Il prigioniero

I due mostri che incatenano Berlusconi

Salvatore Merlo

Silvio Berlusconi esita perché prigioniero di due mostri da lui stesso creati, il partito e l’azienda. Sospeso tra la voglia di farsi da parte e la responsabilità nei confronti del suo mondo, che si sentirebbe perso senza di lui, il Cavaliere vive in queste ore il tormento della consapevolezza di chi è incastrato dalle personali, e altrui, paure. Orror vacui, terrore del vuoto, dell’incognito: che succede dopo? Il Pdl già squinternato esploderebbe, privato dell’unico Cavaliere capace di dominare gli ardori dei suoi tanti cavalli.

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    Roma. Silvio Berlusconi esita perché prigioniero di due mostri da lui stesso creati, il partito e l’azienda. Sospeso tra la voglia di farsi da parte e la responsabilità nei confronti del suo mondo, che si sentirebbe perso senza di lui, il Cavaliere vive in queste ore il tormento della consapevolezza di chi è incastrato dalle personali, e altrui, paure. Orror vacui, terrore del vuoto, dell’incognito: che succede dopo? Il Pdl già squinternato esploderebbe, privato dell’unico Cavaliere capace di dominare gli ardori dei suoi tanti cavalli, di tenere assieme Ignazio La Russa e Mariastella Gelmini, Raffaele Fitto e Gaetano Quagliariello, proprio come un tempo sapeva condurre al trotto, e appaiati, Umberto Bossi e Gianfranco Fini. E che ne sarà dell’azienda, che tanta parte ha avuto nella sua storia così anomala? Senza Berlusconi, finirebbe per navigare priva di scorta nel mare tempestoso di un capitalismo che in Italia è ancora capitalismo di relazioni. Senza scudo, senza protezione, in Italia si affoga; come ben sa Fedele Confalonieri, che ieri ha visto Berlusconi a Roma.

    Ed eccolo dunque il Cavaliere amletico, sospeso e prigioniero della sua storia, delle sue creature, e della sua corte politica e aziendale. Ritirarsi o non ritirarsi? Ma come ritirarsi? Un’idea di rango, degna di un uomo di stato, Berlusconi ce l’ha, la coltiva, la soppesa, la respinge e poi la recupera in una continua e impari lotta con se stesso e la sua corte. Lo raccontano i collaboratori, gli amici, le persone con le quali il Cavaliere ha parlato prima di partire per le vacanze, lo sa Gianni Letta e lo sanno tutti quelli che l’hanno incontrato a Roma questa settimana: è lo schema della coerenza con le dimissioni di novembre, il progetto di dare continuità, politicizzandolo, all’esperimento di Mario Monti. Ma dopo che succede? Chi garantisce? Né il partito, né l’azienda lo lasciano andare. “Lo vogliamo lì sul cavallo di battaglia, anche fosse morto, come il Cid Campeador”, mi ha detto una volta Mario Landolfi. E l’ex ministro un po’ scherzava, condannando Berlusconi all’eternità. Ma un po’ no

    Il Popolo della libertà ha una verve dissolutiva, l’unico orizzonte coerentemente sviluppato è quello dell’eterna riproposizione del carisma berlusconiano. Anche per colpa del Cavaliere da quelle parti non vengono fuori più idee, ma solo catastrofi antropologiche come quella di Franco Fiorito. Dunque gli uomini del Pdl, un ceto politico ormai lontano dalle logiche aziendali e funzionaliste di quel partito di plastica, ma rapido, che fu Forza Italia, inchiodano Berlusconi alla sua responsabilità di fondatore, padre, padrone, e anima unica. Così come lo inchioda l’azienda, monumento tangibile del successo imprenditoriale, casa di tutti gli affetti, fonte di reddito e palcoscenico di una munificenza che si specchia anche nel suo Milan: misura delle fortune e dei rovesci popolari. Se la caveranno senza di me? La vita debosciata della destra laziale e la danza speculativa sulla possibile acquisizione di La7 da parte di Mediaset, negli ultimi giorni, hanno reso persino più spaventoso il dubbio e più avventurosa l’incognita. Il Cavaliere non sa che fare, e come può chiede consiglio. Ma il suo mondo, che pure aveva assecondato il progetto montiano e le dimissioni del novembre 2011, ora lo trattiene; malgrado tutti sappiano, Berlusconi per primo, che nessuna storia è infinita e che il tempo non è galantuomo ma sfilaccia, corrode, intorbidisce fino al punto di restituire l’immagine che non ti aspetti e che non corrisponde alla cifra dell’uomo. E Silvio Berlusconi, anziché sciogliere i cani di Arcore, si è trovato suo malgrado costretto a fare da arbitro tra i padroncini del Pdl in lite per un posto di capogruppo nel Consiglio regionale del Lazio.

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    • Salvatore Merlo
    • Milano 1982, vicedirettore del Foglio. Cresciuto a Catania, liceo classico “Galileo” a Firenze, tre lauree a Siena e una parentesi universitaria in Inghilterra. Ho vinto alcuni dei principali premi giornalistici italiani, tra cui il Premiolino (2023) e il premio Biagio Agnes (2024) per la carta stampata. Giornalista parlamentare, responsabile del servizio politico e del sito web, lavoro al Foglio dal 2007. Ho scritto per Mondadori "Fummo giovani soltanto allora", la vita spericolata del giovane Indro Montanelli.