I motori anti renziani

Cosa nasconde la mossa “rouge” di Bersani contro i signori del papello

Claudio Cerasa

Ieri mattina Pier Luigi Bersani ha presentato i primi tre volti che andranno a comporre il motore della macchina con cui il segretario del Pd proverà a resistere nei prossimi mesi all’irresistibile rincorsa del sindaco di Firenze Matteo Renzi, e nel mostrare ai cronisti i volti dei tre ragazzi che guideranno in vista delle primarie il “comitato per Bersani” il leader del Pd ha provato a offrire fuori e dentro al partito un messaggio politico molto chiaro. Anzi, un doppio messaggio.

    Roma. Ieri mattina Pier Luigi Bersani ha presentato i primi tre volti che andranno a comporre il motore della macchina con cui il segretario del Pd proverà a resistere nei prossimi mesi all’irresistibile rincorsa del sindaco di Firenze Matteo Renzi, e nel mostrare ai cronisti i volti dei tre ragazzi che guideranno in vista delle primarie il “comitato per Bersani” il leader del Pd ha provato a offrire fuori e dentro al partito un messaggio politico molto chiaro. Anzi, un doppio messaggio. Bersani – che ha scelto come portavoce della campagna la vicesindaco di Vicenza Alessandra Moretti (39 anni, in quota nord), come responsabile dei rapporti con i movimenti il consigliere municipale romano Tommaso Giuntella (28 anni, in quota centro) e come capo organizzazione Roberto Speranza (33 anni, segretario Pd della Basilicata, in quota sud) – ha tenuto segreti i nomi fino a mercoledì pomeriggio e, pur avendo selezionato nella squadra una serie di ragazzi la cui storia politica riflette un preciso tratto culturale del Pd che sfiderà Renzi alle primarie, ha voluto dare una toccatina di polso alla vecchia (e nuova) nomenclatura del Pd.

    Sintesi del messaggio del segretario: “Nella mia campagna ascolterò tutti e non farò a meno di rappresentare il punto di vista di chi mi sosterrà, ma quando ci sarà da decidere a chi affidare un qualsiasi tipo di incarico non mi farò condizionare da nessuna corrente e da nessuna nomenclatura e andrò per la mia strada fregandomene delle indicazioni dei dinosauri del Pd”. Questo dunque per quanto riguarda il metodo, e la scelta di non aver consultato nessuno dei capibastone può essere letta come una spia della volontà di Bersani di combattere la “sindrome del papello” (ovvero: accordone tra i big del Pd per spartirsi i posti del prossimo governo). Dall’altra parte, però, le storie che si nascondono dietro i nomi scelti da Bersani per raffigurare in modo plastico l’immagine del suo Pd tradiscono una scelta fatta dal segretario sul futuro orientamento del partito. Una scelta che, per capirci, regala al Pd una tinta sempre più simile a quella scelta due settimane fa per colorare il palco di Reggio Emilia da cui è partita la campagna elettorale del segretario: il rosso fuoco, naturalmente.

    Nonostante le sfumature e tutti i piccoli distinguo del caso, infatti, i nomi di Speranza, Giuntella e Moretti fanno parte di una tradizione in cui faticano a riconoscersi molti di quei democratici che sognano un Pd lontano dall’orbita delle socialdemocrazie europee. Speranza, Giuntella e Moretti sono tutti ragazzi che hanno un’esperienza nei vecchi Ds e nella Sinistra giovanile, e molti di loro sono in qualche modo persino inscrivibili all’interno della corrente più di sinistra del partito: quella dei giovani turchi di Matteo Orfini, Stefano Fassina e Andrea Orlando. In realtà, al Foglio risulta che Bersani, con queste mosse, abbia voluto lanciare un messaggio anche agli stessi Fassina e Orfini (tanto è vero che nessuno dei turchi è stato consultato per la scelta dei nomi). Ma al di là della forma, la sostanza indica una storia diversa: Moretti da tempo è uno dei volti più in vista dei turchi; Giuntella è un boyscout ex diessino che ha temperato il suo profilo rosso grazie a simpatie e frequentazioni bindiane – sta per sposare la nipote di Vittorio Bachelet – ma politicamente è cresciuto a Roma con Orfini nella sezione iper rossa di piazza Mazzini, di cui oggi è segretario, e lo stesso Orfini riconosce che “Tommaso è uno dei nostri”; quanto a Speranza, ex dalemiano ulivista, è anch’egli nel giro turco ma ultimamente si è reso autonomo ed è entrato a far parte di una nuova corrente in fieri che si richiama direttamente al segretario.

    Dunque, pur con le sfumature, è difficile affermare che le prime nomine fatte da Bersani nella sua campagna rappresentino una “rottura” con l’impianto più di sinistra del partito (quello, insomma, per capirci, del no duro e puro all’agenda Monti) e così non può sorprendere se nel Pd molti dei centristi, dei moderati e degli ex margheritini ancora non transitati con Renzi siano rimasti stupiti dalla mossa del segretario. “Se Bersani voleva lanciare un messaggio sulla sua intenzione di correggere la rotta – nota un senatore veltroniano – simbolicamente questo è il messaggio peggiore che ci potesse offrire”.

    • Claudio Cerasa Direttore
    • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.