La trinità tedesca
Due signori di età avanzata, ciascuno su una sedia a rotelle; una signora che da anni si veste sempre uguale (giacca strizzata e pantaloni larghi) salvo variare i colori: da trent’anni il partito conservatore tedesco, Cdu, è in mano a questo strano terzetto, che ha influenzato fortemente la politica del paese più ricco e potente d’Europa, e di conseguenza quella dell’intero continente. I loro nomi sono, in ordine di età, Helmut Kohl, Wolfgang Schäuble e Angela Merkel. Sono stati prima alleati di ferro, poi nemici giurati. In questi giorni, due ricorrenze li hanno costretti a ritrovarsi insieme.
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Due signori di età avanzata, ciascuno su una sedia a rotelle; una signora che da anni si veste sempre uguale (giacca strizzata e pantaloni larghi) salvo variare i colori: da trent’anni il partito conservatore tedesco, Cdu, è in mano a questo strano terzetto, che ha influenzato fortemente la politica del paese più ricco e potente d’Europa, e di conseguenza quella dell’intero continente. I loro nomi sono, in ordine di età, Helmut Kohl, Wolfgang Schäuble e Angela Merkel. Sono stati prima alleati di ferro, poi nemici giurati. In questi giorni, due ricorrenze li hanno costretti a ritrovarsi insieme. Con un centinaio di invitati, due relatori d’eccezione, Angela Merkel e Jacques Delors, giovedì è stato festeggiato Helmut Kohl per il 30esimo anniversario dalla sua nomina a cancelliere, il primo ottobre del 1982. Il giorno prima, è toccato invece al ministro delle Finanze Wolfgang Schäuble, che il 18 settembre aveva compiuto 70 anni. Entrambi gli eventi hanno avuto luogo a Berlino. Per le celebrazioni in onore di Kohl si è scelto lo Historisches Museum. Per la festa di Schäuble il Deutsches Theater. Due luoghi che sembrano essere anche emblematici, vista la storia politica di questi due personaggi (Schäuble è in fondo il protagonista di un dramma, l’erede costantemente rifiutato dall’Übervater).
Kohl è entrato nella storia come il cancelliere dell’unificazione. Ha testardamente voluto l’euro e oggi, come si legge in un bellissimo pezzo di Gunter Hofmann sul settimanale Cicero, rischia di diventare una figura tragica della storia proprio per questo, per aver voluto troppa Europa. Kohl non ha partecipato alla festa di Schäuble. Il ministro, invece, ha presenziato, per ragioni di etichetta, alla celebrazione di Kohl. Anche ora che il vecchio cancelliere (82 anni) quasi non articola più parola, ed è inchiodato, come lui, su una sedia a rotelle e viene tenuto segregato dalla seconda moglie (se si vuol dar credito all’ultima biografia appena pubblicata sull’ex cancelliere), Schäuble non è disposto a perdonare. Solo recentissimamente, per la prima volta dopo decenni, ha preso le difese del suo ex capo. E’ stato quando qualcuno ha voluto trovare in Kohl un capro espiatorio per l’attuale crisi dell’eurozona, accusandolo di aver rinunciato, con troppa leggerezza, al marco tedesco. “Non si è trattato di una decisione semplice, ma è stato uno dei successi storici più importanti di Kohl”, ha ribattuto Schäuble.
