Un figlio per Nichi Vendola. Se non ora, a Strasburgo

Nicoletta Tiliacos

"Se ora potessi fare quello che voglio, farei un figlio”, ha dichiarato Nichi Vendola qualche giorno fa, e ieri ha rincarato la dose con un articolo su Pubblico, intitolato: “Io vi dico: se non ora (padre) quando?”. La prima cosa che verrebbe da far notare al sinistrorso governatore pugliese, usando le parole della sinistrorsa psicoanalista francese Sylviane Agacinski, è che “gli omosessuali hanno sempre avuto figli, con qualcuno dell’altro sesso, senza definirsi come omogenitori…

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    "Se ora potessi fare quello che voglio, farei un figlio”, ha dichiarato Nichi Vendola qualche giorno fa, e ieri ha rincarato la dose con un articolo su Pubblico, intitolato: “Io vi dico: se non ora (padre) quando?”. La prima cosa che verrebbe da far notare al sinistrorso governatore pugliese, usando le parole della sinistrorsa psicoanalista francese Sylviane Agacinski, è che “gli omosessuali hanno sempre avuto figli, con qualcuno dell’altro sesso, senza definirsi come omogenitori… Si sente dire che gli eterosessuali voglio conservare il monopolio del matrimonio e dei figli, come se si fosse mai proibito a chiunque di avere figli”. Si capisce però che un visionario come Nichi Vendola non può accontentarsi di qualcosa di così ovvio. “Mi piacerebbe crescere un bimbo, due bimbi, tanti bimbi”, dice, e fa simpatia. Ma come? Bambini adottati con un compagno e – forse, chissà, un giorno – consorte? Bambini ottenuti con acquisto di ovociti, utero in affitto e gravidanza in leasing seguita da sparizione della madre, stile Elton John? Ecco, più facile che, quando parla della propria voglia di paternità, Vendola pensi, per soddisfarla, non a vecchi metodi ma a “nuovi diritti”. Particolare categoria di rivendicazioni che finiscono fatalmente per oscurare antichi diritti, quelli che certi passatisti si ostinano a considerare ancora gli unici degni di tal nome.

    Prendiamo il caso che una coppia di donne austriache ha portato di fronte alla Corte dei diritti dell’uomo di Strasburgo e che sarà esaminato il 3 ottobre dalla Grande Chambre. Una delle due donne ha un figlio, nato da un precedente legame con un uomo che quel bambino lo ha generato, lo ha riconosciuto (il piccolo porta il suo nome e lo vede con regolarità) e tuttora se ne occupa, anche economicamente. La sua ex vorrebbe invece che la propria nuova compagna, alla quale la unisce una relazione stabile, potesse adottare quel bambino, allo scopo di formare una “famiglia riconosciuta”. Premessa: la legge austriaca prevede che un genitore divorziato o separato possa rinunciare  alla patria potestà, consentendo a un nuovo marito o a una nuova moglie di subentrare, con l’adozione, nel ruolo di genitore. Si parla di coppie necessariamente formate da un uomo e una donna, altrimenti il figlio non ci sarebbe: tanto basta per fare gridare la coppia delle due ricorrenti alla “discriminazione fondata sull’orientamento sessuale”. Ma nel caso in questione, oltretutto, il padre del bambino non vuole affatto dare le dimissioni dal proprio ruolo, e un tribunale nazionale ha rifiutato di decretare l’adottabilità del bambino da parte della partner della madre, perché contraria all’interesse di un figlio che due veri genitori li ha già, sia pure separati.

    Morale: vedremo che cosa succederà a Strasburgo il 3 ottobre, anche se appare piuttosto incredibile che sia stato possibile solo ammettere quel ricorso. A meno di non voler vedere in tutta la faccenda il segno di una soggezione sempre più evidente, da parte delle istituzioni europee, nei confronti dei “nuovi diritti”. Vendola, insomma, ha buoni motivi per stare allegro.

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