Perché i servizi non hanno fermato lo stragista di Tolosa?

Daniele Raineri

Mohammed Merah era il francese di origine algerina che uccise sette persone in nome di al Qaida nella zona di Tolosa prima di morire durante l’irruzione della polizia nel suo appartamento. Da marzo il Foglio scrive che Merah non era uno sconosciuto per i servizi segreti francesi, anzi. Sostiene una fonte del Foglio che la Dcri, la direzione del controspionaggio che si occupa di terrorismo, voleva fare di lui un informatore per penetrare quel network estremista che va e viene dai campi d’addestramento all’estero dell’islam radicale.

    Mohammed Merah era il francese di origine algerina che uccise sette persone in nome di al Qaida nella zona di Tolosa prima di morire durante l’irruzione della polizia nel suo appartamento. Da marzo il Foglio scrive che Merah non era uno sconosciuto per i servizi segreti francesi, anzi. Sostiene una fonte del Foglio che la Dcri, la direzione del controspionaggio che si occupa di terrorismo, voleva fare di lui un informatore per penetrare quel network estremista che va e viene dai campi d’addestramento all’estero dell’islam radicale. Si tratta di un problema con priorità altissima: negli ultimi tre anni almeno 85 francesi sono passati per le basi dei gruppi armati soltanto in Pakistan e grazie al passaporto europeo la loro libertà di movimento è virtualmente illimitata. Merah avrebbe dovuto essere un’operazione d’infiltrazione dentro l’estremismo francese. I servizi segreti francesi a marzo hanno smentito (nella smentita si sono lamentati di non essere stati interpellati direttamente, come se fossero pronti a rispondere alla domanda diretta: “Avete sbagliato disastrosamente con il giovane islamista?”).
    La stampa francese si è mossa con molta cautela, ma ora, dopo un cambio di governo e di vertici dei servizi, sta portando ogni mese nuovi scoop.
    Ieri il quotidiano Libération ha pubblicato un documento esclusivo che dimostra che il giovane terrorista poteva essere fermato prima del suo ultimo assalto, il più atroce, contro un asilo ebraico, in cui uccise a sangue freddo tre bambini e un maestro. Almeno due giorni prima la polizia aveva già gli elementi per arrivare a lui. Era in possesso della lista degli utenti Internet che avevano risposto all’annuncio di un militare che intendeva vendere il suo scooter. Il soldato era stato attirato in trappola dal suo assassino che si era spacciato per potenziale acquirente e poi gli aveva sparato: tra gli otto indirizzi ip uno era quello del computer della famiglia Merah.

    Oltre alla lista della polizia, i servizi segreti avevano anche la lista dei detentori del tipo di pistola calibro 11,43 mm usata nelle uccisioni dei tre soldati, e tra i nomi c’è quello di Merah. Sarebbe bastato incrociare i dati, sicuramente già disponibili secondo il documento di Libération alle otto di sera di domenica 18 marzo. Il giorno dopo, lunedì 19, alle sette e cinquanta, Merah entrava sparando nel cortile dell’asilo a meno di tre chilometri dal suo appartamento.

    Ricapitolando. Tra gli indirizzi internet che hanno contattato il primo soldato attirato in trappola c’è quello di Merah, che è anche in possesso di una pistola dello stesso calibro usato nei due attentati prima della strage alla scuola ebraica. Il giovane  è stato oggetto di lunga sorveglianza da parte dei servizi segreti perché sospettato di terrorismo, a causa dei suoi viaggi in Iraq, in Pakistan e in Afghanistan, durati mesi. La sua famiglia è pure coinvolta in una lunga serie di indagini per estremismo islamico. Perché la polizia che lavora al caso in stretto contatto con i servizi segreti non interviene domenica sera? Non lo fa perché è fermata dall’intelligence che, come scrive il rapporto pubblicato da Libération, “in quel momento non crede alla pista dell’islam politico”.

    Si può azzardare una ricostruzione? Merah fu tenuto in fondo alla lista dei sospetti perché era un asset promettente. Una giovane agente della Dcri di fede musulmana stava lavorando per conquistarne la fiducia. Ci sono le prove, estratte dai tabulati telefonici, di contatti frequenti tra la sezione di Tolosa dei servizi segreti e Merah. La famiglia sostiene di essere in possesso di un video in cui il giovane sostiene di essere stato preso dall’impulso di uccidere dopo avere scoperto di essere diventato una pedina dei servizi. L’allora delegato alle questioni di sicurezza del partito socialista, François Rebsamen, disse che Merah era nella lista di 20 nomi stilata dalla Dcri da sorvegliare dopo l’uccisione dei parà, ma che non si sa per quale motivo la lista fu ignorata. Non ci sono però elementi davvero decisivi che dimostrano questa ipotesi.

    La versione più incredibile? E’ del governo
    Se si vuole ascoltare una versione dei fatti certamente più incredibile, basta ricordare cosa disse in qui giorni il governo francese, sbagliando completamente l’analisi a caldo della faccenda. A partire dal primo ministro, François Fillon, che a cose fatte si congratulò con la polizia e con i servizi segreti: “Risolvere un caso di questa gravità in soli dieci giorni, penso che sia una cosa senza precedenti nella storia del paese!”. Davvero? Arrivare a un individuo che era già su tutte le liste di sorveglianza per terrorismo e anche su quella stilata dall’Fbi dei sospetti che non possono volare negli Stati Uniti? Ci sono anche le dichiarazioni del procuratore di Parigi, che definì Merah “un lupo solitario, un malato di mente che si era trasformato in fanatico da solo, guardando video su Internet”. Il procuratore ignorava deliberatamente il quadro che emergeva già chiaro dai giornali? Merah era pericoloso: aveva viaggiato, era stato in Pakistan, si era procurato istruttori, capi e referenti nel mondo del terrorismo, era stato addestrato all’uso delle armi da fuoco, era tornato e aveva eseguito il suo piano con determinazione. Ma il suo nome è rimasto sul fondo della lista dei potenziali assassini, attratto da una gravità invincibile.

    • Daniele Raineri
    • Di Genova. Nella redazione del Foglio mi occupo soprattutto delle notizie dall'estero. Sono stato corrispondente dal Cairo e da New York. Ho lavorato in Iraq, Siria e altri paesi. Ho studiato arabo in Yemen. Sono stato giornalista embedded con i soldati americani, con l'esercito iracheno, con i paracadutisti italiani e con i ribelli siriani durante la rivoluzione. Segui la pagina Facebook (https://www.facebook.com/news.danieleraineri/)