Da Mediobanca a Mps. Da Arpe a Della Valle. Da Bazoli a Guzzetti

Renzi e Bersani tra i poteri che contano

Claudio Cerasa

La domanda da cui nasce questo articolo è semplice, e potremmo riassumerla così: ma il candidato che piace alla gente che piace, piace anche alla gente che conta? Ovvero: ma quel Matteo Renzi lì che piace ai giornali raffinati, agli economisti eleganti, agli scrittori impegnati e che a poco a poco comincia ad avere consensi anche nei così detti salotti buoni è riuscito oppure no ad attirare e a sedurre gli storici volti dell’establishment storicamente più vicini al mondo centrosinistra? Abbiamo indagato per alcuni giorni su questo tema e alla fine della nostra piccola inchiesta la risposta è un mezzo “sì”.

    Roma. La domanda da cui nasce questo articolo è semplice, e potremmo riassumerla così: ma il candidato che piace alla gente che piace, piace anche alla gente che conta? Ovvero: ma quel Matteo Renzi lì che piace ai giornali raffinati, agli economisti eleganti, agli scrittori impegnati e che a poco a poco comincia ad avere consensi anche nei così detti salotti buoni è riuscito oppure no ad attirare e a sedurre gli storici volti dell’establishment storicamente più vicini al mondo centrosinistra? Abbiamo indagato per alcuni giorni su questo tema e alla fine della nostra piccola inchiesta la risposta è un mezzo “sì”. Diciamo “mezzo sì” perché in realtà, nel vecchio universo della finanza rossa, non ci sono ancora certezze e al momento la tendenza dei più è quella di annusare l’aria per poi scegliere magari all’ultimo quale candidato sponsorizzare e quale potenziale premiership sostenere. La prudenza è molta, dunque, e in questa fase ancora liquida d’altronde non potrebbe essere altrimenti. Ma nonostante ciò alcune verità cominciano a venire a galla. La prima è questa, e riguarda gli ambienti della finanza milanese. Renzi, si sa, ha scelto di mettere al centro della sua rincorsa elettorale l’idea di andare a conquistare e a rappresentare il mondo dei piccoli imprenditori “che fanno andare avanti il paese” e finora non ha mostrato molta dimestichezza con i pezzi grossi dell’establishment (il dossier, comunque, è affidato a uno dei bracci operativi della macchina renziana: Marco Carrai, amministratore delegato di Firenze Parcheggi e da poco membro del board dell’Ente cassa di risparmio di Firenze, fondazione azionista di Intesa Sanpaolo con il 3,3 per cento). Eppure, dopo il discorso di Verona, in questo universo il sindaco ha visto improvvisamente aumentare le sue quotazioni e si è ritrovato a fare i conti con una serie di inaspettate dichiarazioni di interesse di alcuni volti importanti della finanza lombarda; e nello specifico Renzi negli ultimi giorni ha ricevuto alcuni attestati di stima, diretti o indiretti, da parte di Matteo Arpe (numero uno di Sator), Alberto Nagel (amministratore delegato di Mediobanca) e Renato Pagliaro (presidente di Mediobanca).

    L’interesse discreto di Nagel, Arpe e Pagliaro – con i quali ha un rapporto diretto un altro volto in ascesa dell’universo renziano, Davide Serra, capo del fondo di investimento Algebris (fondo che in Italia ha partecipazioni importanti in Intesa, Unicredit e Generali) – nasce soprattutto per ragioni legate ai contenuti della piattaforma liberale proposta da Renzi a Verona, e da questo punto di vista si può dire che i manager condividono l’analisi fatta domenica scorsa sulla Stampa dal professor Luca Ricolfi (“Con Renzi la posta in gioco non è conquistare o mantenere una piccola voce in capitolo nelle scelte del partito, ma di spostare il Pd su posizioni di sinistra liberale”). D’altra parte l’interesse di un pezzo significativo della finanza non solo milanese per il sindaco trentasettenne nasce anche per ragioni differenti e in particolare per una certa sensibilità dei Nagel, degli Arpe e dei Pagliaro (e non solo loro naturalmente) per il tema “rottamare le vecchie classi dirigenti”. Nagel, Pagliaro e Arpe – che per una ragione o per un’altra, nel recente passato, hanno provato a rottamare i capi più anziani nelle proprie rispettive aziende, e a qualcuno è andata anche bene – vedono infatti in Renzi un buon “detonatore”, un candidato utile non solo a rinnovare il paese ma a innescare in futuro, anche in mondi lontani dalla politica, un processo virtuoso di ricambio generazionale. “Nell’establishment di sinistra – ci spiega un importante uomo della finanza milanese con buone entrature nel Pd – si sta andando a consolidare un ragionamento preciso riguardo a Renzi e oggi la verità è che chi sogna di non interrompere l’emozione del montismo si sta interessando al sindaco di Firenze almeno per due ragioni”.

    “La prima ragione – continua la nostra fonte – è ovvia: in caso di vittoria di Renzi le possibilità che l’agenda Monti venga rispettata anche dopo Monti sono oggettivamente maggiori rispetto all’ipotesi di una vittoria di Bersani. La seconda ragione è invece più contorta ma ugualmente elementare: chi tifa per il montismo sa che in caso di vittoria di Bersani un’affermazione importante di Renzi contribuirebbe a indebolire il segretario del Pd e di fatto consentirebbe al partito del ‘Monti dopo Monti’ di avere qualche speranza in più di affermarsi subito dopo le elezioni”.
    Come sarà facile intuire, all’eccitazione dei “rottamatori della finanza” corrisponde quasi di riflesso un sentimento uguale e contrario di diffidenza di alcuni mostri sacri dell’establishment lombardo. E così, per esempio, sia Giovanni Bazoli, numero uno di Intesa Sanpaolo, sia Giuseppe Guzzetti, capo della Fondazione Cariplo, entrambi pilastri della vecchia finanza bianca, recentemente, seppur in privato, non hanno risparmiato critiche al sindaco di Firenze ed elogi (che in questo caso corrispondono a qualcosa in più di un pre-endorsement) a Pier Luigi Bersani (Bazoli) e a Pier Ferdinando Casini (Guzzetti).