Kohl e Schäuble, un tandem politico e anche privato che si credeva indissolubile (“siamo amici, e chi non lo capisce, è da ricovero” diceva Kohl ai tempi), sono oggi acerrimi nemici. A dire il vero, il grande vecchio ha pure provato, negli ultimi anni – la malattia e l’età avanzata l’hanno reso più mite – a riavvicinarsi al suo ex delfino, ma inutilmente. La rottura risale alla seconda metà degli anni Novanta. Schäuble, allora, veniva dato come l’erede naturale di Kohl. Il cancelliere stesso aveva alimentato questa supposizione, con le parole, ma anche con i fatti. Nei lunghi mesi che Schäuble trascorse in ospedale, in seguito all’attentato del 12 ottobre 1990 che l’avrebbe costretto per sempre sulla sedia a rotelle, il cancelliere passò ore e giorni al capezzale del suo fedelissimo, insistendo perché non mollasse, convincendolo ad andare avanti. Non solo la sua vita, nemmeno la sua carriera politica era finita, così gli diceva. Il futuro aveva sicuramente ancora sorprese in serbo per lui. E in effetti, la carriera politica di Schäuble proseguì, e proseguirà ancora (Schäuble stesso ha comunicato di ricandidarsi alle elezioni del 2013). Ma non sempre come lui si era immaginato. Kohl, nonostante ripetuti proclami, alla fine decise di correre per la quinta volta anche nel 1998. Fu però sconfitto, e non solo. Poco dopo, venne investito dallo scandalo dei finanziamenti occulti alla Cdu. Schäuble nel frattempo aveva preso in mano le redini del partito. Kohl, però, nemmeno allora volle lasciare campo libero al suo ex delfino. Non lo faceva capace di guidare il partito, e tanto meno il paese: chi mai avrebbe votato un cancelliere in sedia a rotelle, ragionò, trascinandolo con sé nello scandalo.
Una settimana fa, la Süddeutsche Zeitung titolava un lungo articolo su Merkel e Schäuble, definita la coppia più potente in Europa, “Gli indissolubili”. Mentre il sommario recitava: “Lei è oggi quello che lui sarebbe sempre voluto diventare”. Spunti perfetti per una pièce teatrale da mettere in scena, magari proprio al Deutsches Theater. La parte del protagonista spetterebbe a Schäuble. Il titolo? Lui e Merkel sono recentemente andati a vedere al cinema “Quasi amici”, il film, tratto da una storia vera, racconta la relazione tra un paraplegico e il suo badante senegalese. Solo che, stando a quel che Schäuble ha recentemente affermato in un’intervista, loro, “quasi amici” non lo sono. “Negli anni si è instaurata tra di noi una profonda fiducia reciproca. Ma amicizia no, le amicizie le coltivo altrove, non nell’arena politica”. Il perché di questa netta separazione è abbastanza ovvio. Pochi altri sono finiti, così drammaticamente, negli ingranaggi della politica come lui. Anche se a Schäuble questa conclusione piace poco. Sempre al tabloid, alla domanda se non fosse amareggiato per non essere diventato Kanzler, rispondeva: “Ci sono 80 milioni di tedeschi. Già il fatto di ritrovarsi tra i primi dieci, mi pare un buon risultato”. Ad avergli messo i bastoni tra le ruote è stata anche Angela Merkel. L’ascesa di questa outsider della politica – con trent’anni di Ddr alle spalle, e fino alla caduta del Muro poco interessata a questioni politiche, tanto che la fatidica sera del 9 novembre, pur avendo sentito la notizia dell’apertura della frontiera, non aveva cambiato programma ed era andata prima in sauna – fa venire in mente la massima “mors tua vita mea”.
Se il 9 novembre del 1989 è diventata una data storica per il mondo, nella storia privata di Merkel è il 22 dicembre 1999 a segnare uno spartiacque decisivo. Kohl continuava a non dire chi fossero i finanziatori, il che, sondaggi alla mano, aveva pesanti ripercussioni sul partito. E come se questo non bastasse, si era nel frattempo scoperto un altro finanziamento di 100 mila marchi, non registrato, che metteva questa volta in difficoltà Schäuble. Merkel, allora segretario generale della Cdu, decise che era tempo di dare un taglio netto, di liberarsi e liberare il partito da tutta questa robaccia. E così quel giorno di dicembre fece pubblicare dalla Frankfurter Allgemeine un articolo scritto di suo pugno: un appello ai compagni di partito a emanciparsi, dopo un quarto di secolo, dall’Übervater Helmut Kohl. “Quanto ammesso da Kohl ha nuociuto al partito”, scriveva Merkel. E non era accettabile che egli, a fronte di un operato evidentemente illegale, continuasse a pretendere “che la sua parola valesse più di quella della legge”. Per questo il partito doveva distaccarsi da lui, “imparare a stare sulle proprie gambe”. L’articolo ebbe l’effetto di una bomba. Ma se molti nel partito criticarono aspramente la nuova venuta dall’est, stampa e opinione pubblica furono subito dalla sua parte. E così, pochi mesi dopo, il 10 aprile del 2000, Merkel veniva eletta capo delle Cdu. Il passato, i momenti che sarebbero entrati nei libri di storia, che avevano cambiato non solo la geografia della Germania, ma anche il corso del mondo, la pacifica caduta del Muro, l’unificazione tedesca, l’integrazione europea, eventi indissolubilmente legati alla figura, ora ingombrante, di Helmut Kohl, non venivano spazzati via, ma messi fra parentesi. Sempre in quell’articolo Merkel, infatti, concludeva: “Come un adolescente, anche il partito deve andarsene di casa, cercare la propria strada, pur riconoscendo, a chi l’ha massimamente portato a essere quel che è diventato, i suoi meriti – e forse in un futuro, essergliene ancora più grato di oggi”. Quel momento, ora, con le celebrazioni di questa settimana, sembra arrivato. Almeno per lei.
