Tutto vale
Fingersi morti in guerra è l'ultima frontiera del farsi lasciare
Ha guidato per tre ore e mezzo dalla sua Chesapeake, una cittadina di duecentomila abitanti in Virginia, fino a Burke, a sud di Washington, per dare l’ultimo saluto al suo amato. Essere la fidanzata ventitreenne di un ufficiale militare non è facile, specie se ha il doppio della tua età ed è divorziato. E può accadere che a un certo punto ti scriva Bob, il suo fidato compagno d’armi, e ti dica che lui, proprio lui, l’amore della tua vita, è scomparso eroicamente servendo la patria.
Ha guidato per tre ore e mezzo dalla sua Chesapeake, una cittadina di duecentomila abitanti in Virginia, fino a Burke, a sud di Washington, per dare l’ultimo saluto al suo amato. Essere la fidanzata ventitreenne di un ufficiale militare non è facile, specie se ha il doppio della tua età ed è divorziato. E può accadere che a un certo punto ti scriva Bob, il suo fidato compagno d’armi, e ti dica che lui, proprio lui, l’amore della tua vita, è scomparso eroicamente servendo la patria. “Mi ha chiesto di contattarti se mai fosse accaduta una cosa del genere”, c’era scritto nella email giunta nella posta elettronica della fanciulla il 6 luglio scorso. “Sono addolorato nel comunicarti che se n’è andato. Abbiamo fatto tutto il possibile per salvarlo. Non posso dire altro. Mi fa male sapere che sia andata così. Ti amava davvero molto”.
La loro relazione era nata su Internet, su un sito di incontri on line, e andava avanti già da un anno. Nelle lunghe email che si scambiavano lui si firmava Tony Moore “per non compromettere il suo ruolo nelle forze speciali”, le spiegava. Ma poi, dopo il loro primo incontro, le aveva detto il suo vero nome: sono il comandante Michael P. Ward II della marina militare statunitense. Si vedevano poco, ma lui le scriveva spesso: “Ti voglio, e non so come rendere perfetto tutto questo”, e poi: “Ti amo e ti amerò sempre”. Dopo aver ricevuto la notizia della sua morte, lei ha contattato un’amica e si è messa in macchina verso la casa del comandante Michael P. Ward II della marina militare statunitense. Voleva dargli il suo ultimo saluto. Ha citofonato, ma l’uomo alla porta le ha detto candidamente: “No, il comandante non c’è, si è trasferito con la famiglia a Gales Ferry, in Connecticut”. Il nuovo proprietario di casa ha detto alla stampa locale che, in effetti, la ragazza sembrava un po’ “stupita” della sua risposta. La biondina ventitreenne che lavora in banca aveva appena scoperto che il comandante Michael P. Ward II era tutt’altro che morto, ed era pure sposato. E lei aspettava un figlio da lui.
Passa qualche tempo, e a fine luglio i due amanti si incontrano a Washington per parlare della gravidanza. Subito dopo lei perde il bambino. Quando lo vede sui giornali, il 3 agosto scorso, durante la cerimonia in cui Michael P. Ward II prende il comando del sottomarino nucleare “Uss Pittsburgh”, la ragazza perde la testa, e lo denuncia. Una settimana dopo è la marina a scrivere a Michael P. Ward II, che con una lettera di richiamo lo condanna per “condotta disdicevole e adulterio”. Cacciato dal sottomarino, cacciato dall’amante, cacciato dalla moglie. D’altra parte in amore e in guerra tutto è concesso, anche se non ti firmi nelle email Adriano Meis, anche se per fuggire da uno spaventoso futuro inventi una morte sul campo di battaglia, mica un vigliacco suicidio. In amore e in guerra tutto è concesso, anche partire per l’Afghanistan con un bambino in grembo e darlo alla luce a Camp Bastion, qualche giorno dopo un attacco dei talebani che ha ucciso due militari. La soldatessa, che fa parte del reggimento d’artiglieria dell’esercito britannico, martedì scorso è stata visitata in infermeria per dei forti dolori addominali. Dopo qualche ora ha dato alla luce un bambino. Ai suoi superiori ha raccontato di non aver mai saputo di essere incinta. E può succedere, secondo l’associazione di ginecologi inglesi, che “lo stress del lavoro alla base militare abbia fatto confondere i segnali che il corpo di una donna manda quando è in attesa”, oppure che “il rifiuto di avere un figlio sia stato determinante”. Ma a Camp Bastion già parlano di un test di gravidanza per tutte le donne in partenza per l’Afghanistan. Oppure, per farsi mandare a casa, potrebbero fingersi morte.
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