Tra i guerriglieri siriani

I ribelli impongono una “no fly zone” contro i jet di Assad

Daniele Raineri

“Attahira, attahira!”. Gli aerei. Gi uomini armati a bordo delle macchine si sporgono dai finestrini e storcono il collo verso l’alto per controllare. L’estate della Siria libera è finita e ci sono stati grandi cambiamenti. Uno è arrivato quaranta giorni fa, quando il governo di Damasco ha capito che può usare i jet da guerra e gli elicotteri nella più completa impunità: non ci sarà una reazione da parte internazionale, non arriverà l’imposizione coattiva di una “no fly zone” come accadde sulla Libia

    Idlib, nord della Siria. “Attahira, attahira!”. Gli aerei. Gi uomini armati a bordo delle macchine si sporgono dai finestrini e storcono il collo verso l’alto per controllare. L’estate della Siria libera è finita e ci sono stati grandi cambiamenti. Uno è arrivato quaranta giorni fa, quando il governo di Damasco ha capito che può usare i jet da guerra e gli elicotteri nella più completa impunità: non ci sarà una reazione da parte internazionale, non arriverà l’imposizione coattiva di una “no fly zone” come accadde sulla Libia (ancora ieri sono falliti altri negoziati per una risoluzione sulla Siria da parte dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite). Quindi, via libera ai bombardamenti sul nord, su questo mini stato creato con la forza delle armi che ha come margine inferiore l’autostrada che collega le città di Idlib e di Aleppo e come margine superiore il confine con la Turchia dal Mediterraneo fino alle zone curde. E’ zona agricola di campi, attraversata da un reticolo di strade a una sola corsia e mezza, ed è anche un terreno di caccia che non potrebbe essere migliore per gli aerei e gli elicotteri d’era sovietica del governo.

    Così, anche se ora a terra i soldati sono chiusi e assediati all’interno di poche basi, non riescono a mettere neanche il naso fuori e ogni giorno ci sono nuovi disertori, fuori la situazione è diventata più rischiosa di prima: le bombe cadono in mezzo alle case, agli incroci stradali, in un caso sulla coda di clienti a un distributore di benzina (ci sono stati trenta morti). E dall’alto le mitragliatrici inseguono i veicoli – tranne lungo i novecento chilometri di frontiera turca, dove i jet di Ankara impongono ai piloti siriani di tenersi di fatto almeno a non meno di tre chilometri di distanza.
    Quella di Assad non è una campagna aerea in piena regola. Sono azioni singole. Il jet passa, bombarda e sparisce. In certi casi lancia un ordigno solo. Non ci sono bombardamenti a tappeto o devastazioni risolutive di obbiettivi militari studiati a tavolino. Sono passaggi fatti apposta per spezzare le illusioni di un territorio che credeva di essersi liberato dal controllo del governo, per far sentire che c’è ancora pressione da Damasco, per punire la popolazione, per fiaccarla e farle pensare al compromesso.

    I ribelli stanno imponendo una “no fly zone” di fatto, ottenuta a partire del suolo invece che con aerei che non possiedono. Assediano gli aeroporti militari, come Ab ad Duhur, a sud di Aleppo, da dove partono gli aerei che colpiscono la città. Un gruppo locale della guerriglia tiene sotto tiro costante le due piste dal lato ovest del campo d’aviazione e ha già abbattuto due caccia Mig, anche se ogni giorno subisce il fuoco d’artiglieria di risposta.
    Oppure i ribelli tendono imboscate ai voli a bassa quota. Fra i filari d’ulivi sono parcheggiati fuoristrada armati di mitragliatrici antiaeree, calibri pesanti anch’essi risalenti all’era sovietica. Aspettano nascosti il passaggio degli aerei, sparano, si spostano, tornano verso nord a fare rifornimento di munizioni e di benzina. Per impedire ai veicoli di spiccare tra campi e alberi li hanno coperti con un misto di una sostanza collosa e di fango: tutto è color terra, dai cerchioni delle ruote che con il luccichio metallico potrebbero tradire la posizione fino al parabrezza, tranne una striscia per guidare, e lo sono finanche gli specchietti, anch’essi trattati con la stessa speciale glassa. Soltanto l’arma sul cassone dietro è pulita.

    La contraerea fatta in garage
    E’ la nascita di un sistema contraereo artigianale: uno di questi pick up è nel cortile di un fabbro specializzato in cancelli di ferro, prestato per qualche ora alla rivoluzione, che si occupa di riparare il sostegno girevole che non gira come dovrebbe, ed è possibile esaminarlo con calma. L’impugnatura della mitragliera è ricavata da un manubrio di motocicletta, completo di freno a disco montato sul sostegno girevole, in modo che chi sta manovrando possa bloccare in una frazione di secondo l’arma nella posizione giusta. Basta premere la leva.

    C. J. Chivers, un ex marine diventato corrispondente del New York Times che in questo momento è nel nord della Siria, ha visto anche una videocamera montata sopra la mitragliera per sfruttare gli ingrandimenti in tempo reale: il mitragliere vede l’aereo e zooma fino a inquadrarlo “da vicino”. Due mesi fa si era parlato dell’arrivo di venti missili a spalla, del tipo Stinger. Sono capaci di seguire un caccia infilandosi nella sua scia di calore e di raggiungerlo. Ma non si sono ancora visti.
    Come se non bastasse, il governo ha ordinato il cannoneggiamento a casaccio dei centri abitati. Dalle postazioni a sud-est, i pezzi hanno una ventina di chilometri di gittata. Il rombo dei colpi attraversa la campagna, atterra a volte lontano a volte vicino.

    • Daniele Raineri
    • Di Genova. Nella redazione del Foglio mi occupo soprattutto delle notizie dall'estero. Sono stato corrispondente dal Cairo e da New York. Ho lavorato in Iraq, Siria e altri paesi. Ho studiato arabo in Yemen. Sono stato giornalista embedded con i soldati americani, con l'esercito iracheno, con i paracadutisti italiani e con i ribelli siriani durante la rivoluzione. Segui la pagina Facebook (https://www.facebook.com/news.danieleraineri/)