“Non sono Cincinnato”

L'offensiva sotto traccia (e un po' goffa) di Prodi per arrivare Quirinale

Salvatore Merlo

La corsa al Quirinale, si sa, è già iniziata. Ma ci sono candidature che si vedono, come quella di Mario Monti, il professore a tutto (e da tutti) candidato, e ci sono poi quelle candidature che invece si vedono un po’ meno, ma di cui si parla, e molto, nel Palazzo: Romano Prodi. Testardo, convinto di essere un tecnico e campione europeo non inferiore a Monti, ambiziosissimo, ma sempre diabolicamente innocente, di sé Prodi dice che “in politica o sei dentro o sei fuori, e io sono fuori”, “io non esisto”, “non sono Cincinnato”, “il Quirinale? Non è cosa”.

Leggi Monti alle primarie di Claudio Cerasa

    Roma. La corsa al Quirinale, si sa, è già iniziata. Ma ci sono candidature che si vedono, come quella di Mario Monti, il professore a tutto (e da tutti) candidato, e ci sono poi quelle candidature che invece si vedono un po’ meno, ma di cui si parla, e molto, nel Palazzo: Romano Prodi. Testardo, convinto di essere un tecnico e campione europeo non inferiore a Monti, ambiziosissimo, ma sempre diabolicamente innocente, di sé Prodi dice che “in politica o sei dentro o sei fuori, e io sono fuori”, “io non esisto”, “non sono Cincinnato”, “il Quirinale? Non è cosa”; ma poi riceve nel suo ufficio di Bologna Matteo Renzi, e subito dopo anche Pier Luigi Bersani: blandisce entrambi e da entrambi è blandito, allude e collude, rottama ma anche no. Nella lotta delle primarie resta dunque in equilibrio apparente tra i due uomini che nella prossima legislatura potrebbero essere decisivi nella scelta del successore di Giorgio Napolitano. Così “Renzi è intelligentissimo”, ma “a Pier Luigi voglio bene”. Arturo Parisi, il fedele amico Parisi, sta con Renzi ma Vasco Errani e Rosy Bindi stanno con Bersani. “La verità è che un leader come Prodi non manca solo alla sinistra ma all’Italia”, ha detto Sandra Zampa, che fa il deputato del Pd ma anche il portavoce di Prodi: una mitragliatrice di smentite, basta associare la parola “Prodi” alle parole “primarie” e “Quirinale”, basta mettere in dubbio l’equidistanza dai duellanti del Pd, basta ricordare che, oltre Parisi, due ex collaboratori del Professore sono fissi a bordo del camper di Renzi, quello dove si rottama Bersani: Gabriele De Giorgi ed Ernesto Carbone (che per Prodi organizzò il pullman per la campagna del 1996).

    E’ ormai il contrario della mortadella, Prodi ha imparato a reprimere il risentimento e a colpire in silenzio e da lontano, parla solo di Europa perché “le beghe italiane puzzano di cacio”, giovedì ha celebrato Helmut Kohl in Germania, si fa fotografare con Angela Merkel, non gli scappano più le battute sul “complotto” e la “vendetta” né gli anatemi contro il suo ultimo carnefice, Veltroni: “Senza di me non vincerete per i prossimi vent’anni”. L’offensiva per il Quirinale è lenta, forse goffa, dissimulativa, si dice che Prodi abbia avvicinato persino Giulio Tremonti, l’altro trouble maker dei fragili equilibri politici.

    Si sono visti e parlati a lungo attraverso il comune amico Giovanni Pecci, già direttore della prodiana Nomisma che adesso collabora con il fu ministro di Berlusconi. A unire i due “ex” è un misto tra destino, interesse e comune risentimento. Prodi e Tremonti, dunque, la strana coppia di emarginati ambiziosi con in comune anche un forte carattere (e dunque un cattivo carattere): Tremonti ha in odio la strategia del governo tecnico e sabato prossimo presenterà il suo manifesto politico, mentre Prodi, uomo di speranza e tranquillizzante, si considera l’alternativa antropologica e politica all’arcigno professor Monti (per questo è più simpatico anche agli occhi del gruppo di Carlo De Benedetti). D’altra parte Prodi, come Monti, ha le entrature internazionali e conosce l’Europa, anche lui ha il profilo da Grand Commis, anche lui alza la cornetta del telefono – e ci tiene a farlo sapere – e parla con Angela Merkel quando vuole. Con alcuni amici si è vantato di aver favorito l’accordo del 28 e 29 giugno sullo scudo antispread con una telefonata alla cancelliera, altro che Monti. Come dice la sua portavoce-deputato, “viaggia per il mondo, studia, incontra leader e gente comune, tiene conferenze e anche così si è messo al servizio del paese contribuendo a tutelarne l’immagine all’estero nei giorni della devastazione berlusconiana”. Un profilo perfetto.

    La sua candidatura al Quirinale, per la quale forse vuole costringere a lavorare sia Renzi sia Bersani, è un progetto complesso, che va avanti sottotraccia e che sempre bisogna negare con sufficienza: “Sciocchezze che scrivono i giornali”. La voce ricorrente è che nel cuore di Prodi però ci sia più che altro il giovane Renzi, il suo angelo sterminatore, quello che si vuole prendere il partito, che vuole pensionare la nomenclatura degli “ingrati”, dei D’Alema e dei Veltroni, quelli da cui il Professore si è sentito usato e poi scaricato come un sacchetto d’immondizia sul ciglio della strada. E’ da allora che Prodi, la cui proverbiale memoria somiglia talvolta al rancore, cerca la rivincita. E’ dunque improbabile che abbia dimenticato quale fu il ruolo di Bersani già a quei tempi, e le parole dell’attuale segretario del Pd che prima delle elezioni poi vinte di un soffio da Prodi contro Berlusconi nel 2006, rispose così alla domanda sulle reali possibilità del Professore bolognese: “Il punto è se c’è la ripresa economica. Se c’è, Berlusconi ci batte anche se candidiamo la Madonna del pellegrino. Se non c’è la ripresa, vinciamo con un pellegrino qualsiasi”.

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    • Salvatore Merlo
    • Milano 1982, vicedirettore del Foglio. Cresciuto a Catania, liceo classico “Galileo” a Firenze, tre lauree a Siena e una parentesi universitaria in Inghilterra. Ho vinto alcuni dei principali premi giornalistici italiani, tra cui il Premiolino (2023) e il premio Biagio Agnes (2024) per la carta stampata. Giornalista parlamentare, responsabile del servizio politico e del sito web, lavoro al Foglio dal 2007. Ho scritto per Mondadori "Fummo giovani soltanto allora", la vita spericolata del giovane Indro Montanelli.