Manovre e malizie

Non sarà Napolitano a nominare il successore di Monti a Palazzo Chigi

Salvatore Merlo

Suona come un avvertimento a Pier Luigi Bersani, un modo per fargli sapere che la riforma elettorale lui la deve fare. La voce gira nei corridoi del Palazzo da qualche giorno, ma adesso è confermata da due uomini che con il Quirinale hanno una certa consuetudine, niente di meno che Eugenio Scalfari e Gianni Letta. Ecco la voce: Giorgio Napolitano non vuole più anticipare le elezioni, e dunque non sarà lui il capo dello stato che nominerà il prossimo presidente del Consiglio.

    Roma. Suona come un avvertimento a Pier Luigi Bersani, un modo per fargli sapere che la riforma elettorale lui la deve fare. La voce gira nei corridoi del Palazzo da qualche giorno, ma adesso è confermata da due uomini che con il Quirinale hanno una certa consuetudine, niente di meno che Eugenio Scalfari e Gianni Letta. Ecco la voce: Giorgio Napolitano non vuole più anticipare le elezioni, e dunque non sarà lui il capo dello stato che nominerà il prossimo presidente del Consiglio. Il fondatore di Repubblica lo ha detto con estrema chiarezza lunedì sera, da Lilli Gruber a La7, facendo capire di aver parlato proprio con il presidente: “Napolitano non vuole anticipare le elezioni, quell’ipotesi è esclusa. Napolitano ha esplicitamente detto che le elezioni si fanno nel momento in cui scade la legislatura”. Ne consegue che, come ha spiegato anche Paolo Mieli, ospite pure lui di Lilli Gruber assieme a Scalfari: “Non sarà Napolitano a governare quello che succederà dopo le elezioni”. Sarà dunque il nuovo presidente della Repubblica a indicare il nuovo premier. E’ esattamente quanto anche Gianni Letta ha riferito a Silvio Berlusconi, ed è infatti quanto si mormora in queste ore ai vertici del Pdl. Da quelle parti circola una data che il Quirinale avrebbe già indicato per le prossime elezioni: il 7 aprile. Dunque Napolitano fa indirettamente sapere di inclinare per un corso di azioni che, come vedremo, un po’ mette in difficoltà la linea del segretario del Pd Pier Luigi Bersani. Abbastanza da far ritenere non improbabile che le rivelazioni di Scalfari servano al Quirinale per fare pressione indiretta sul Pd.

    Il capo dello stato rinuncia – così pare – a un’idea che pure aveva a lungo vagheggiato: restare al Quirinale fino all’ultimo momento utile (il suo mandato scade il 15 maggio 2013, ma le votazioni per il presidente della Repubblica cominceranno il 15 aprile), anticipando un po’ anche la data delle elezioni per favorire così la riconferma di Mario Monti a Palazzo Chigi. “Questa è la decisione più logica e in linea con i precedenti e la prassi istituzionale”, conferma Stefano Ceccanti, costituzionalista, senatore del Partito democratico, e uomo politico non estraneo agli ambienti quirinalizi. Napolitano si comporterà dunque come Francesco Cossiga e Carlo Azeglio Ciampi, i due ex presidenti che, nel 1992 e nel 2006, decisero di superare l’ingorgo istituzionale che derivava dalla coincidenza di date tra lo scioglimento delle Camere e l’approssimarsi della fine del mandato presidenziale, lasciando al proprio successore (Scalfaro nel 1992 e Napolitano nel 2006) l’incarico di nominare il nuovo governo.

    La maggioranza Pdl-Udc
    Ma nel Palazzo circola pure una versione maliziosa e dietrologica delle reali intenzioni del capo dello stato (che difficilmente confermerà o smentirà le indiscrezioni). Secondo i maliziosi, il mezzo annuncio di Napolitano consegnato alla voce di Scalfari e ai sussurri di Letta, servirebbe a fare pressione su Pier Luigi Bersani. Il Quirinale non sarebbe affatto contento del modo in cui il Pd sta gestendo la trattativa sulla riforma della legge elettorale, e pur di costringere il restio Bersani a venire a patti con gli altri partiti (che premono per un sistema proporzionale con un premio di maggioranza non stellare) avrebbe deciso di far sapere che la legislatura “durerà” abbastanza a lungo da permettere anche a una maggioranza spuria (senza il Pd) di approvare in Aula la nuova legge che cancella il porcellum. “Il messaggio è duplice”, spiega uno dei deputati dell’Udc più vicini a Pier Ferdinando Casini: “Non sono solo le tre settimane in più di legislatura. Il sottotesto riguarda i meccanismi politici di elezione del prossimo presidente della Repubblica. La conseguenza di quello che dice Scalfari è che Bersani rischia di dover gestire tra mille problemi la formazione della maggioranza e l’elezione del capo dello stato. Quasi contemporaneamente. Un problema, per lui”.

    D’altra parte questa interpretazione di Palazzo è confortata dalle mosse dei partiti in queste ore. Si è infatti messo in moto un meccanismo che punta a circondare il Pd sulla riforma elettorale, pur nell’indecisione con la quale si muovono gli ambasciatori sempre incerti sulle reali intenzioni dei rispettivi leader (Berlusconi in realtà cosa vuole?). L’Udc e il Pdl dialogano molto: premio di maggioranza minimo e preferenze. La minaccia al Pd è chiara. Se si va in Aula senza un accordo, la riforma è comunque fatta con i voti di Pdl e Udc.

    • Salvatore Merlo
    • Milano 1982, vicedirettore del Foglio. Cresciuto a Catania, liceo classico “Galileo” a Firenze, tre lauree a Siena e una parentesi universitaria in Inghilterra. Ho vinto alcuni dei principali premi giornalistici italiani, tra cui il Premiolino (2023) e il premio Biagio Agnes (2024) per la carta stampata. Giornalista parlamentare, responsabile del servizio politico e del sito web, lavoro al Foglio dal 2007. Ho scritto per Mondadori "Fummo giovani soltanto allora", la vita spericolata del giovane Indro Montanelli.