A vincere è la sinistra pragmatica e del rigore

Matteo Matzuzzi

Fino a poche settimane prima del voto del 12 settembre che ha premiato i liberali del premier uscente Mark Rutte e i laburisti dell’astro nascente della politica olandese Diederik Samsom, tutti i sondaggi concordavano: dopo decenni di oblio e di marginalizzazione, a trionfare sarebbero stati finalmente i socialisti di Emile Roemer, brillante ex insegnante prestato alla politica e dal 2010 leader del partito che ha scelto come proprio simbolo un pomodoro.

    Roma. Fino a poche settimane prima del voto del 12 settembre che ha premiato i liberali del premier uscente Mark Rutte e i laburisti dell’astro nascente della politica olandese Diederik Samsom, tutti i sondaggi concordavano: dopo decenni di oblio e di marginalizzazione, a trionfare sarebbero stati finalmente i socialisti di Emile Roemer, brillante ex insegnante prestato alla politica e dal 2010 leader del partito che ha scelto come proprio simbolo un pomodoro. Fondato nel 1972, il Partito socialista era sempre stato escluso dai giochi per formare i governi dell’Aia: troppo forti i suoi richiami orgogliosi al maoismo e alle dottrine di Lenin e Marx, troppo marcato il suo essere costantemente antisistema. Poi, caduto il Muro di Berlino, la prima svolta: via i riferimenti a Mosca e Pechino, spazio ai temi della solidarietà, dell’ecologia e dei diritti umani. Ma è con l’avvento di Roemer che il partito si impone sulla scena: il nuovo leader capisce che l’avversario da battere non è lo storico asse centrista formato da liberali, cristiano-democratici e laburisti che ha sempre dominato la politica olandese, bensì la destra estrema di Geert Wilders, drenandone il consenso e raccogliendo quel voto di protesta che nel 2010 aveva garantito al Partito della libertà il 15,5 per cento dei consensi.

    Roemer punta sull’euroscetticismo, contesta le decisioni prese a Bruxelles che incidono troppo sulla vita dei “nostri connazionali”, promette “che non un solo euro in più di quanto già versato” per salvare i paesi dell’Eurozona vicini al fallimento uscirà dalle casse olandesi. “Dovranno passare sul mio cadavere”, tuonava negli affollatissimi comizi nelle città e nei villaggi del paese.
    Paragonato per i modi di fare e per i toni usati in campagna elettorale al greco Alexis Tsipras – leader della coalizione di estrema sinistra Syriza cresciuta notevolmente alle ultime due tornate elettorali per il rinnovo del Parlamento ellenico – il populismo di Roemer è però “più sofisticato”, come lo ha definito recentemente l’Economist. Il leader socialista, infatti, ha sempre assicurato di non essere contro l’Europa, “ma solo contro certe sue politiche”, e di non aver mai pensato di abbandonare la moneta comune. Ciò che ha fatto presa sull’elettorato – fino quasi al termine della campagna – è stato il mantra che andava ripetendo nelle piazze e nei teatri delle province olandesi: “Non ce l’abbiamo contro Bruxelles, ma siamo contrari a parametri fiscali troppo rigidi che ci impongono tagli nel nostro bilancio per finanziare i piani di salvataggio di altri paesi”. Sembrava lanciato verso il trionfo, i sondaggi gli davano quasi 40 seggi sui 150 della Camera dell’Aia. Ma nelle ultime due settimane, tutto è cambiato. A svuotare il forziere socialista c’ha pensato il quarantaduenne Diederik Samsom, l’uomo che ha rivitalizzato un Partito laburista da tempo in declino dopo aver governato (con i liberali) nella seconda metà degli anni Novanta. Roemer aveva capito le potenzialità del rivale, e nei mesi della campagna elettorale aveva lavorato per relegare nell’anonimato politico i laburisti, colpevoli di “difendere i banchieri, responsabili di questa crisi”.

    Lasciata da parte l’ideologia che aveva incluso negli anni 60 il Labour nella cosiddetta “Nuova sinistra”, Samsom ha preferito tornare alla “Doorbraak”, il desiderio di costruire un nuovo sistema politico, che nel 1946 ispirò la nascita del Partito laburista. Giovane fisico nucleare ed ex attivista di Greenpeace, vincitore di svariati quiz televisivi locali e amante della politica americana, ha vinto – a sorpresa – ogni dibattito televisivo cui ha partecipato. Perfino il premier Mark Rutte, considerato un asso nei confronti politici, è stato messo in grave difficoltà da quello che sarà con ogni probabilità il suo nuovo partner al governo.
    Al populismo euroscettico e ai bagni di folla in piazza di Roemer, il leader laburista ha preferito una linea pragmatica e moderata, decidendo di “informare in modo onesto gli elettori sulle scelte difficili cui andranno incontro”. Niente promesse di miracoli economici né difese di stampo nazionalista, bensì più integrazione europea e solidarietà con i partner in difficoltà – a patto che questi rispettino gli accordi sottoscritti a Bruxelles. E l’elettorato che in passato aveva premiato Pim Fortuyn e Geert Wilders, che nel 2005 aveva bocciato la Costituzione europea e che sembrava prossimo a concedere il trionfo ai socialisti ex maoisti antagonisti del rigorismo nordico, ha scelto il pragmatismo, la garanzia di un governo stabile e la certezza che non ci saranno salti nel buio nel bel mezzo della più grave crisi economica del Dopoguerra.

    • Matteo Matzuzzi
    • Friulsardo, è nato nel 1986. Laureato in politica internazionale e diplomazia a Padova con tesi su turchi e americani, è stato arbitro di calcio. Al Foglio dal 2011, si occupa di Chiesa, Papi, religioni e libri. Scrittore prediletto: Joseph Roth (ma va bene qualunque cosa relativa alla finis Austriae). È caporedattore dal 2020.