il discorso del vice di Romney, Paul Ryan: anche questa seconda bozza è stata cestinata. Il discorso di accettazione, a Tampa, è stato scritto da Romney e Stevens, con esiti non brillanti. Quanto basta per scatenare le voci sullo strapotere di Stevens, che in effetti – come ha raccontato Noam Scheiber su New Republic – aveva ottenuto il ruolo di boss dando un ultimatum a Romney: o faccio il capo della strategia, o non vengo nemmeno. E il candidato repubblicano è uno – dicono – che non cambia piano in corsa, difende i suoi uomini anche quando sono indifendibili.

    Il risultato di questo chiacchiericcio malevolo è chiaro: Romney non è nemmeno riuscito a far funzionare il suo team, può far funzionare un paese? Stevens si fa intervistare per dire che le cose vanno alla grande, ma i commentatori dicono che il messaggio di Romney è stato cambiato, a dimostrazione che qualcosa davvero non andava bene: il New York Times spiega che ci si concentrerà più sull’“assumere Romney” che sul “licenziare Obama”, che è proprio quello che molti conservatori volevano. E mentre i sondaggi danno segnali positivi per i repubblicani (in Ohio il vantaggio di Obama s’è ridotto a un punto percentuale, secondo Rasmussen) molte delle speranze sono riposte nei dibattiti: s’inizia il 3 ottobre, all’Università di Denver. In un lungo e argomentato articolo, James Fallows dell’Atlantic ha raccontato che Romney funziona bene nei dibattiti, ha la risposta pronta, conosce bene i fatti, si sente più a suo agio rispetto ai palcoscenici in cui deve trovare parole a effetto per sembrare meno legnoso di quello che è. I democratici mettono già le mani avanti: Romney ha molto più tempo per prepararsi, non fa mica il presidente degli Stati Uniti, lui. E tanto per non abbassare la guardia, suggeriscono di andare a vedere il sito della campagna repubblicana: i gadget da convention, dalle magliette ai magneti da frigo, sono in saldo del 20 per cento. Come a dire: per vendere il prodotto Romney, dovrete trovare una confezione più bella.

    • Paola Peduzzi
    • Scrive di politica estera, in particolare di politica europea, inglese e americana. Tiene sul Foglio una rubrica, “Cosmopolitics”, che è un esperimento: raccontare la geopolitica come se fosse una storia d'amore - corteggiamenti e separazioni, confessioni e segreti, guerra e pace. Di recente la storia d'amore di cui si è occupata con cadenza settimanale è quella con l'Europa, con la newsletter e la rubrica “EuPorn – Il lato sexy dell'Europa”. Sposata, ha due figli, Anita e Ferrante. @paolapeduzzi