Così B-XVI prepara il suo “Sinodo di guerra” (anche dentro il Vaticano)
Mentre i riflettori sono puntati sul processo a Paolo Gabriele, l’ex aiutante di camera del Papa accusato di aver rubato documenti riservati, Benedetto XVI si prepara per un appuntamento capitale del suo pontificato: il sinodo dei vescovi dedicato alla nuova evangelizzazione, e cioè alle modalità di comunicazione della fede dentro le sfide della contemporaneità. Un compito tanto improbo quanto fondamentale.
Roma. Mentre i riflettori sono puntati sul processo a Paolo Gabriele, l’ex aiutante di camera del Papa accusato di aver rubato documenti riservati, Benedetto XVI si prepara per un appuntamento capitale del suo pontificato: il sinodo dei vescovi dedicato alla nuova evangelizzazione, e cioè alle modalità di comunicazione della fede dentro le sfide della contemporaneità. Un compito tanto improbo quanto fondamentale.
Dal 7 al 28 ottobre un centinaio di vescovi provenienti da tutto il mondo lavoreranno sul tema che ha per titolo: “La nuova evangelizzazione per la trasmissione della fede cristiana”. Alla guida dei lavori ci saranno i tre presidenti delegati: i cardinali John Tong Hon, vescovo di Hong Kong (Cina), Francisco Robles Ortega, arcivescovo di Guadalajara (Messico) e Laurent Monsengwo Pasinya, arcivescovo di Kinshasa (Repubblica democratica del Congo), tre personalità volutamente provenienti da terre dove le sfide sono molteplici: il regime comunista in Cina, l’esplosione delle sette evangeliche in Messico, gli scontri etnici in Congo. Come sempre, il metodo dei lavori è collegiale. Tutti, Papa compreso, possono chidere d’intervenire in ogni momento senza filtro e senza prepararsi necessariamente prima. All’elenco dei vescovi inviati a Roma dalle Conferenze episcopali di tutto il mondo, Ratzinger ha aggiunto alcuni nomi, in tutto 12 cardinali, 20 arcivescovi e vescovi, 4 sacerdoti. La scelta del Papa è andata anche su nomi di diversa provenienza come sono il salesiano rettore della Lateranense Enrico dal Covolo, il prelato dell’Opus Dei Javier Echevarría Rodríguez e il presidente della Fraternità di Comunione e Liberazione Julián Carrón.
Che la riflessione del Sinodo è decisiva lo dicono gli altri appuntamenti sui quali per volere del Papa la chiesa è chiamata a riflettere: l’anno della fede, anzitutto, che incomincia l’11 ottobre (una settimana dopo l’apertura del Sinodo) in concomitanza con il cinquantesimo dell’inizio del Concilio Vaticano II e il ventesimo della pubblicazione del catechismo della chiesa cattolica redatto dal cardinale Ratzinger assieme a Christoph Schönborn il quale, aiutandosi con un vecchio Macintosh, mise in pagina quella che è ancora oggi la più corposa e autorevole esposizione dei contenuti di tutta la dottrina cattolica dopo il Concilio. Un anno che vedrà l’uscita a gennaio – la notiza è stata confemata ieri – di una nuova enciclica dedicata proprio alla fede.
Il motivo della convocazione del Sinodo è evidente: il declino della fede. Quella fede che un tempo era fiorente in occidente, oggi non c’è quasi più. Nei paesi un tempo roccaforte della cattolicità (l’Irlanda ad esempio, ma anche il Québec o l’Austria) la maggioranza della popolazione si dichiara non credente e, se crede, ha una fede che il Vaticano non esita a definire “da analfabeta”. “Dio è di fatto assente”, dicono.
Come rispondere a questo problema? Molti nella chiesa parlano dei giovani. Occorre tornare a loro, o meglio, partire da loro. Ratzinger, però, ha un’altra visione. “L’annuncio del Vangelo non è questione di strategie comunicative o di scelta di destinatari prioritari, come potrebbero essere i giovani” recitano non a caso i lineamenta, le linee guida del Sinodo. Piuttosto la chiesa “cominci con l’evangelizzare se stessa”. E’ lei, nella visione di Ratzinger, che deve fare propria la dottrina, i contenuti della fede. Solo una chiesa che vive correttamente la fede può trasmettere qualcosa.
Chi parteciperà al Sinodo dice che i lavori non saranno all’acqua di rose. Sulla trasmissione della fede si sono giocate aspre battaglie dopo il Concilio. Battaglie che tengono ancora oggi fuori dalla chiesa gruppi come i lefebvriani. Con loro (e dunque con tutta la galassia tradizionalista) il Papa è stato chiaro. Ha scritto loro: “O accettate il Concilio o non rientrate”.
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