    Spostandoci da Milano, poi, e restando nel mondo della finanza, diffidenze sostanziali nei confronti di Renzi sono state registrate anche in zona Monte dei Paschi e in zona Della Valle. Alessandro Profumo, amministratore delegato di Mps, insieme con la moglie (Sabina Ratti) è da tempo sostenitore di Rosy Bindi (che con Matteo Renzi, diciamo, ha un rapporto dialettico) e nonostante alcuni contatti avuti anche recentemente con Carrai al momento, pur non essendo un fan di Bersani, non ha intenzione di sostenere il sindaco di Firenze. Quanto a Della Valle, invece, il discorso è più articolato. Con Diego, proprietario delle Tod’s e tra le altre cose azionista di Rcs, il sindaco condivide l’amore per il calcio, il tifo per la Fiorentina (famosa, ormai, la foto di Renzi e Della Valle esultanti uno accanto all’altro allo stadio Artemio Franchi alla prima di campionato) e la passione per la pratica del rottamare i vecchi e rincitrulliti arnesi della classe dirigente italiana. Dunque, apparentemente, si potrebbe almanaccare eccome sulla liaison tra lo Scarparo e il Rottamatore; ma le cose sono più complicate di quanto sembra e i rapporti tra i due in realtà non sono particolarmente buoni: cordiali, sì, amichevoli (il fratello di Diego, Andrea, due giorni fa ha persino detto che “Renzi ha grandi qualità e potrebbe essere la sorpresa del prossimo anno”), ma in verità Della Valle non ha ancora digerito del tutto “lo sgarbo” che il comune gli avrebbe fatto due anni fa quando il sindaco, secondo la versione di mister Tod’s, “si sarebbe comportato male ostacolando il rinnovo per la convenzione di affitto dello stadio della Fiorentina”, e dunque per ricucire lo strappo ancora un po’ di tempo ci vorrà (Renzi e compagnia ci stanno comunque lavorando).

    Così, per varie ragioni, accanto a piccole e significative manifestazioni di interesse per Renzi (oltre a Pagliaro, Arpe e Nagel, il sindaco ha incuriosito anche i vertici dell’Eni e di Telecom, che, a quanto risulta al Foglio, nutrono simpatia nei confronti del sindaco di Firenze) bisogna registrare verso il Rottamatore diverse e pesanti bocciature. Bazoli, Profumo ma non solo. Perché, a guardar bene, anche in Confindustria, per dire, il sindaco di Firenze viene osservato con diffidenza e scetticismo: e dunque non può sorprendere se nelle stanze che contano di Viale dell’Astronomia si sostiene che “in una fase drammatica come quella in cui si troverà l’Italia nel 2013 immaginarsi un giovane inesperto come Renzi a contrattare il futuro del nostro paese con i giganti dell’Europa francamente fa un po’ impressione, per non dire paura”.

    Sentite cosa dice Bazoli jr.
    La situazione, come si vede, è liquida e sfuggente, e ancora oggi risulta difficile registrare e inquadrare in modo preciso lo spostamento dell’establishment verso questo o quel candidato. E allora, in questo piccolo marasma, chissà che per fotografare al meglio l’incertezza che regna nelle classi dirigenti di fronte allo scenario della sfida Renzi-Bersani non siano utili le parole di un esponente del Pd piuttosto particolare che vive e lavora in una delle terre chiave dell’intreccio tra sinistra, politica e finanza. La città, naturalmente, è quella di Brescia, e l’esponente del Pd in questione è stato uno dei fondatori dell’Ulivo in città e oggi è consigliere municipale del Pd e vicepresidente della commissione Economia e commercio in comune. Il suo nome è Alfredo Bazoli, ha 44 anni, è stato presidente della direzione provinciale del Pd di Brescia e, tra le altre cose, è nipote di Giovanni Bazoli, numero uno di Intesa Sanpaolo. Sentite cosa dice: “Qui a Brescia – racconta Bazoli jr. al Foglio – sia nel mondo politico sia nel mondo extrapolitico c’è grande attenzione e cautela rispetto alle primarie. Tutti sono alla finestra a studiare i percorsi e i progetti e tutti sanno che Renzi e Bersani rappresentano due alternative vere per guidare il Pd e magari un domani il paese. Il paradosso della sfida, a mio avviso, è che Bersani, dal punto di vista dell’unità del partito, è forse la persona giusta per guidare il centrosinistra mentre Renzi forse è la persona giusta con cui vincere le elezioni, pur avendo meno possibilità di Bersani di vincere le primarie. Detto questo confesso che, personalmente, il discorso di Renzi a Verona mi ha molto affascinato. Mi sono riconosciuto in quelle parole e in quei riferimenti espliciti alla rivoluzione blairiana e non escludo che, anche per questo, alla fine alle primarie potrei scegliere di votare proprio per il sindaco di Firenze”.

    • Claudio Cerasa Direttore
    • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.