Ragioni ideali (e materiali) dietro l'euroffensiva anti finanza
Il governo aspetta a prendere una posizione definitiva su una tassazione delle transazioni finanziarie condivisa in Europa. La sinistra del Partito democratico mette invece pressione in Parlamento. Le intenzioni dell’esecutivo, infatti, non sono limpide. Ma la scadenza è quella del Consiglio europeo del 18 ottobre quando i leader Ue discuteranno un progetto comune.
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Roma. Il governo aspetta a prendere una posizione definitiva su una tassazione delle transazioni finanziarie condivisa in Europa. La sinistra del Partito democratico mette invece pressione in Parlamento. Le intenzioni dell’esecutivo, infatti, non sono limpide. Ma la scadenza è quella del Consiglio europeo del 18 ottobre quando i leader Ue discuteranno un progetto comune.
Con la Financial transaction tax (Ftt), nota come Tobin tax, da James Tobin, il premio Nobel che ne propose l’impianto, si punta a prelevare lo 0,1 per cento dalle transazioni in azioni o obbligazioni e lo 0,01 per cento dalle speculazioni sui titoli derivati. Il tema è tornato in auge dopo le pressioni comuni di Francia e Germania che la settimana scorsa hanno inviato una lettera alla Commissione europea e hanno esortato gli altri stati membri a prendere posizione affinché l’esecutivo di Bruxelles presenti un progetto legislativo rafforzando così la cooperazione tra paesi. Austria e Belgio l’hanno fatto. La Spagna si era già detta d’accordo, come il Portogallo e in prospettiva la Finlandia.
L’Italia, almeno in questa fase, guarda e aspetta. Interpellato in merito, il ministero dell’Economia non ha risposto. Ma potrebbe essere questione di tempo. Il presidente del Consiglio, Mario Monti, aveva appoggiato l’idea a giugno chiedendo però come contropartita la creazione di uno scudo anti spread, che adesso esiste ed è quello della Banca centrale europea. A febbraio anche la Camera dei deputati si era espressa a favore votando una mozione sull’introduzione dell’imposta con una maggioranza dell’81 per cento. Un fattore che spingerebbe il governo tecnico a considerare la posizione dei partiti. Il deputato del Pd, Francesco Boccia, che ha posto il tema nel 2009, si dice “perplesso” dalle generiche dichiarazioni del ministro dell’Economia, Vittorio Grilli, il quale ha detto che “l’Italia ha tenuto una posizione aperta, vedremo al prossimo Ecofin (9 ottobre, ndr) se riusciremo a trovare una convergenza in Europa”. Grilli è stato direttore generale del Tesoro quando il ministro era Giulio Tremonti, all’epoca contrario alla tassa. Ieri il Pd ha presentato un’interpellanza urgente perché Monti riferisca in Aula (giovedì o la prossima settimana). Il via libera italiano è però decisivo secondo il commissario Ue al Fisco, Algirdas Semeta, interpellato dal Sole 24 Ore, perché serve l’ok di almeno nove paesi su 27. L’applicazione favorirebbe anche l’obiettivo tedesco di limitare il trading ad alta frequenza, basato su vendite e acquisti in millesimi di secondo che se tassati risulterebbero molto costosi per gli operatori (fino al 40 per cento delle transazioni avviene così). A conferma dell’offensiva regolatoria e fiscale sul settore finanziario, ieri il Liikanen Group, che per conto della Commissione Ue si occupa di regolamentazione bancaria, ha suggerito che i maggiori istituti separino in futuro le attività speculative dai servizi alla clientela per evitare rischi.
Se nel 2009 la Tobin tax era vista come una “punizione” nei confronti della finanza, visione condivisa dalla sinistra europea (il presidente francese François Hollande ne aveva fatto un cardine della campagna elettorale, la appoggiano i socialdemocratici tedeschi della Spd, non la osteggiano i laburisti inglesi), adesso la sua introduzione è un’esigenza degli stati gravati da un debito crescente. Dal 2007 al 2010 le transazioni sono aumentate del 20 per cento, circa 4.000 miliardi di dollari al giorno. E sono 81 i miliardi di euro che l’Europa potrebbe incassare fino al 2020 a partire dal 2014, anno ipotetico di entrata in vigore, secondo le stime di Bruxelles. Di contro, per la società di consulenza Ernst & Young, la “fuga” degli operatori, paventata dalla Gran Bretagna – la quale però applica una tassa nazionale – avrebbe un impatto negativo sull’economia europea per 116 miliardi.
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