Il caso Sassoon-Casaleggio e la natura della rete come “cosa politica”

Marianna Rizzini

La rete come vetrina, la rete come piattaforma, la rete come programma, la rete come megafono, piazza, bar, bandiera culturale o ideologica spiattellata sotto agli occhi e al tempo stesso inconoscibile. Ma che cos’è davvero la rete nella veste di “cosa politica”? Se l’è chiesto in senso lato Zygmunt Bauman, in un libro in uscita negli Stati Uniti, parlando del potere di “seduzione” di una rete che si vorrebbe “salvifica” ma che si trasforma in fattore di “sorveglianza liquida” con il consenso “gioioso” del sorvegliato, e se l’è chiesto sul Corriere della Sera Enrico Sassoon, giornalista ed ex socio (fresco di dimissioni) della Casaleggio Associati.

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    Roma. La rete come vetrina, la rete come piattaforma, la rete come programma, la rete come megafono, piazza, bar, bandiera culturale o ideologica spiattellata sotto agli occhi e al tempo stesso inconoscibile. Ma che cos’è davvero la rete nella veste di “cosa politica”? Se l’è chiesto in senso lato Zygmunt Bauman, in un libro in uscita negli Stati Uniti, parlando del potere di “seduzione” di una rete che si vorrebbe “salvifica” ma che si trasforma in fattore di “sorveglianza liquida” con il consenso “gioioso” del sorvegliato, e se l’è chiesto sul Corriere della Sera Enrico Sassoon, giornalista ed ex socio (fresco di dimissioni) della Casaleggio Associati, l’azienda di consulenza internettiana che porta il nome di Gianroberto Casaleggio, il cosiddetto “guru” di Beppe Grillo, l’uomo dai capelli frisé e dall’occhialetto pignolo che la dissidenza grillina (e non solo) vede a capo di una specie di Spectre visionaria – e Casaleggio ci ha messo del suo: già esperto di web degli albori in una società del gruppo Telecom, la Webegg, e già appassionato di boschi, elfi e cavalieri della Tavola rotonda, ha poi prodotto video dal titolo mitologico (“Prometeus” e “Gaia”) in cui immagina un mondo post quarta guerra mondiale, eco-autarchico, disincarnato in eterna Second-life e governato da un “clic” onnipresente e parossistico. Si cerca quotidianamente conferma al sospetto che Casaleggio condizioni, controlli e indirizzi ogni mossa internettiana e non dell’ex comico Beppe Grillo, un tempo solare urlatore di “vaffa” e ora rintuzzatore un po’ malmostoso (sempre sul web) di grillini fuori-onda (nei comizi in carne e ossa invece Grillo, dopo la fase dei rutti contro tutti, dice: “Voglio la dittatura democratica”). Loro malgrado, Grillo e Casaleggio, i puristi dello strapotere liquido, sono diventati il simbolo del dubbio sotterraneo che coglie anche i più fiduciosi utenti del web: la rete è apice di democrazia o abisso di arbitrarietà? E’ una setta con ricaschi alla Scientology o la fiera della trasparenza?

    “Si impone una seria riflessione”, ha scritto Sasson nella lettera aperta al Corriere, motivando le dimissioni, oltreché con il desiderio di porre fine alle “speculazioni” sul suo conto, con l’urgenza di suggerire un paradosso: la rete come “luogo democratico per eccellenza al quale chiunque può accedere per dare voce alle proprie opinioni”, ma anche la rete come “arena di violenza incontenibile, diffamazione incontrastabile, vera e propria delinquenza mediatica”. Sassoon definisce “scemenzario” (così ha detto nel salotto tv di Gad Lerner, all’Infedele, sul La7, il 24 settembre) le voci sul suo ruolo di socio di minoranza della Casaleggio, voci giunte negli anni dalla rete e propagatesi dai blog più remoti a quelli più frequentati, di destra o di sinistra (con fiorire di complicati pamphlet sul presunto addensamento di poteri forti – e malintenzionati – dalle parti di Casaleggio). Quel che è più incredibile per Sassoon è che alcune voci abbiano avuto cittadinanza anche su Micromega (sul numero 5 del 2010) e da lì sui media “ufficiali”: con varianti, il nome di Sassoon veniva associato ai suddetti “poteri forti” che vogliono infiltrare il Movimento 5 Stelle o a gruppi di “narcotrafficanti” sulla scorta dell’albero genealogico (ramo della famiglia che tre secoli fa commerciava in droghe e spezie nella Compagnia delle Indie) o alla mano invisibile di un complotto “pluto-giudaico-massonico” (con venatura razzista, visto il cognome ebraico dell’ex socio di Casaleggio).