Diversamente da Kohl, Schäuble verrà riabilitato molto velocemente, ma dovrà incassare ancora un duro colpo. Nella primavera del 2005 aveva sperato nel sostegno di Merkel per l’elezione a capo di stato. La Kanzlerin invece, con gli occhi già puntati alle elezioni politiche di quell’autunno, si era piegata ai desiderata dei potenziali partner di coalizione, i liberali dell’Fdp, e aveva accettato come candidato Horst Köhler. Da allora sono passate quasi due legislature. Merkel in ognuna ha offerto a Schäuble il ministero più importante in quel momento. Prima, quando il timore di attacchi terroristici era ancora molto forte, quello degli Interni. Poi, dopo lo scoppio della crisi economico-finanziaria mondiale, quello delle Finanze. Con un chiaro avvertimento: non avrebbe tollerato un Überkanzler. Il timone lo teneva in mano lei, le decisioni finali spettavano a lei e basta. Schäuble aveva accettato. E così, nell’affidargli ogni volta ministeri strategici, ha fatto con lui una coppia inossidabile. L’attuale politica europea sarebbe impensabile senza uno dei due, così scriveva la Süddeutsche il giorno in cui la Corte costituzionale tedesca emetteva il suo verdetto sul Meccanismo di stabilità permanente (Esm). Ma il ministro e la Kanzlerin la pensano veramente allo stesso modo, sull’Europa?
Secondo Hofmann niente affatto. Non è Angela Merkel l’erede di quell’idea di Europa che aveva animato Kohl, il quale a sua volta si sentiva erede del primo cancelliere del Dopoguerra tedesco, Konrad Adenauer. Il vero erede è Schäuble. Il trattato per l’unificazione tedesca l’aveva elaborato lui, allora ministro degli Interni. E Schäuble ancora oggi è animato dall’idea che aveva guidato Kohl: e cioè, riprendendo una storica frase dell’ex cancelliere, l’Europa unita doveva rendere la “Germania europea” e non “l’Europa tedesca”. Oggi, passando in rassegna gli ultimi due anni – i diktat di Berlino, la scarsa propensione, secondo molti critici, alla solidarietà, l’incapacità di spiegare le misure introdotte e i compiti distribuiti con parole diverse dall’“alternativlos” (senza alternativa), e ancora l’assoluta mancanza di visioni di ampio respiro, che sappiano veramente parlare ai 500 milioni di europei così spesso invocati da Merkel – si è a volte portati a credere che ci sia più verità nell’infelice frase “L’Europa ora parla tedesco”, pronunciata lo scorso novembre dal capogruppo parlamentare di Cdu/Csu, Volker Kauder. Kohl ha smentito chi gli aveva attribuito la frase “Merkel sta rovinando la mia Europa”. Qualcuno dice che il vecchio cancelliere apprezzi addirittura le doti politiche della Kanzlerin. Anche Merkel, certo, non mira a un’Europa che parli tedesco. Quello che però la differenzia da Kohl e da Schäuble è il suo pragmatismo, la mancanza di pathos. Come ha dimostrato una volta ancora, la settimana scorsa a Ludwigsburg, durante una delle molte celebrazioni in nome dell’amicizia franco-tedesca (celebrazioni che culmineranno nella ricorrenza del 22 gennaio 1963, quando Berlino e Parigi sottoscrivevano il trattato dell’Eliseo). Proprio a Ludwigsburg, Charles de Gaulle, il 22 settembre del 1962, aveva tenuto lo storico “Discorso alla gioventù tedesca”: “Mi congratulo con voi, per essere giovani tedeschi, cioè figli di un grande popolo” aveva detto lo statista francese. “Sì, di un grande popolo, che nel corso della sua storia ha compiuto grandi errori. Un popolo che però ha donato al mondo anche valori spirituali, scientifici, artistici e filosofici”. De Gaulle durante la