L'indipendenza della Catalogna non è solo una questione politica

Maurizio Stefanini

“Se la Catalogna diventa indipendente, me ne vado. A Saragozza, a Madrid, a Cuenca, ma via da Barcellona. Non esiste che una impresa editoriale possa avere la sede in un Paese dove si parla un’altra lingua”. Così José Manuel Lara Bosch: presidente di quel Grupo Planeta che ha appunto sede a Barcellona, che è il primo gruppo editoriale di lingua spagnola e il secondo del mondo, e che elargisce vari premi letterari, tra cui quel Planeta che è il secondo più ricco del mondo dopo il Nobel per la Letteratura e quel Biblioteca Breve che lanciò Mario Vargas Llosa.

    “Se la Catalogna diventa indipendente, me ne vado. A Saragozza, a Madrid, a Cuenca, ma via da Barcellona. Non esiste che una impresa editoriale possa avere la sede in un Paese dove si parla un’altra lingua”. Così José Manuel Lara Bosch: presidente di quel Grupo Planeta che ha appunto sede a Barcellona, che è il primo gruppo editoriale di lingua spagnola e il secondo del mondo, e che elargisce vari premi letterari, tra cui quel Planeta che è il secondo più ricco del mondo dopo il Nobel per la Letteratura e quel Biblioteca Breve che lanciò Mario Vargas Llosa. L’opinione non è venuta a caso ma subito dopo che, nell’ambito del braccio di ferro in corso tra governo regionale e governo centrale sulla questione della finanza locale in tempo di crisi, il presidente della Catalogna Arturo Mas aveva annunciato per il 25 novembre le elezioni anticipate: una consultazione cui potrebbe essere abbinato addirittura una referendum consultivo sull’indipendenza, ma che comunque avrà di fatto un carattere di plebiscito sull’indipendenza. E rappresenta una presa di distanza dietro la quale ha iniziato a schierarsi dapprima il resto dell’industria editoriale e poi l’imprenditoria catalana tout court. 

    Una caratteristica del nazionalismo catalano è stata proprio l’aggressivo bilinguismo. In reazione alla politica di imposizione dello spagnolo fatta durante il franchismo, ogni anno vengono spesi 174 milioni di euro per promuovere il catalano in tutti i modi, il che tra l’altro ha contribuito non poco ad incrementare i problemi finanziari della Comunità Autonoma. Oggi in tutti i livelli scolastici l’insegnamento è in catalano, fatte salve due ore di spagnolo alla settimana; e anche tutti i media pubblici e i siti web sono in catalano, con solo un quarto dei municipi che vi aggiunge una traduzione in spagnolo. Proprio questa crescente discriminazione dello spagnolo ha alimentato il voto antinazionalista da un po’ in crescita per nuovi partiti e liste come Ciudadanos-Partido de la Ciudadanía o Unión Progreso y Democracia. Eppure grazie a Planeta, ma non solo, Barcellona oltre che capoluogo di una regione che vuole far usare lo spagnolo sempre meno è anche la capitale mondiale dell’editoria di lingua spagnola. L’azienda fattura 1,2 miliardi all’anno: il 40 per cento del totale spagnolo, che diventa il 60 per cento se si tolgono i libri scolastici. Xavier Mallafré, presidente del Gremio de Editores de Cataluña, dice che ogni 10 libri stampati in Catalogna 4 restano in regione, 5 vanno nel resto della Spagna e uno si esporta all’estero. Ovviamente, senza considerare le varie Editorial Planeta (Argentina), Editorial Planeta Chile, Editorial Planeta Uruguay, Editorial Planeta Colombia, Editorial Planeta Venezuela, Editorial Planeta Ecuador, Editorial Planeta México, Editorial Planeta Perú, Emecé Editores Argentina, Editora Planeta do Brasil, eccetera, che pure fanno parte del gruppo. Il bello è che anche Grup 62, il primo gruppo editoriale al mondo in catalano, è di Planeta al 34%. In caso di indipendenza catalana, spiegano gli operatori del settore, il problema tecnico sarebbe minimo, in epoca di Internet. E anche i problemi doganali e fiscali potrebbero essere evitati, visto che presumibilmente la Catalogna resterebbe nell’ambito europeo.

    Ma l’eventuale status ufficiale dello spagnolo sarebbe decisivo: per ragioni non solo ideologiche, ma anche tecniche. Come lavorare usando una lingua che gli assunti locali potrebbero aver smesso di studiare a scuola? Inoltre in molti ritengono che proprio il fermento bilingue di una Barcellona in cui spagnolo e catalano convivono, avrebbe contribuito in modo importante al boom dell’editoria catalana. D’altra parte, anche da Random House Mondadori, l’altro grande gruppo di lingua spagnola con sede a Barcellona, arrivano indiscrezioni su un’analoga volontà di trasloco in caso di indipendenza, sebbene non ci sia stata una presa di posizione della stessa forza.  Il presidente del gruppo Planeta ha infatti ricordato che “l’80 per cento degli affari delle grandi imprese catalane si produce fuori dalla Catalogna, e la gran parte in Spagna”. Joan Rosell Lastortras, presidente di quella Confederación Española de Organizaciones Empresariales che è l’omologa spagnola della Confindustria, è nato a Barcellona, ha un nome catalano, ha definito l’idea dell’indipendenza catalana “una barbaridad”. Termine la cui traduzione italiana più fedele, in questo contesto, non sarebbe tanto “barbarie”, ma “idiozia”.