    “La democrazia digitale è già qui ma la rete può essere usata male ed è usata male”, ha detto Sassoon all’“Infedele”. Qualcosa di simile l’ha detta anche un conservatore di sinistra come Michele Serra su Repubblica: il 12 luglio scorso, nella sua “Amaca”, Serra dubitava e si chiedeva se per caso ce l’avesse “ordinato il dottore”, di sottoporci al “pensierino gretto e mediocre” che fuoriesce dal web, pensierino un tempo “confinabile al bancone di un bar”. L’8 settembre Serra ridubitava (a proposito della funzione politica della rete e del fuorionda anti Casaleggio del grillino Giovanni Favia) e scriveva: “C’è un’idea salvifica (quasi religiosa) del web, non più e non soltanto prodigiosa innovazione tecnologica, ma strumento di vera e propria palingenesi sociale che riesce a ‘mettere al centro la persona’ superando (anzi ‘sopprimendo’, scrive Grillo) ogni precedente forma di ‘intermediazione economica e politica’… Più del fanatismo, è l’ingenuità che colpisce: l’idea semi-folle che un processo complicatissimo come la democrazia possa d’un tratto sustanziarsi in rete non fa paura, fa soprattuto tenerezza, tanto profondo è l’equivoco tra le facoltà enormi che la rete aggiunge alla vita umana, e una sua presunta possibilità di redimere la società da ogni imperfezione”.

    C’è Grillo dietro a Grillo e c’è Casaleggio dietro a Casaleggio, dice Grillo, quando proprio non può eludere il dibattito sulla “piattaforma” on-line per la scelta dei candidati. Sapranno anche loro, Grillo e Casaleggio, che dietro l’angolo c’è il bagno di realtà: gente che vuol entrare e non entra e si lamenta e dice “altro che democrazia del web”; gente che non sembra adatta ma è plurivotata dagli internauti e come fai a dirgli no; gente che chissà chi è e pure se ha il certificato penale pulito sembra scesa da Marte. “L’ultima parola sono io”, dice Grillo, e qualcuno lo prende per uno scherzo anche se il dilemma della piattaforma sta tutto ancora lì. Votazioni on-line, vi fidate?, chiedevano i cronisti ai grillini seduti sul prato a Parma, in attesa del comizio, e, qui e là, davanti alle telecamere sempre sconsigliate dal Grillo inviperito con i media (“schiavi” o “trombettieri”), qualcuno faceva una faccia un po’ così. Intanto il comico (e/o Casaleggio), dal suo blog, si scagliava contro l’informazione da “Truman show”, lanciando la campagna “intervistiamo i giornalisti”.

    Soft power” della rete, dice Zygmunt Bauman. “Fascisti del web”, tribuni chiusi “nei tabernacoli”, dice il segretario del Pd Pierluigi Bersani. E chissà se anche Casaleggio si è chiesto “ma che cos’è davvero la rete come cosa politica?”, quando, qualche mese fa, ha scritto una lettera aperta (sempre al Corriere) per allontanare da sé le stesse accuse di connivenza con i poteri forti (giunte sempre dal web) che hanno motivato il gesto di Sassoon.

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    • Marianna Rizzini
    • Marianna Rizzini è nata e cresciuta a Roma, tra il liceo Visconti e l'Università La Sapienza, assorbendo forse i tic di entrambi gli ambienti, ma più del Visconti che della Sapienza. Per fortuna l'hanno spedita per tempo a Milano, anche se poi è tornata indietro. Lavora al Foglio dai primi anni del Millennio e scrive per lo più ritratti di personaggi politici o articoli su sinistre sinistrate, Cinque Stelle e populisti del web, ma può capitare la paginata che non ti aspetti (strani individui, perfetti sconosciuti, storie improbabili, robot, film, cartoni animati). E' nata in una famiglia pazza, ma con il senno di poi neanche tanto. Vive a Trastevere, è mamma di Tea, esce volentieri, non è un asso dei fornelli.