guerra aveva combattuto contro la Germania nazista. Ora voleva un’Europa unita contro il blocco comunista e al suo fianco voleva e aveva Konrad Adenauer. Merkel invece ha pronunciato un discorso senza enfasi e con poca passione (“privo di qualsiasi afflato”, scrivevano i giornali tedeschi) preferendo una volta ancora tornare a parlare del suo passato nella Ddr. Ben diverso l’intervento di François Hollande, scriveva la Frankfurter Allgemeine. Il presidente francese invocava il ritorno alle radici etiche europee, ammoniva i giovani a tenere viva sempre la fiamma dell’amicizia, arrischiandosi poi pure sul terreno scivoloso di una futura unione politica (un progetto che proprio in Francia trova però molta resistenza). E’ vero che Schäuble non ha predicato meno rigore e lacrime di Merkel in questi ultimi anni, ma diversamente dalla Kanzlerin ha voluto continuare a tenere viva anche quell’idea di Europa unita che aveva animato i padri fondatori.
Riascoltando gli innumerevoli discorsi tenuti da Merkel sulla necessità di salvare l’euro e l’Ue “perché non c’è alternativa”, perché altrimenti i singoli stati soccomberebbero nella competizione economica globale, verrebbero schiacciati da giganti come Cina e India, e presto anche da altre nazioni emergenti, si ha l’impressione che per lei l’Ue si riduca a unione fiscale e competitività. Non per Schäuble, che ancora in una recente intervista affermava: “Si arriverà, prima o poi, a un’Europa veramente unita. Ma non sul modello degli Stati Uniti. E’ ancora tutta da disegnare e progettare. Sono però sicuro che sarà sorprendente”. L’Europa di Merkel è come un disegno fatto da tanti piccoli puntini. Quella di Schäuble è un affresco. Un affresco al quale lavora da sempre. Nel 1994 fu autore, insieme al compagno di partito Karl Lamers, di un documento, anche questo fondamentale per il divenire dell’Ue. Lì immaginava un’Europa costituita dal nocciolo duro dell’alleanza franco-tedesca. Un nucleo che però non escludeva, anzi, doveva fare da volano all’integrazione degli altri paesi. Questa idea Schäuble non l’ha mai abbandonata. E chi l’ha seguito e ascoltato attentamente in questi ultimi anni turbolenti, ha potuto captare anche modi di vedere diversi da Merkel. Per Schäuble l’Ue non è una necessità, dettata dal pragmatismo, e nemmeno il risultato di accordi presi sulla base di un minimo comune denominatore. Probabilmente, se si fosse trovato al posto di Merkel, Schäuble avrebbe saputo affrontare l’attuale crisi, affiancando al pragmatismo e al rigore (anche per lui indispensabili) una visione futura, capace di trascinare i tedeschi, l’elettore tedesco (tanto temuto da Merkel), e far loro superare perplessità e paure. Esattamente come l’ex cancelliere Kohl riuscì a suo tempo a convincere i connazionali a dire addio al loro amatissimo marco. Un’impresa, quella di Kohl, a ben vedere ancora più ardua, visto che chiedeva loro di rinunciare a una moneta che aveva garantito non solo stabilità, ma dato anche la certezza che il dramma dell’iperinflazione degli anni Venti dello scorso secolo non si sarebbe mai più ripetuto. Hofmann concludeva il suo pezzo su Cicero, sottolineando che, pur ritrovandosi ora Merkel a tenere il discorso in onore di Kohl, questo non la rendeva però automaticamente sua erede. “L’unico che Kohl riconosce come fedele esecutore della sua idea di Europa è Schäuble e nessun altro. Proprio l’uomo, però, a cui lui stesso ha impedito di diventare il suo successore”.
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